Quando si parla di diabete urbano, si intende che è più facile essere colpiti dal diabete nelle città grandi che in campagna o in piccoli paesi. Negli ultimi anni diversi studi e ricerche hanno individuato questa tendenza, che fa dire alla International diabetes federation (Idf) che nel 2035 il 70% delle persone con diabete sarà residente in città, cioè 347 milioni contro i 147 che abiteranno fuori.

Già oggi, secondo stime Idf, circa il 65% delle persone diabetiche vive in aree urbane, in un contesto generale in cui oltre il 50% della popolazione mondiale abita in città.

Secondo Stefano da Empoli e Andrea Lenzi dell’Health City Institute (istituto no profit specializzato che si occupa della salute nelle città), “pare che le città siano catalizzatrici per il diabete” (vedi “Urbanizzazione e diabete”, contenuto nel decimo Italian Diabetes & Obesity Barometer Report).

Abitudini e lavori sedentari, alimentazione sregolata ed eccessiva, scarsa o nulla attività sportiva sono tra le caratteristiche della vita cittadina che favoriscono lo sviluppo di obesità e diabete di tipo 2.

Tra i motivi fondamentali del maggior sviluppo del diabete, quello di tipo 2, per chi vive in città vi sono gli stili di vita, che cambiano rispetto al vivere in zone rurali: abitudini, comportamenti, lavori prevalentemente sedentari, scarsa attività fisica, alimentazione spesso abbondante e sregolata. Esistono quindi fattori culturali e sociali della vita cittadina che favoriscono l’insorgere di obesità e diabete di tipo 2, che sono strettamente connessi.

L’Health City Institute mostra che il fenomeno, che è mondiale, è ben visibile anche in Italia, dove oltre il 50% delle persone con diabete diagnosticato (circa tre milioni e mezzo) vive nei primi cento centri cittadini e un terzo nei maggiori insediamenti urbani (come le 14 Città metropolitane). Nelle città che superano il mezzo milione di abitanti, il 35,2% dei residenti è sovrappeso. A questi vanno aggiunti un 9,2% di obesi; 4 italiani su 10 hanno comportamenti sedentari, predisponenti all’eccesso di peso.

I dati su sovrappeso e sedentarietà, legati a quei comportamenti quotidiani errati ma tipici della realtà quotidiana urbana, suggeriscono che il modo in cui si vive nelle città favorisca lo sviluppo del diabete: per questo si è cominciato a parlare di “diabete urbano”.

Lenzi (Health City Institute): la crescita drammatica delle malattie croniche non trasmissibili, come diabete e obesità, nelle nostre città, è condizionata soprattutto dalle modifiche agli stili di vita alimentari e fisici.

Spiega Andrea Lenzi, di Health City Institute: “Con diabete urbano si vuole definire la malattia diabetica che riguarda le persone che vivono nelle aree urbanizzate, ambiente, che, come è ben dimostrato, influenza il modo in cui le persone vivono, mangiano, si muovono, tutti fattori che hanno un impatto sul rischio di sviluppare il diabete. La crescita drammatica delle malattie croniche non trasmissibili, come diabete e obesità, nelle nostre città, è condizionata soprattutto dalle modifiche agli stili di vita alimentari e fisici. Anche gli aspetti demografici e sociali sono importanti. Nelle città c’è maggior rischio di fragilità: soprattutto per gli anziani, il cui numero è sempre più elevato, spesso soli, in nuclei monofamiliari. E la fragilità è un fattore di rischio per un adeguato controllo della malattia”.

Contro il diabete urbano (“urban diabetes”) è allora necessario fare qualcosa. Merita in proposito di essere segnalato il programma Cities Changing Diabetes, nato nel 2014 in Danimarca dalla collaborazione tra lo University College London e il danese Steno Diabetes Center (con il supporto di Novo Nordisk), che ha interessato diverse grandi città di tutto il mondo (tra cui Roma, l’anno scorso, 2017), coinvolgendo enti, istituti e associazioni per affrontare lo specifico fenomeno dello sviluppo del diabete nelle città. Un progetto nato con l’obiettivo -scrivono Da Empoli e Lenzi- di “coinvolgere attivamente le autorità municipali delle principali metropoli mondiali, Italia inclusa, nell’analisi delle ragioni alla base della crescita della malattia e nell’individuazione di specifici interventi volti a contrastarne l’avanzata”. Partire da una analisi mirata su quello che accade su questo fronte nelle grandi metropoli e pianificare azioni concordate di prevenzione e contrasto, chiamando in causa tutti gli attori interessati.

