Evitare una glicemia troppo alta non basta. Bisogna guardarsi anche dall’ipoglicemia, ovvero da valori troppo bassi, sotto i 70 mg/dl, che possono causare complicazioni e problemi di vario tipo, a breve e a lungo termine. Vediamo come bilanciare controlli e terapia.

In una recente rassegna pubblicata sulla rivista Diabetes Care, un gruppo di studio della Associazione americana per il diabete (la Ada) e della Società americana di endocrinologia ha rivisto i criteri diagnostici e le implicazioni cliniche e terapeutiche a breve e a lungo termine della ipoglicemia in corso di diabete. Ha anche indicato le strategie e i progressi più recenti mirati alla prevenzione degli episodi ipoglicemici (Seaquist ER et al. Hypoglycemia and diabetes: a report of a workshop group of the American diabetes association and the Endocrine society. Diabetes Care 2013; 36:1384-95).

L’ipoglicemia nei pazienti diabetici è causata dalla terapia insulinica e dai farmaci che stimolano la secrezione insulinica come le sulfoniluree e le glinidi.

Non hanno invece un effetto ipoglicemizzante diretto la metformina, i tiazolidinedioni e i farmaci incretino-simili.

È 2-3 volte più frequente nel diabete di tipo 1 rispetto al diabete di tipo 2, ma, poiché quest’ultimo è assai più frequente del diabete di tipo 1, la maggior parte degli episodi di ipoglicemia, inclusi i più gravi, riguardano i pazienti di tipo 2.

Segnali d’allarme

La soglia glicemica al di sotto della quale compaiono i sintomi di allarme dell’ipoglicemia (sudorazione fredda, tremori, senso di fame, tachicardia, palpitazioni di cuore) dovuti alla attivazione del sistema adrenergico, è stata identificata nel valore di 70 mg/dl.

I sintomi di allarme vengono inviati dal cervello che dipende essenzialmente dal glucosio per il suo metabolismo e che perciò è estremamente sensibile a una riduzione della concentrazione di glucosio nel sangue. Se non si interviene tempestivamente con l’assunzione di zucchero, compaiono i segni che esprimono una vera sofferenza cerebrale e che si esprimono con un’alterazione dello stato di coscienza con perdita della lucidità e della capacità di reazione, comportamenti anomali, tra cui il rifiuto di assumere cibo o bevande zuccherate, fino alla comparsa di convulsioni e di uno stato di coma. Sono questi i casi di “ipoglicemia severa” che richiedono l’intervento di un’altra persona per la somministrazione di glucosio, carboidrati o glucagone e per ogni altra misura correttiva che si ritenga necessaria.

Riscontrare all’automonitoraggio della glicemia un valore eguale o inferiore a 70 mg/dl deve porre in allarme per il rischio della insorgenza a breve termine di una ipoglicemia grave e indurre a mettere in atto alcuni provvedimenti.

Tra questi, la ripetizione dell’esame a distanza di poco tempo, l’assunzione di carboidrati, ma anche l’interruzione di un esercizio fisico eventualmente in atto o la rinuncia alla guida di un’auto finché la glicemia non mostri una tendenza alla risalita.

Perdita di sensibilità

Non tutti i pazienti rispondono allo stesso modo a identici valori di glicemia. Nei pazienti che vanno incontro con particolare frequenza a episodi ipoglicemici anche lievi, si stabilisce una sorta di assuefazione cerebrale a valori subnormali di glicemia che impedisce l’attivazione del sistema adrenergico e quindi la comparsa dei sintomi di allarme dell’ipoglicemia.

È questa la sindrome della cosiddetta “perdita della sensibilità all’ipoglicemia”, nota anche come “hypoglycemia unawareness”, caratterizzata da una riduzione della risposta adrenergica e della secrezione di glucagone e di adrenalina, che rende i pazienti meno sensibili a valori bassi di glicemia e li espone perciò al rischio di una caduta ulteriore e non controllata della glicemia.

In questi casi, infatti, l’ipoglicemia si manifesta solo quando la glicemia scende bene al di sotto del valore soglia prima indicato di 70 mg/dl, con i segni della “neuroglicopenia”, cioè della sofferenza del sistema nervoso centrale, sia pure temporanea, dovuta alla carenza di glucosio. Il primo segno è, infatti, la confusione mentale che pone il paziente nella necessità di ricevere un aiuto esterno senza il quale sarebbe esposto ai rischi di una ipoglicemia severa e potenzialmente fatale. La notizia positiva è che, se non c’è un danno del sistema nervoso autonomo nell’ambito di una neuropatia, i sintomi di allarme dell’ipoglicemia possono essere recuperati dopo un periodo di alcuni mesi in cui si sia attuato un controllo meno rigoroso della glicemia.

L’ipoglicemia grave espone al rischio di complicanze cardiovascolari, particolarmente nei diabetici di tipo 2, frequentemente portatori di un danno aterosclerotico a carico del circolo coronarico o cerebrale. Per questo, gli obiettivi glicemici della terapia devono tener conto delle condizioni cliniche individuali con particolare riguardo all’età, alla durata del diabete, alla presenza di altre patologie, all’attesa di vita. Mentre in un soggetto giovane con diabete di tipo 1 o in un adulto con diabete di tipo 2 di recente insorgenza e privo di complicanze cardiovascolari è opportuno spingere il controllo metabolico fino a ottenere un valore di emoglobina glicata inferiore al 7%, nei diabetici anziani o portatori di un danno circolatorio è preferibile perseguire obiettivi meno ambiziosi così da evitare con maggiore certezza il rischio ipoglicemico. Importanti studi clinici come l’Accord, il Vadt e l’Advance hanno dimostrato, in effetti, che a un controllo glicemico troppo rigoroso dei diabetici di tipo 2 corrisponde un aumento della mortalità, attribuibile, almeno in parte, a episodi ipoglicemici. Uno dei meccanismi ipotizzati è quello di una aritmia cardiaca fatale evocata dalla crisi ipoglicemica.

