Ridurre il consumo di carne processata potrebbe prevenire oltre 350mila casi di diabete di tipo 2 negli Stati Uniti nell’arco di un decennio. È quanto emerge da un recente  studio pubblicato su Lancet Planetary Health. “La carne processata è correlata direttamente a diverse patologie connesse con l’apparato gastrointestinale e questo studio altro non fa che evidenziare in maniera scientifica un’idea teorizzata da diversi anni: questo prodotto alimentare può influire direttamente sulla manifestazione del diabete”, commenta Lorenzo Traversetti, biologo nutrizionista, in un’intervista a Tutto Diabete.

ESAMINATI QUASI 9MILA INDIVIDUI

Per giungere a queste conclusioni i ricercatori hanno esaminato un campione composto da quasi 9mila individui, costituito per il 51,9% da donne e per il 48,1% da maschi. L’età media dei partecipanti è compresa tra i 49 e i 54 anni. Tra questi, il 13% soffre di diabete di tipo 2, l’8,8 di malattie cardiovascolari e lo 0,5 di cancro del colon-retto. In media, ogni intervistato era abituato a consumare 29,1 g di carne rossa processata al giorno, per cui una riduzione del 30% corrispondeva ad 8,7 g in meno al giorno. Mentre, la media giornaliera di carne rossa non lavorata era di 46,7 g che, con una riduzione del 30%, doveva corrispondere ad una rinuncia di 14 g al giorno. Il resto della dieta era caratterizzato da un elevato apporto giornaliero di cereali raffinati e zuccheri aggiunti e da un basso consumo di cereali integrali e verdure.

GLI EFFETTI SULLA SALUTE DELLA RIDUZIONE DI CARNE

Oltre a prevenire più di 350mila casi di diabete, ridurre l’assunzione di carne lavorata del 30% porterebbe a 92.500 casi in meno di malattie cardiovascolari e 53.300 casi in meno di cancro colorettale in un decennio. I ricercatori hanno anche analizzato gli impatti della riduzione del solo consumo di carne rossa non lavorata e della riduzione del consumo di entrambe le carni, lavorata e non lavorata. Ridurre il consumo di entrambe del 30% ha portato a 1.073.400 casi di diabete in meno, 382.400 casi in meno di malattie cardiovascolari e 84.400 casi in meno di cancro colorettale. Ridurre il solo consumo di carne rossa non lavorata del 30%, il  che significherebbe mangiare circa un hamburger di manzo in meno alla settimana, ha portato a 291.500 casi in meno di malattie cardiovascolari, 32.200 casi in meno di cancro colorettale e ad oltre 732 mila casi di diabete in meno. “Quest’ultimo dato ben si sovrappone ad una precedente ricerca da cui era emerso un dato comparabile – continua il dottor Traversetti -. Infatti, uno studio recentemente pubblicato sull’American Journal of Clinical Nutrition ha evidenziato che una porzione aggiuntiva al giorno di carne rossa processata è risultata associata a un rischio di diabete 1,46 volte maggiore”.

 

 

GLI STILI DI VITA

La dieta, dunque, gioca un ruolo essenziale sia nella comparsa, che nella gestione del diabete di tipo 2, “ma – sottolinea il biologo nutrizionista – esistono dei cofattori altrettanto importanti che rientrano in quelli che comunemente definiamo i ‘corretti stili di vita’. In primis, è essenziale mantenersi fisicamente attivi per permettere alla ‘macchina corpo’ di lavorare al meglio ed evitare l’insorgenza di questa patologia. Con stile di vita sano non si intende andare in palestra (o fare sport), per esempio, due volte a settimana. Questo perchè, la settimana si configura come un periodo di sette giorni e muoversi in due soli di essi, significa essere sedentari nei restanti cinque. Essere attivi vuol dire muoversi ogni giorno per almeno 30-40 minuti in modo continuativo, per esempio con una camminata a passo sostenuto o con una attività fisica di tipo funzionale. Ciò anche per contrastare l’inevitabile sedentarietà derivante da attività lavorative sempre più stazionarie”.

