La Associazione medici diabetologi ha presentato un Pdta per il diabete di tipo 1, cioè, sciogliendo l’acronimo, un Percorso diagnostico terapeutico assistenziale, mirato sulla gestione di tutte le fasi di assistenza e cura della patologia.

I Pdta sono programmi specifici che definiscono come seguire una patologia nei suoi vari aspetti e momenti e, per quanto riguarda il diabete, sono esplicitamente previsti nel “Piano nazionale del diabete”, che, tra i suoi elementi base, indica appunto l’integrazione e la rete tra i diversi livelli assistenziali (specialista-specialista o specialista-medico di medicina generale) attraverso Percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (Pdta).

Purtroppo, però, questo strumento strategico per la buona gestione del diabete non è ancora generalizzato sul territorio italiano, come ha rilevato, tra gli altri, il Rapporto civico 2018 sul diabete in Italia di Cittadinanzattiva (di cui abbiamo parlato qui), che ha interpellato medici e pazienti su varie tematiche riguardanti l’assistenza e la cura del diabete. In particolare, su un campione di persone diabetiche (prevalentemente con diabete di tipo 1) risultava che soltanto il 12% affermava di essere inserito in un Percorso diagnostico, terapeutico e assistenziale (Pdta). Davvero poco, tanto più considerando -osservava il rapporto- che, laddove esiste ed è messo in pratica il Pdta, “ha degli effetti estremamente positivi sulla qualità di cura e di vita della persona, che riscontra un maggiore controllo della patologia, più informazione e ascolto e un accompagnamento reale nella cura”.

La Amd ha elaborato un Pdta (“Percorso diagnostico, terapeutico e assistenziale”) certificato per il diabete di tipo 1, da proporre a tutte le Regioni italiane: un piano di assistenza e cura mirato per la gestione della patologia in tutte le sue fasi.

La Amd afferma in proposito che attualmente “non tutti i centri diabetologici hanno le carte in regola per poter prendere in carico i diabetici di tipo 1”, che in Italia oggi sono circa 250.000, di cui 29.000 minori, “numeri destinati a crescere nei prossimi anni, per via di predisposizione genetica, fattori ambientali e fenomeni migratori”.

L’Associazione medici diabetologi ha quindi rilevato la necessità di rafforzare l’attenzione sul diabete di tipo 1 e si è quindi impegnata a stilare uno specifico Pdta per il diabete mellito di tipo 1, un documento certificato da presentare a tutte le Regioni, con l’obiettivo di arrivare a garantire ai pazienti le cure migliori con quella uniformità di assistenza sul territorio italiano, che, come è noto, è ancora lontana (di questa disomogeneità abbiamo visto alcuni aspetti, per esempio, qui). Il piano è stato elaborato dal Gruppo di Studio “Diabete tipo 1 e Transizione” e riguarda l’intero percorso del diabete di tipo 1, dall’esordio all’età anziana.

Giuliana La Penna (Amd): “Abbiamo redatto il primo Pdta certificato per il diabete di tipo 1, mettendo nero su bianco i requisiti minimi che un centro diabetologico deve avere per prendere in carico questi pazienti, in ogni fase della patologia. Fra i requisiti irrinunciabili: la presenza di un team multidisciplinare, l’utilizzo della cartella clinica informatizzata e l’educazione terapeutica strutturata”.

Su che cosa si basa il Pdta per il diabete di tipo 1? Amd indica alcuni requisiti essenziali: la presenza di un team multidisciplinare, l’utilizzo della cartella clinica informatizzata e l’educazione terapeutica strutturata.

Spiega più in particolare la problematica Giuliana La Penna, coordinatrice del Gruppo di Studio Amd “Diabete tipo 1 e Transizione”: “Oggi, più che mai, occorre occuparsi di diabete tipo 1, la cui incidenza nei prossimi anni aumenterà del 70% nella fascia 0-29 anni e del 50% nei piccoli fino a 4 anni. In passato era considerato una condizione di pertinenza dei centri pediatrici, dato che colpisce prevalentemente bambini e giovani. Questi ragazzi, però, crescono e dai 18 anni vanno accolti nei centri diabetologici degli adulti. Per garantire che il passaggio avvenga nel modo migliore e tutti i diabetici di tipo 1 ricevano un’assistenza adeguata alle loro specifiche esigenze, abbiamo redatto il primo Pdta certificato, mettendo nero su bianco i requisiti minimi che un centro diabetologico deve avere per prendere in carico questi pazienti, in ogni fase della patologia. Fra i requisiti irrinunciabili: la presenza di un team multidisciplinare (per il quale abbiamo dettagliato l’elenco dei compiti di ogni professionista), l’utilizzo della cartella clinica informatizzata (perché, per occuparsi di diabete di tipo 1, è imprescindibile conoscere e saper impiegare le nuove tecnologie) e l’educazione terapeutica strutturata. Il prossimo passo sarà quello di presentare il Pdta alle Regioni, affinché si attivino per una sua concreta e omogenea applicazione su tutto il territorio nazionale”.

Commenta il presidente di Amd Domenico Mannino: “Nella pratica clinica quotidiana del diabete mellito di tipo 1, il centro diabetologico deve saper impiegare le tecnologie emergenti, conoscere gli ultimi aggiornamenti in tema di pancreas artificiale, ma anche lo scenario delle opzioni non tecnologiche, come le nuove insuline e le terapie non insuliniche orali e iniettive, ed essere strutturato sul fronte dell’educazione terapeutica. Il diabete tipo 1 è quindi materia molto complessa. Grazie al nuovo Pdta, abbiamo finalmente colmato un gap importante, perché non esisteva, a oggi, un documento unitario ed esaustivo in proposito”.

Parte essenziale di un efficace piano di cura del diabete di tipo 1 è inoltre l’aspetto psicologico-relazionale, fondamentale per mettere davvero “al centro la persona”. Lo sottolinea il vicepresidente di Amd Paolo Di Bartolo: “I diabetici di tipo 1 hanno bisogno di un gruppo di professionisti della salute con conoscenze e competenze specifiche, non solo su farmacocinetica e farmacodinamica delle insuline, modalità più innovative di somministrazione della stessa e di misurazione della glicemia o sull’ultimo sistema che si avvicina al pancreas artificiale, ma anche e soprattutto sul piano empatico. È importante parlare delle nuove ipotesi di cura e delle ultimissime tecnologie, ma non dobbiamo dimenticare l’ambito relazionale-educativo, discutendo quali siano gli strumenti più adatti per ingaggiare il paziente, rendendolo protagonista del percorso di cura. Il coinvolgimento attivo della persona diabetica, infatti, insieme all’appropriatezza nella scelta terapeutica, è la chiave per conciliare qualità, sostenibilità ed equità delle cure”.