Gli stili di vita sbagliati sono tra le principali cause dell’insorgenza del diabete di tipo 2.

È quanto già emergeva da un’indagine -non recentissima, ma tuttora sostanzialmente valida- dei Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie degli Usa (Centers for disease control and prevention), dalla quale si apprendeva che, negli Stati Uniti, nel 2010, vi erano 18,8 milioni di diabetici diagnosticati e 7 milioni di soggetti con diabete non diagnosticato.

Nel confronto con i dati dei quindici anni precedenti, si desumeva che la prevalenza media del diabete diagnosticato negli Usa era aumentata criticamente in tutte le fasce di età, in entrambi i sessi e in tutti i gruppi etnici dal valore medio originario del 4,5% a quello dell’8,2%.

Ciò significa che nell’arco di tempo considerato, la diffusione del diabete è aumentata in una misura eguale o superiore al 50% in 42 Stati e al 100% in 18 Stati. L’osservazione importante da aggiungere è che questo incremento è in parte dovuto all’aumento della durata di vita, ma un ruolo preminente è svolto dallo stile di vita.

Gli estensori del documento dei Cdc sottolineano la necessità di strategie rivolte all’intera popolazione e ai gruppi di soggetti ad alto rischio di diabete per invertire questa tendenza e fanno riferimento al National diabetes prevention program, nato da una partnership pubblico-privato di organizzazioni comunitarie, compagnie assicurative e agenzie governative, che sostiene l’implementazione, a livello nazionale, di una politica volta alla correzione degli stili di vita sbagliati attraverso la promozione di buone pratiche nutrizionali, di un incremento dell’attività fisica e di una modesta perdita di peso fra le persone ad alto rischio.

Lo studio citato dal Cdc, su cui si basa il Diabetes prevention program, rileva infatti che un intervento strutturato e coerente di cambiamento degli stili di vita basato sulla riduzione delle calorie e l’aumento dell’attività fisica sino a portarla ad almeno 150 minuti la settimana, è efficace nella prevenzione del diabete tipo 2 e permette di ridurre del 58% la possibilità di sviluppare la patologia in persone adulte ad alto rischio.

Riproduzione riservata ©