L’iperglicemia postprandiale non riguarda soltanto soggetti con diabete, ma anche persone con prediabete (quella condizione di confine tra la “normalità” e la patologia), che sono esposte a brusche impennate verso l’alto della glicemia dopo i pasti: secondo un recente studio condotto da Giorgio Sesti (diabetologo, presidente della Sid, ordinario di Medicina interna dell’Università Magna Graecia di Catanzaro) e dai suoi collaboratori, la ragione di questo fenomeno risale all’aumentata concentrazione nel duodeno (parte dell’intestino tenue) del Sglt-1, Sodium-glucose cotransporter, un trasportatore del glucosio a livello intestinale. Questa elevata concentrazione fa sì che l’organismo assorba più rapidamente e in maggiori quantità gli zuccheri assunti con i pasti, causando picchi iperglicemici. E’ quanto accade a persone con prediabete e diabete di tipo 2.

Uno studio della Sid ha individuato nell’aumentata concentrazione intestinale di un trasportatore di glucosio un meccanismo correlato all’iperglicemia postprandiale delle persone con prediabete e di quelle con diabete di tipo 2.

Questa scoperta potrebbe, in prospettiva, aprire la strada a strategie terapeutiche mirate sia per trattare l’iperglicemia postprandiale in persone diabetiche, sia per prevenire lo sviluppo del diabete nei soggetti a rischio, in particolare in quelli con prediabete (di prediabete abbiamo parlato qui).

La ricerca si intitola “Duodenal Sodium/glucose co-transporter 1 expression under fasting conditions is associated with post-load glycemia” ed è stata pubblicata sul Journal of Clinical Endocrinology and Metabolism, organo ufficiale della Endocrine Society statunitense (chi conosce l’inglese e desidera approfondire, può connettersi qui).

L’obiettivo dei ricercatori era valutare se la presenza a livello duodenale dei trasportatori di glucosio Sglt-1 e Glut-2 fosse più elevata nei soggetti con bassa tolleranza al glucosio, classificabili come persone con prediabete, rispetto a quelli con normale tolleranza glucidica.

I dati più significativi riguardano il Sglt-1: lo studio ha infatti rilevato che, quando il Sglt-1 è in alta concentrazione, l’organismo di persone non ancora diabetiche, ma con valori glicemici a rischio, subisce un cospicuo assorbimento del glucosio dopo il pasto, che genera forti accelerazioni iperglicemiche. Questi sbalzi verso l’alto sono pericolosi -ricorda la Sid- perché nel tempo possono arrivare a causare danni seri al sistema cardiovascolare e alle piccole arterie della retina, dei reni, dei nervi. L’altra faccia della medaglia mostrata dallo studio è però l’indicazione che, se si riuscisse a controllare e contenere questo fenomeno, si potrebbe prevenire l’insorgere del diabete di tipo 2 e delle sue complicanze.

Lo studio, di quest’anno, ne segue uno affine di due anni fa, condotto dal medesimo team di ricercatori, che “aveva dimostrato che le persone con la glicemia superiore a 155 mg/dl alla prima ora della curva da carico di glucosio (che si effettua facendo bere una bevanda contenente 75 grammi di glucosio) hanno un rischio di sviluppare diabete conclamato maggiorato del 400% entro i successivi 5 anni, rispetto a chi mostra valori inferiori a questa soglia”.

La nuova ricerca di Sesti e collaboratori ha dunque preso in esame un gruppo di 54 individui, sottoposti a curva da carico orale di 75 g di glucosio e a esofago-gastro-duodenoscopia con biopsie della mucosa duodenale sulle quali è stata misurata la quantità del trasportatore del glucosio Sglt-1.

I soggetti esaminati erano così suddivisi: 18 con normale tolleranza al glucosio (normal glucose tolerance – Ngt) e bassa glicemia a un’ora dalla curva da carico (uguale o minore di 155 mg/dl); 12 con normale tolleranza, ma glicemia alta un’ora dopo la curva (sopra i 155); 12 con ridotta tolleranza al glucosio (impaired glucose tolerance – Igt); 12 con diabete di tipo 2.

