La misurazione della emoglobina glicata (o glicosilata), è un importante esame di laboratorio che permette di rilevare l’andamento medio della glicemia (cioè della concentrazione di glucosio nel sangue) in un lasso di tempo di due-tre mesi ed è considerato quindi un’attendibile fotografia dell’equilibrio glicemico della persona con diabete. Si consiglia di eseguirlo almeno una volta l’anno, ma, a seconda della situazione del paziente, il diabetologo può decidere di far fare il test anche più frequentemente. Le indicazioni più recenti suggeriscono due controlli all’anno e un esame ogni tre mesi per coloro in cui l’obiettivo terapeutico non è stato ancora raggiunto o non è stabile. (di emoglobina glicata abbiamo parlato anche qui).

I valori di riferimento della emoglobina glicata sono questi: si ritengono normali se inferiori al 5,7%; si parla di prediabete tra 5,7 e 6,4% (con alto rischio di diabete per chi supera il 6%); sono indicativi di diabete i valori superiori a 6,4%.

Chi ha il diabete deve quindi tenere d’occhio la glicemia non soltanto con i controlli quotidiani, ma anche sottoponendosi alla verifica periodica dell’esame della glicata. Una buona emoglobina glicata mantenuta nel tempo contribuisce a prevenire le complicanze acute e croniche del diabete, causate dalla iperglicemia. Ma quali sono i valori di emoglobina glicata ottimali a cui deve puntare una buona gestione del diabete?

L’edizione 2018 degli Standard italiani per la cura del diabete mellito elaborati dalla Società italiana di diabetologia e dalla Associazione medici diabetologi -che indicano a diabetologi e medici che si occupano di diabete le linee guida per la cura ottimale della patologia- hanno affrontato la tematica dell’emoglobina glicata da questo punto di vista, aggiungendo qualche novità ricavata dagli studi scientifici più recenti e dalla pratica clinica.

Sid e Amd: “L’obiettivo di cura prevede il raggiungimento di target glicemici ben definiti, poiché il superamento di tali target si associa a un maggiore rischio di insorgenza di complicanze, acute o croniche, legate al diabete. I target possono tuttavia essere differenziati a seconda della tipologia di paziente”.

Gli Standard di cura sottolineano l’importanza di stabilire “target glicemici” da raggiungere e mantenere per non aprire la strada al rischio di complicanze, aggiungendo però che il medico può differenziarli a seconda delle caratteristiche, sia cliniche sia sociali, del paziente con diabete.

In caso di diabete di tipo 1 il valore di emoglobina glicata a cui tendere è il 6,5% se non vi sono complicanze, elevabile al 7% se ve ne sono.

Nel caso di diabete di tipo 2, l’obiettivo del 6,5% resta valido, ma il documento consiglia di adottare all’occorrenza una certa flessibilità, necessaria in alcuni casi per evitare i rischi di ipoglicemia.

La novità degli Standard 2018 -commentano Sid e Amd- sta appunto “nel declinare l’obiettivo di emoglobina glicata da raggiungere, anche a seconda della terapia farmacologica adottata. Così, laddove si preveda l’impiego di farmaci in grado di determinare ipoglicemia (insulina, sulfaniluree o glinidi) vi è indicazione di mantenere l’obiettivo di emoglobina glicata da raggiungere a livelli più elevati (tra 6,5 e 7,5%)”.

“In caso di impiego di farmaci in grado di causare ipoglicemia -proseguono le associazioni dei diabetologi- è bene anche tenere conto della presenza di condizioni che ne possano aumentare ulteriormente il rischio (infanzia e adolescenza, età molto avanzata, presenza di comorbilità). In questi casi, può essere opportuno mantenere l’emoglobina glicata a livelli relativamente più elevati, fino a un massimo di 8%. Al contrario, nei casi di diabete non complicato e trattati con farmaci che non determinano ipoglicemia si potrà spingere l’obiettivo di glicata da raggiungere al 6,5%”.