Un trapianto di cellule pancreatiche per curare il diabete di tipo 1 con una nuova tecnica è stato eseguito qualche mese fa all’Ospedale di Milano Niguarda. Come si può leggere sul sito del nosocomio milanese, questo è il “primo caso in Europa e il quarto al mondo” di intervento con una nuova procedura sperimentale che consiste nel trapiantare le isole pancreatiche sulla membrana che circonda gli organi addominali grazie a una struttura biotecnologica che ne favorisce l’attecchimento. In altre parole, si può dire che è stato utilizzato un “mini-pancreas biotech”, come si legge sul sito di Niguarda.

La nuova procedura sperimentale (BioHub transplant technique) è stata messa a punto dal Diabetes research institute (Dri), centro specializzato americano diretto dal professor Camillo Ricordi presso l’Università di Miami – Miller School of Medicine (Florida, Stati Uniti), dove sono stati seguiti i primi due casi al mondo. L’intervento ha coinvolto l’équipe della Chirurgia generale e dei Trapianti, quella dell’Anestesia e Rianimazione 2, la Diabetologia, la Nefrologia e la Terapia tissutale, con i dottori Luciano De Carlis, direttore del Dipartimento di chirurgia generale e dei trapianti dell’Ospedale di Niguarda, Federico Bertuzzi, dirigente medico di diabetologia, Mario Marazzi responsabile della terapia tissutale e i loro collaboratori.

E’ stata utilizzata una nuova tecnica sperimentale biotecnologica che apre una nuova via nel campo dei trapianti per la cura del diabete di tipo 1.

La persona operata è un uomo di quarantun anni, diabetico di tipo 1 da trent’anni: il trapianto di cellule pancreatiche produttrici di insulina (le isole pancreatiche) gli consente ora di tenere sotto controllo la glicemia senza dover più ricorrere alla terapia insulinica.

Luciano De Carlis spiega la novità rappresentata da questo tipo di intervento di trapianto di cellule pancreatiche: “Attualmente le cellule insulari vengono infuse nel fegato, ma molte di esse non sopravvivono in questo ambiente, a causa di una reazione infiammatoria che ne compromette il funzionamento. Così, con questa tecnica, che per l’impianto sfrutta la chirurgia videolaparoscopica, si è aperta una nuova via”.

Infatti, secondo il protocollo elaborato a Miami, il trapianto avviene sulla membrana, fortemente vascolarizzata, che ricopre gli organi addominali (un tessuto chiamato omento). Aggiunge il diabetologo Federico Bertuzzi: “Le isole del donatore sono state inglobate in un’impalcatura biologica, combinando il plasma del paziente con la trombina” (un enzima che favorisce la coagulazione del sangue – ndr). Come spiegato sul sito di Niguarda, “queste componenti, quando unite, creano una sostanza gelatinosa che si attacca all’omento e mantiene le isole in sede. L’organismo assorbe gradualmente il gel lasciando le isole intatte, mentre si formano nuovi vasi sanguigni che forniscono l’ossigenazione e gli altri nutrienti necessari per la sopravvivenza delle cellule. Grazie a questa evoluzione si punta a ottenere una sopravvivenza più prolungata delle isole rispetto a quanto avviene per la sede intraepatica. A differenza del fegato, in questa sede sarà possibile in futuro applicare microcapsule e altri dispositivi per ridurre la necessità della terapia immunosoppressiva”.

Il professor Camillo Ricordi: “Questa tecnica di ingegneria tissutale sarà fondamentale per permettere la sperimentazione clinica di nuove tecnologie per evitare l’uso di farmaci antirigetto, che oggi limitano l’applicabilità del trapianto di isole ai casi più gravi di diabete”.

Camillo Ricordi (che è professore di Chirurgia e direttore del Dri e del Centro Trapianti cellulari presso l’Università di Miami) osserva: “Questa tecnica di ingegneria tissutale sarà fondamentale per permettere la sperimentazione clinica di nuove tecnologie per evitare l’uso di farmaci antirigetto, che oggi limitano l’applicabilità del trapianto di isole ai casi più gravi di diabete”.

L’obiettivo delle ricerche del Dri è un mini-organo realizzato con la bioingegneria capace di imitare il pancreas umano per restaurare la produzione di insulina nei pazienti con diabete di tipo 1. Potete trovare maggiori informazioni cliccando qui.

L’Ospedale Niguarda di Milano fa parte di un consorzio mondiale, la Diabetes research institute federation, una alleanza di ricercatori e centri medici che collaborano e condividono promettenti scoperte al fine di accelerare la ricerca nella cura del diabete. Così il protocollo elaborato a Miami è stato fatto proprio e messo in pratica a Milano. Ricordi e i suoi collaboratori del Dri-Università di Miami si mettono a disposizione di équipe selezionate in tutto il mondo, condividendo conoscenza, protocolli, strumentazione, e sono in contatto virtuale (tramite una piattaforma telematica) con ricercatori di tutto ii Paesi, in modo da poter lavorare insieme come se fossero fisicamente fianco a fianco.