Perdere un lavoro o vedere sfumare un’opportunità solo per convivere con una malattia cronica controllata: è quanto è accaduto a un candidato con diabete tipo 1, escluso da una graduatoria per conducenti dopo un giudizio di inidoneità di Rete Ferroviaria Italiana (RFI), recepito poi da TPL Linea S.r.l. Nonostante controlli glicemici perfetti e l’uso di tecnologie avanzate di monitoraggio, la candidatura è stata respinta automaticamente, sulla base di pregiudizi e non di una valutazione clinica reale. Per fortuna, la vicenda si è conclusa con una vittoria del diritto e della scienza: il Tribunale di Savona ha condannato TPL Linea S.r.l. per discriminazione.
LA SENTENZA: DIRITTO E SCIENZA PREVALGONO
Emessa lo scorso 10 ottobre, la sentenza definisce chiaro il quadro: si è trattato di vera discriminazione. I sanitari di RFI avevano dichiarato il candidato inidoneo solo perché diabetico, senza considerare le sue effettive condizioni di salute. Fand – Associazione Italiana Diabetici Odv – ha accolto con soddisfazione il riconoscimento dei diritti delle persone con diabete. Dopo una consulenza tecnica approfondita, il Giudice ha stabilito che:
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il diabete tipo 1 ben controllato non impedisce di svolgere la professione di conducente;
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le moderne tecnologie (sensori e microinfusori) rendono praticamente nullo il rischio di ipoglicemia;
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servono valutazioni personalizzate sulle condizioni reali del candidato;
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non si può escludere una persona solo per la diagnosi di diabete.
Si tratta della terza condanna a RFI per lo stesso tipo di discriminazione: nel 2022 e 2023 Tribunale e Corte d’Appello di Genova avevano già dato ragione a Chiara, esclusa dal ruolo di capostazione per diabete. Il Tribunale di Savona ribadisce un messaggio chiaro: chi ha il diabete ben compensato può svolgere qualsiasi lavoro.
UNA VITTORIA PER TUTTE LE PERSONE CON DIABETE
“Questa sentenza è una vittoria per tutte le persone con diabete – commenta l’Avv. Michele Nannei, Consigliere Fand –. Il diabete ben controllato non è un ostacolo al lavoro, le moderne tecnologie lo dimostrano ogni giorno. Chiedo con forza di aprire un tavolo di confronto con RFI, con la partecipazione delle società medico-scientifiche, per condividere un protocollo specifico e fermare queste indegne discriminazioni”.
DOVE SI ANNIDANO ANCORA LE DISCRIMINAZIONI
Secondo l’avvocato Nannei, le discriminazioni persistono in ambiti professionali dove la normativa è ferma a logiche superate. Il Decreto Ministeriale 198/2003 – pensato per la Polizia di Stato – è diventato riferimento per quasi tutte le Forze Armate e i corpi militarizzati: Polizia Penitenziaria, Carabinieri, Esercito, alcuni Corpi di Polizia Municipale, Vigili del Fuoco. Qui il diabete è ancora considerato “causa di inidoneità” senza distinguere tra tipo 1 e tipo 2, tra compensato e scompensato, tra chi usa tecnologie avanzate e chi no. Esempi emblematici sono atlete come Anna Arnaudo e Giulia Gaetani, diabetiche tipo 1, campionesse a livello nazionale e internazionale, ma escluse dai corpi delle Forze Armate. “È assurdo – sottolinea Nannei –: una persona idonea a gareggiare alle Olimpiadi o vincere Coppe del Mondo viene dichiarata non idonea a un gruppo sportivo militare per ottenere un supporto economico che altri atleti ricevono”.
L’URGENZA DI CAMBIARE LE REGOLE
Il caso di Savona segna una svolta e potrebbe spingere verso l’aggiornamento dei protocolli medico-lavorativi. “La rivoluzione è già nelle sentenze – spiega Nannei –. La Corte d’Appello di Genova e il Tribunale di Savona hanno stabilito che una persona con diabete tipo 1 in controllo ottimale, con dispositivi che annullano sostanzialmente il rischio di ipoglicemia, può svolgere mansioni delicate come capostazione o autista di mezzi pubblici. Ogni valutazione deve partire dai dati clinici individuali e dalle tecnologie in uso, con formazione specifica e certificazioni ufficiali dei centri diabetologici. La Spagna ha già abrogato tutte le disposizioni che impedivano l’accesso dei lavoratori diabetici alle Forze Armate, affidando la valutazione caso per caso. È tempo che anche l’Italia faccia lo stesso passo: non si può più accettare che una diagnosi cancelli diritti e competenze”.
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