Si è rilevato che il Sglt-1 duodenale è aumentato nei soggetti con iperglicemia un’ora dopo la curva o con Igt, ridotta tolleranza al glucosio, così come nei soggetti con diabete di tipo 2, e questo aumento è correlato con sbalzi precoci all’insù dopo la curva da carico.

In particolare -spiega Sesti- la nuova ricerca aiuta a comprendere perché le “persone a rischio di diabete presentano elevati livelli di glicemia dopo i pasti. L’assorbimento intestinale del glucosio introdotto con gli alimenti avviene prevalentemente nella prima porzione dell’intestino, cioè nel duodeno. A tale livello il glucosio, grazie a uno speciale trasportatore, il Sglt-1, attraversa la parete intestinale per raggiungere la circolazione sanguigna”.

Le persone con glicemia alta un’ora dopo la curva da carico di glucosio e quelle con ridotta tolleranza glucidica (iperglicemia due ore dopo il test) hanno aumentati livelli del trasportatore Sglt-1 nell’intestino (paragonabili a quelli riscontrati nei diabetici di tipo 2) rispetto agli individui con normale tolleranza glucidica e glicemia un’ora dopo il test inferiore a 155 mg/dl.

“In questo studio -approfondisce Sesti- abbiamo osservato che i soggetti con Ngt-alta glicemia a un’ora e i soggetti con ridotta tolleranza glicidica (Igt, cioè valori di glicemia a due ore dalla curva da carico compresi tra 140 e 199 mg/dl), hanno aumentati livelli del trasportatore Sglt-1 nell’intestino, paragonabili a quelli riscontrati nei pazienti con diabete tipo 2, rispetto agli individui con Ngt e glicemia a un’ora inferiore a 155 mg/dl. Le condizioni di Ngt-alta glicemia a un’ora e Igt sono condizioni di cosiddetto prediabete, con un alto rischio di progressione verso il diabete tipo 2. In questo studio abbiamo inoltre osservato che alti livelli duodenali di Sglt-1 sono associati a elevati livelli di glicemia dopo carico orale di glucosio. Tali risultati suggeriscono che l’aumento dei livelli duodenali del trasportatore Sglt-1 (e il conseguente eccessivo assorbimento intestinale del glucosio) rappresenta uno dei meccanismi responsabili dell’iperglicemia postprandiale”.

L’aumentato assorbimento intestinale del glucosio trasportato dal Sglt-1 potrebbe essere un meccanismo coinvolto nello sviluppo del diabete tipo 2.

“La scoperta che i livelli duodenali di Sglt-1 siano aumentati nei soggetti con prediabete, così come nei pazienti affetti da diabete tipo 2 -sottolinea la dottoressa Teresa Vanessa Fiorentino, coautrice dello studio, dottoranda presso l’Università Magna Graecia di Catanzaro- dimostra che tale alterazione è presente ancor prima dell’esordio della patologia diabetica e suggerisce che l’aumentato assorbimento intestinale del glucosio mediato dal trasportatore Sglt-1 potrebbe essere un meccanismo coinvolto nello sviluppo del diabete tipo 2”.

Sesti (Sid): “Possibile ipotizzare che la correzione dell’eccessivo assorbimento intestinale del glucosio potrà rappresentare una possibile strategia terapeutica utile non solo per trattare l’iperglicemia postprandiale, ma anche per prevenire lo sviluppo del diabete nei soggetti a rischio”.

“Tenendo in considerazione -conclude Giorgio Sesti- che l’attività del trasportatore Sglt-1 può essere inibita da alcuni composti fenolici presenti nelle mele e che sono attualmente in fase di sviluppo farmaci con una doppia azione inibitoria sui trasportatori Sglt-1 e Sglt-2 (quest’ultimo presente a livello renale), è possibile ipotizzare che la correzione dell’eccessivo assorbimento intestinale del glucosio potrà rappresentare una possibile strategia terapeutica utile non solo per trattare l’iperglicemia postprandiale, ma anche per prevenire lo sviluppo del diabete nei soggetti a rischio”.