Da alcuni anni si parla con una certa insistenza sulle prospettive di cura del diabete attraverso l’uso di cellule staminali, cioè quelle primitive, presenti in tante parti del nostro organismo (per esempio, nel midollo osseo o nel sangue del cordone ombelicale), non specializzate e capaci di trasformarsi in altri tipi di cellule. La Società italiana di diabetologia ha ritenuto di intervenire per fare chiarezza sul tema “diabete e staminali”, esprimendo il proprio parere con un “position paper”, un documento ufficiale intitolato “‘Cellule staminali nella terapia del diabete’, redatto dal Gruppo di studio Sid “Medicina rigenerativa in ambito diabetologico”, coordinato dal professor Lorenzo Piemonti (Diabetes Research Institute-Irccs, Ospedale San Raffaele, Milano). Il documento fa il punto sullo stato della ricerca e della sperimentazione nel mondo in materia di diabete e staminali.

Secondo Piemonti, “è più che corretto avere una grande fiducia per il futuro, ma è altrettanto necessario mantenere un sano realismo e un doveroso rigore scientifico”. La strada è promettente, ma siamo ancora agli inizi. È incoraggiante il fatto che, come spiega Piemonti, nell’ottobre del 2014 è cominciata “la prima sperimentazione nell’uomo per la terapia del diabete di tipo 1, utilizzando cellule produttrici di insulina, derivate da cellule staminali” e che “sono in fase di ‘traslazione’ nell’uomo almeno altri tre approcci simili”.

La medicina rigenerativa con cellule staminali alimenta speranze perché ha la potenzialità non solo di trattare, ma di guarire in modo definitivo il diabete.

Siamo in una fase di sperimentazione, ma la medicina rigenerativa con cellule staminali alimenta speranze perché ha la potenzialità non solo di trattare, ma di guarire in modo definitivo il diabete. Il binomio “diabete e staminali” potrebbe diventare un’accoppiata vincente.

In prospettiva le cellule staminali potrebbero rappresentare una soluzione più avanzata del trapianto di insule pancreatiche o dello stesso pancreas, che porta con sé il duplice problema della scarsità di donatori e della necessità di complesse terapie immunosoppressive per evitare il rigetto.

Potenzialmente, le staminali sono utilizzabili sia per il diabete di tipo 1 sia per il diabete di tipo 2. Osserva la Sid: “Le cellule staminali possono essere utilizzate per sostituire le cellule produttrici di insulina mancanti o malfunzionanti; di questo potrebbero beneficiare tutti i pazienti con diabete di tipo 1 e quelli con diabete secondario a gravi malattie pancreatiche in cui sia presente un deficit di secrezione dell’insulina. Ma le cellule staminali possono essere utilizzate anche per mantenere vive le cellule beta pancreatiche (quelle che producono insulina), proteggendole dall’attacco del sistema immunitario (alla base del diabete di tipo 1) o dal danno legato al troppo lavoro, nel diabete di tipo 2. Infine esiste la possibilità di utilizzare cellule staminali anche per trattare le complicanze del diabete e favorire la riparazione di organi come il cuore, il rene e l’occhio”.

La Sid spiega che “dalla vita embrionaria fino alla morte il nostro corpo contiene cellule staminali di diverso tipo e con diversa ‘potenza’, cioè capacità di differenziarsi in più tessuti. Le cellule più potenti (totipotenti e pluripotenti) sono generalmente presenti solo in fase embrionale e fetale. Cellule a potenza intermedia (multipotenti) o limitata (unipotenti) sono presenti invece per tutta la vita. Questa regola però non è assoluta. Alcune cellule staminali, anche dopo la nascita, mostrano capacità differenziativa elevata. Inoltre, è stato dimostrato che è possibile fare acquisire le caratteristiche delle staminali pluripotenti, anche a cellule non staminali prelevate dall’adulto. Questa scoperta (processo di riprogrammazione) è valsa il premio Nobel nel 2012 a Shinya Yamanaka dell’Università di Kyoto e a John Gurdon dell’Università di Cambridge”.

Secondo diversi studi, attraverso la riprogrammazione delle cellule in laboratorio, è possibile partire da cellule staminali di diversa origine e trasformarle in cellule produttrici di insulina (beta cellule pancreatiche) o prendere una cellula della pelle, riportarla allo stadio staminale e trasformarla, per differenziazione, in una cellula che produce insulina. Le potenzialità di questa branca di ricerca sono dunque enormi.

Enzo Bonora (Sid): “In un futuro non lontano la terapia con cellule staminali sarà utilizzata con successo nel diabete, ma dobbiamo essere corretti nell’affermare che questa terapia oggi non è disponibile”.

Naturalmente, la Sid si sente in dovere di dichiarare esplicitamente che “al momento non esistono terapie basate sull’utilizzo delle cellule staminali clinicamente approvate per la terapia del diabete”. Commenta infatti il presidente della Società italiana di diabetologia Enzo Bonora: “Negli ultimi anni ci sono stati troppi episodi in cui persone malate o loro familiari sono stati illusi sulla possibilità concreta e immediata di ricorrere alla terapia con cellule staminali o presunte tali per varie patologie. Per questo abbiamo deciso di costituire un gruppo di lavoro formato da esperti che operano con assoluto rigore scientifico. A questi esperti, che stanno lavorando personalmente in questo campo in maniera per ora del tutto sperimentale, abbiamo chiesto di redigere un documento ufficiale che rifletta la posizione della nostra società e che ponga in evidenza la realtà, alimentando la fiducia. ma evitando le mistificazioni. Sappiamo che in un futuro non lontano la terapia con cellule staminali sarà utilizzata con successo nel diabete ma dobbiamo essere corretti nell’affermare che questa terapia oggi non è disponibile”.