Qualità di vita

L’ipoglicemia ha un impatto negativo sulla qualità di vita particolarmente nei diabetici di tipo 1. Il timore dell’ipoglicemia, particolarmente notturna, a maggior ragione se ricorrente, è causa di ansietà e depressione e può interferire negativamente sulla resa lavorativa e sui rapporti interpersonali. L’occorrenza di frequenti ipoglicemie rappresenta inoltre un limite alla concessione della patente di guida per il maggior rischio possibile di incidenti stradali.

L’ipoglicemia può essere prevenuta in buona parte attraverso l’attuazione di una terapia quanto più possibile consona al modello fisiologico e attraverso un programma mirato di educazione.

Nei pazienti in trattamento insulinico l’introduzione degli analoghi ad azione rapida e ritardata di insulina ha rappresentato un vero punto di svolta. L’uso di un analogo rapido ai pasti associato a una o due dosi di un analogo ad azione protratta consente infatti di avvicinare il modello di terapia a quello fisiologico di secrezione insulinica minimizzando le oscillazioni glicemiche durante la giornata. Ancora più soddisfacenti e vicini alla fisiologia sono ovviamente i risultati della infusione continua sottocutanea di insulina mediante minipompa, specie se associata alla registrazione continua della glicemia mediante un sensore del glucosio.

Corretta educazione

Un contributo essenziale alla prevenzione della glicemia viene dalla corretta educazione dei pazienti all’uso dell’insulina e degli antidiabetici orali.

I pazienti devono essere consapevoli delle caratteristiche farmacocinetiche delle varie preparazioni di insulina per imparare a equilibrare l’effetto dell’insulina con una quantità adeguata di carboidrati ingeriti. Fondamentale al riguardo è il ricorso a una dieta a contenuto fisso di carboidrati ai singoli pasti idoneo a bilanciare la dose consigliata di insulina o, ancor meglio, ove possibile, l’apprendimento della metodologia atta a riconoscere il contenuto di carboidrati dei vari alimenti per poter calcolare la dose più idonea di insulina da somministrare di volta in volta. Infatti, è noto che una unità di insulina è in grado di metabolizzare, in rapporto alla variabile sensibilità all’insulina dei diversi soggetti, da 10 a 15 grammi di glucosio.

Nei soggetti con diabete di tipo 2, ove si usino farmaci che stimolano la secrezione insulinica (sulfoniluree o glinidi) è opportuno illustrarne la durata di azione, dando la preferenza a quelli a minor durata di azione con lo scopo di minimizzare l’effetto ipoglicemizzante, che può manifestarsi a distanza dalla ingestione dei pasti. In un progetto educativo è opportuno anche richiamare l’attenzione sui possibili fattori che predispongono a un episodio ipoglicemico, come l’omissione o una sensibile riduzione di un pasto, un esercizio fisico inusuale, l’ingestione di una quantità di alcol eccessiva o un errore nel dosaggio insulinico. Un’attività fisica in eccesso rispetto a quella abituale può favorire un episodio di ipoglicemia se non si è avuto cura di ridurre preliminarmente la dose di insulina o, meglio, di introdurre una dose suppletiva di carboidrati prima del suo inizio. È opportuno al proposito che i soggetti che si accingono a iniziare un’attività fisica protratta abbiano la pronta disponibilità di carboidrati a rapido assorbimento ed eseguano l’automonitoraggio della glicemia.

L’aiuto della tecnologia

Un importante progresso tecnologico utile alla prevenzione dell’ipoglicemia è rappresentato dalla disponibilità dei sistemi di registrazione continua della glicemia mediante l’impiego di un sensore sottocutaneo. Il monitoraggio continuo protratto per alcuni giorni -la durata attuale di un sensore è di circa una settimana- consente di valutare assai meglio che con il semplice uso di un glucometro le oscillazioni glicemiche giornaliere e di apportare quindi le necessarie correzioni alla terapia.

Le minipompe di più recente generazione abbinano il sistema infusionale alla registrazione continua della glicemia con la possibilità di interrompere automaticamente, per un tempo determinato, l’infusione di insulina quando la glicemia scenda al di sotto di un valore prestabilito. In tal modo, viene prevenuta l’ipoglicemia e, se l’infusore è usato la sera, dà una maggiore sicurezza ai pazienti diabetici che temono soprattutto l’ipoglicemia notturna. L’associazione nello stesso strumento del modulo infusionale e del sistema per la rilevazione continua della glicemia rappresenta un notevole passo avanti nella realizzazione di un vero pancreas artificiale miniaturizzato e portatile destinato a rivoluzionare la terapia del diabete e a porre la parola fine, specialmente per i pazienti di tipo 1 in trattamento insulinico, al timore delle complicanze microvascolari (retinopatia, nefropatia, neuropatia) a lungo termine.

di Paolo Brunetti