Sono state coinvolte le città di Città del Messico, Copenaghen, Houston, Shanghai, Tianjin, Vancouver, Johannesburg e Roma. Il progetto in Italia e a Roma è stato coordinato dall’Health City Institute in collaborazione con il Ministero della Salute, l’Anci, Roma Città Metropolitana, l’Istituto Superiore di Sanità, l’Istat, la Fondazione Censis, Coresearch, Ibdo Foundation, Medi-Pragma e tutte le università di Roma, le società scientifiche del diabete e dell’obesità e le associazioni di pazienti e di cittadinanza.

Il caso di Roma: una percentuale di persone con diabete più alta della media italiana, mentre sedentarietà, obesità e invecchiamento della popolazione avanzano.

Il caso di Roma è interessante, sia in particolare sia in prospettiva generale, per inquadrare le caratteristiche del diabete urbano. A Roma e provincia ci sono più diabetici che in tutto il Piemonte, 286mila. Nella capitale vive il 50% delle persone con diabete residenti nel Lazio, quasi 190mila, come i diabetici di tutta la Toscana.

Così riassume la situazione della capitale Simona Frontoni dell’Italian Barometer Diabetes & Obesity Forum (Ibdo), diabetologa: “Roma purtroppo non si sottrae alla regola che vede il diabete come emergenza nelle città. Con il 6,5 per cento di persone con diabete sulla popolazione residente, Roma è ben oltre la media nazionale del 5,4, come ci dice Istat. Inoltre, all’interno della città, c’è una grande variabilità tra zone centrali e periferiche, più o meno disagiate, con valori che vanno dal 5,9 al 7,3 per cento, anche questa una chiara evidenza dell’impatto che l’ambiente ha sullo sviluppo della malattia”.

Il rapporto Atlas 2017 su Roma, elaborato, nel quadro del programma Cities Changing Diabetes, da Health City Institute, con Fondazione Censis, Istat, Coresearch e Medi-Pragma, mette in luce  i punti deboli dell’ambiente di una grande città. Gli anziani che vivono da soli rappresentano quasi il 30% degli over 64; elevata è la sedentarietà, caratterizzata anzitutto dal lungo tempo trascorso in macchina, che per una maggioranza dei cittadini è il mezzo privilegiato per spostarsi: su un milione e 339mila persone che ogni giorno si muovono per motivi di lavoro o di studio, uno su 5 impiega più di tre quarti d’ora per il viaggio e quasi il 60% usa l’automobile.

L’età avanzata e lo scarso movimento sono, come sappiamo condizioni correlate al diabete di tipo 2. Sottolinea in proposito Ketty Vaccaro, della Fondazione Censis e coordinatrice di Roma Cities Changing Diabetes: “Il Lazio e, in particolare, Roma registrano un aumento di obesità e invecchiamento della popolazione, entrambi fattori di rischio strettamente legati all’incremento della prevalenza del diabete. E non solo l’obesità, l’invecchiamento della popolazione, la sedentarietà, ma anche fattori sociali come istruzione, accesso alle cure, risorse disponibili incidono fortemente sull’incremento del diabete, soprattutto, nelle grandi città come Roma”.

Approfondisce Antonio Nicolucci, direttore di Coresearch: “Il numero di persone obese ha avuto un aumento del 21% negli ultimi 13 anni nel Lazio, tant’è che oggi un residente su 10 in età adulta è affetto dalla malattia. Inoltre, anche il numero di over 65 ha subìto una crescita analoga negli ultimi anni, raggiungendo nella sola città di Roma la quota di 631mila persone. Anche il problema della sedentarietà non è da sottovalutare. Nel Lazio oltre il 40% della popolazione è totalmente sedentaria e solo un quinto dei cittadini svolge attività fisica con regolarità”,

Il lavoro che spetta a chi voglia contrastare il diabete urbano (non soltanto a Roma, naturalmente) è tutt’altro che facile e rapido, ma è necessario: occorre che tutti i cittadini siano meglio informati su che cos’è il diabete e quali rischi corrano, che imparino meglio a seguire un’alimentazione più sana e siano anche messi nella condizione materiale concreta di poterla rispettare, che si abituino di più a fare attività fisica con costanza e regolarità, avendo a disposizione il tempo e gli spazi adeguati per praticarla. E che la città e le sue forme di vita rendano tutto questo possibile e realizzabile, ben più di quanto avvenga oggi. Un’impresa faticosa, che certo non può essere addossata ai soli singoli individui, ma è quella giusta da affrontare.