FUMO E ALCOL

Altri cofattori per la comparsa del diabete di tipo 2 sono il fumo e il consumo regolare (anche non esagerato) di alcol e superalcolici. “In entrambi i casi si tratta di elementi che prevedono un sovradosaggio di molecole che il nostro fegato dovrebbe metabolizzare (la nicotina e l’alcol). Nel caso specifico dell’alcol – spiega Traversetti -, questo antinutriente deve tale fama al fatto che viene metabolizzato istantaneamente in glucosio a livello epatico, contribuendo ad alzare molto il picco glicemico seguente al suo consumo. In più, alterando l’equilibrio della microflora intestinale (microbiota) impatta direttamente anche sulla salute del tubo digerente causando malassorbimento di alcuni sali minerali e vitamine, un ulteriore cofattore della potenziale comparsa di diabete”.

L’ECCESSO DI CARBOIDRATI SEMPLICI

Il diabete è direttamente correlato ad un funzionamento non ottimale del fegato e, di conseguenza del pancreas, ghiandola direttamente implicata nella produzione e rilascio dell’insulina. “Dunque, una dieta che non tuteli la funzionalità di questi organi, può avere un effetto diretto o indiretto sulla comparsa della patologia”, aggiunge l’esperto. Tra gli alimenti ritenuti maggiormente responsabili di ciò, ci sono i carboidrati semplici. “Recentemente alcuni studi hanno evidenziato come il consumo (nonché l’abuso) di pane bianco, riso bianco e cereali raffinati, possa avere un’incidenza sulla comparsa di diabete maggiore rispetto al consumo dello zucchero semplice – commenta il biologo nutrizionista -. Lo stesso effetto si può associare anche al ricorso sistematico ad alimenti della grande distribuzione quali prodotti in scatola, ricchi di conservanti e, soprattutto, di eccipienti. Queste molecole, spesso di sintesi, devono necessariamente essere metabolizzate dal fegato e, quando consumate in grandi quantità, possono portare ad un suo affaticamento nonché ad un suo ‘malfunzionamento’”.

SI’ A PESCE E CARNE MAGRA

Inoltre, il concetto di magro, ben si abbina alla classificazione delle proteine che può consumare una persona che soffra di diabete di tipo 2. “Dunque, spazio alla carne magra (pollo, tacchino ma anche vitella e vitellone) e al pesce magro (tutti i pesci che, da cotti, possiedono delle carni di colore bianco) – consiglia Traversetti -. Nel caso della carne, uno o due volte alla settimana, prediligendo carne fresca e non conservata, né processata. Per quanto concerne il pesce, da due a tre porzioni al giorno circa, facendo molta attenzione alla provenienza. I pesci e gli animali di allevamento, infatti, vengono alimentati con mangimi molto processati e ricchi di grassi, per favorire un loro rapido accrescimento. Di contro, la qualità della sua carne sarà inevitabilmente scadente e rischierebbe di affaticare il fegato rendendolo meno propenso a gestire bene la glicemia ematica. Oltre a ciò, sicuramente non dovrebbero mai mancare alimenti ricchi in proteine vegetali. Quindi, ottima scelta sarebbe quella di utilizzare i legumi e la frutta secca (quest’ultima senza superare i 30g al giorno poiché si tratta di un tipo di alimento molto grasso)”, aggiunge lo specialista.

LA DIETA MEDITERRANEA

Se, invece, dobbiamo poi immaginare quali cibi sia consigliato abbinare alle proteine per un paziente che soffre di diabete, la risposta ci viene direttamente dall’UNESCO.  “Esiste una dieta, patrimonio immateriale dell’umanità dal 2012 che è la dieta mediterranea. Con questa definizione – dice Traversetti  -, ci si riferisce alla dieta mediterranea originaria, basata sul consumo soprattutto di proteine vegetali e con l’inserimento sporadico di quelle di origine animale, con l’eccezione delle uova e di alcuni latticini i quali possono essere mangiati con maggiore libertà. Il tutto sempre bilanciato da una giusta fonte di carboidrati complessi (pasta, riso o pane integrale o altri cereali in chicco non perlati). Quindi, ogni pasto dovrebbe avere un cereale, una proteina (prevalentemente legumi ma anche uova, latticini, pesce circa 2-3 volte a settimana e carne 1-2 volte) e le immancabili verdure. A queste due porzioni di verdura – conclude Traversetti – andrebbero associate le due di frutta, meglio se assunte insieme alla frutta secca (anch’essa fonte di proteine sane) negli spuntini”.

 

 

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