Buona gestione del diabete di tipo 2 e alimentazione corretta sono strettamente legate. La dieta raccomandata dovrebbe essere seguita e rispettata sempre, perché fa la differenza: se c’è aderenza e osservanza della alimentazione prescritta, i risultati positivi sulla gestione della propria condizione si vedono e si sentono, così come gli effetti negativi quando il paziente è negligente. Purtroppo non sempre questa necessaria adesione alle indicazioni alimentari ricevute dal medico è attenta e costante da parte delle persone con diabete.
Un recente studio italiano, dell’Università di Perugia, ha voluto provare a valutare il livello di aderenza alle raccomandazioni nutrizionali in un gruppo di diabetici di tipo 2, la diversità di risultati tra pazienti che seguono la dieta corretta e coloro che non la osservano con diligenza, le eventuali differenze che si delineano anche a seconda del genere, tra uomini e donne.
L’indagine si chiama “Influence of dietary and haematobiochemical profile in patients with type 2 diabetes belong to Umbria clinic” (autori: Alice Tantucci, Alessia Timi, Giancarlo Perriello) e fa parte del più ampio studio sul diabete di tipo 2 chiamato “Tosca.it”. La ricerca ha ricevuto il supporto della Società italiana di diabetologia (Sid).
Uno studio italiano conferma che nella gestione del diabete di tipo 2 l’aderenza o la mancata aderenza alle raccomandazioni nutrizionali può condizionare i fattori di rischio cardiometabolico e infiammatorio e che è necessario ottenere dalla persona diabetica una ottimale osservanza delle indicazioni dietetiche.
Osserva Alice Tantucci, coautrice dello studio: “Nonostante la terapia nutrizionale sia un punto centrale nella patologia diabetica, è difficile ottenere una ottimale aderenza alle raccomandazioni, specialmente nel lungo periodo. Il nostro studio, anche se svolto su una piccola coorte di persone, mostra che l’aderenza o la mancata aderenza alle raccomandazioni nutrizionali può condizionare i fattori di rischio cardiometabolico e infiammatorio, indipendentemente dall’impiego di farmaci o dall’abitudine al fumo”.
La ricerca ha infatti esaminato 138 persone con diabete di tipo 2 (95 uomini e 43 donne) puntando l’attenzione sulla loro alimentazione abituale per valutare gli effetti dell’associazione di differenti proporzioni di vari macronutrienti (all’interno dei range raccomandati dalle varie autorità scientifiche).
I soggetti sono stati sottoposti a due test preliminari per verificare il loro grado di conoscenza del diabete e delle sue complicanze e valutare la loro la salute fisica, lo stato psicologico, il contesto sociale e ambientale in cui vivono, le relazioni personali e la qualità della vita. Successivamente sono stati intervistati sul cibo.
Per misurare la loro condizione glicometabolica e cardiovascolare sono stati controllati e presi in considerazione diversi parametri fondamentali: l’indice di massa corporea, la circonferenza della vita, l’emoglobina glicata, il colesterolo totale, i trigliceridi, le frazioni di Ldl e Hdl (rispettivamente colesterolo cattivo e buono), la rilevazione nel sangue della proteina C-reattiva (una proteina prodotta dal fegato sintetizzata durante uno stato di infiammazione).
I risultati dell’indagine hanno confermato da una parte l’influenza della qualità della dieta sul profilo di rischio cardiometabolico del paziente diabetico, ma dall’altra la difficoltà a ottenere un’adesione ottimale alla dieta raccomandata, indicando quindi la necessità di trovare nuove strategie che siano più efficaci a modificare i comportamenti alimentari sbagliati dei pazienti.
Tra i risultati dello studio emerge, per esempio, per quanto riguarda l’assunzione di carboidrati, che l’emoglobina glicata è più elevata negli uomini non aderenti alle raccomandazioni rispetto agli aderenti e che il colesterolo Hdl (quello buono) risulta più basso nelle donne non aderenti rispetto alle aderenti. Un altro esempio interessante riguarda il consumo giornaliero di alcol: nelle donne non aderenti il peso e l’indice di massa corporea sono più alti rispetto alle donne aderenti.
Commenta Gabriele Perriello, dell’Ospedale ‘Silvestrini’, Università di Perugia, uno degli autori della ricerca: “L’importanza e l’impatto dei risultati ottenuti sono molto interessanti e svelano sia la scarsa aderenza dei pazienti alle raccomandazioni nutrizionali relative al consumo dei grassi, sia la diversità dei risultati tra uomini e donne, suggerendo la necessità di differenziare gli obiettivi educazionali e terapeutici tra i due sessi”.
Per gli autori dello studio serve una dieta personalizzata, calibrata sul singolo paziente, formulata sulla base delle raccomandazioni sulla dieta mediterranea di Sid e Easd.
Secondo gli autori, infatti, i risultati dell’indagine indicano che, più che puntare a una “dieta ideale” per il paziente diabetico, è necessario personalizzarla in accordo e a misura della persona che si ha di fronte, seguendo le raccomandazioni sulla dieta mediterranea di Sid e Dnsg (Diabetes and Nutrition Study Group dell‟Easd, European association for the study of diabetes). C’è quindi bisogno non soltanto di studi osservazionali, ma anche di tipo “interventistico” per confrontare differenti strategie dietetiche sui diabetici che coinvolgano una larga platea di persone, rappresentativa della generale popolazione diabetica normalmente presente nella reale pratica clinica.
Per chi conosce la lingua inglese è disponibile qui una sintesi dello studio.