Una recente analisi sul costo del diabete in Italia è stata elaborata, sulla base di fonti aggiornate e documentate, da esperti di Coresearch (Antonio Nicolucci e Maria Chiara Rossi) e Crea Sanità (Federico Spandonaro). La potete leggere per intero nel decimo “Italian Barometer diabetes and obesity report Report” (pubblicato nell’aprile 2017 con il titolo “Facts and figures about type 2 diabetes and obesity in Italy” e redatto in collaborazione con l’Istat – vedi anche qui). Il saggio (“L’impatto economico del diabete in Italia”) ci dice che l’8% del budget sanitario totale nazionale è assorbito dal diabete e che ogni anno si spendono per questa patologia oltre 9,25 miliardi di euro (considerando soltanto i costi diretti), cifra che può salire rapidamente sino a 12 con la prevista crescita dei pazienti diagnosticati a quota 4 milioni.

Una persona con diabete costa al sistema sanitario più del doppio di un soggetto di pari età e sesso ma non diabetico.

Consultando ancora le cifre indicate da Italian Barometer, si rileva che, mediamente, una persona con diabete costa ogni anno 2600-3100 euro per assistenza e cure: è oltre il doppio del costo di una persona di uguale età e stesso genere, ma non diabetica.

Non è il trattamento la maggior voce di spesa per la cura del diabete: tra farmaci e presidi diagnostici pesa per l’11%. I costi più alti, oltre il 50%, sono causati dai ricoveri ospedalieri, spesso dovuti alle complicanze del diabete.

Sul costo del diabete per il Servizio sanitario nazionale ciò che pesa di più sono di gran lunga i ricoveri ospedalieri: il 67,6% della spesa riguarda appunto interventi e degenze in ospedale (50,2%) e cure ambulatoriali (17,4%). I farmaci specifici per il diabete incidono soltanto per il 6,9%, i presidi diagnostici per il 4,3%; il restante 21% è relativo a tutti gli altri farmaci necessari per altri problemi di salute. In proposito gli autori commentano che queste percentuali dimostrano che “non è assolutamente il trattamento la voce di spesa più rilevante, ma che si può incidere significativamente sui costi solo riducendo le ospedalizzazioni”.

Il dato della preponderanza ospedaliera nel complessivo costo del diabete si spiega più chiaramente osservando che il 20-25% delle persone con diabete viene ricoverato in ospedale almeno una volta l’anno. Chi ha il diabete infatti ha -rispetto al non diabetico- un rischio da una volta e mezzo a due volte maggiore di dover ricorrere all’ospedale e la durata dell’eventuale ricovero è mediamente del 20% superiore per una persona diabetica.

Inoltre, una particolare voce di spesa, strettamente connessa al diabete, riguarda le crisi ipoglicemiche gravi: secondo il rapporto, più di cinquanta milioni di euro vengono spesi ogni anno per ricoveri determinati da ipoglicemie severe, un fenomeno che interessa un terzo dei soggetti con diabete di tipo 1 da molti anni e un quinto di quelli con diabete di tipo 2 sottoposti a terapia insulinica.

Le cifre sulla spesa complessiva diretta dovuta alla cura del diabete riportate da Italian Barometer parlano di oltre 9,25 miliardi di euro, come detto sopra. Altre volte si è parlato di un importo ancora superiore: 15 miliardi. La differenza può essere spiegata con l’uso di differenti criteri di valutazione. In proposito, può essere utile leggere le parole del diabetologo Enzo Bonora, già presidente della Sid (cfr. “Impatto socio-sanitario del diabete“ in “Il diabete in Italia”, a cura di Enzo Bonora e Giorgio Sesti, Bononia University Press, Bologna 2016): “In Italia la quota di spesa che il Fondo sanitario nazionale si accolla per curare le persone con diabete, una malattia che condiziona un più facile sviluppo di qualsiasi altra malattia, è di circa 15 miliardi di euro all’anno, pari a oltre il 10% del totale. Questa somma è calcolata utilizzando i costi reali dei ricoveri e delle varie prestazioni specialistiche e non le tariffe virtuali. Utilizzando queste ultime, comunque, la spesa, seppure inferiore a quella di altri Paesi occidentali, è comunque ingente e ammonta a circa 10 miliardi di euro per anno (9, 15)”.

In ogni caso, che si guardi alle stime inferiori o a quelle superiori, l’impatto economico del costo del diabete è assai forte. Si pensi che ai costi diretti vanno poi aggiunti quelli indiretti sui quali, secondo Italian Barometer, esistono stime recenti che li valutano in oltre 10 miliardi l’anno.

Si può fare qualcosa per migliorare questo quadro? Sì. Ne parla lo stesso Rapporto Italian Barometer in un altro saggio: “Una pandemia che può essere affrontata”, a cura di Ibdo Foundation (Marco Cappa, Francesco Giorgino, Gerardo Medea, Paolo Sbraccia, Ketty Vaccaro) e Coresearch (Antonio Nicolucci, Maria Chiara Rossi), là dove si parla di “implementazione di azioni costo-efficaci”.

Italian Barometer: “Numerose prove hanno dimostrato che un trattamento più efficace nelle fasi precoci aumenta marginalmente i costi iniziali, ma li riduce nel lungo termine, poiché ritarda o previene l’insorgenza di complicanze e la necessità di ricorrere ai relativi trattamenti ospedalieri”,

Scrivono gli autori: “Recentemente, numerose prove hanno dimostrato che un trattamento più efficace nelle fasi precoci aumenta marginalmente i costi iniziali, ma li riduce nel lungo termine, poiché ritarda o previene l’insorgenza di complicanze e la necessità di ricorrere ai relativi trattamenti ospedalieri, migliorando altresì le prospettive a lungo termine della persona con diabete. Si è inoltre dimostrato che un trattamento intensivo con diversi farmaci antidiabetici riduce la mortalità associata al diabete del 50% nel corso di 13 anni, e porta a un risparmio economico già dopo 4 anni”.

Sono le complicanze la principale fonte di sofferenza per le persone e di incremento dei costi per il sistema sanitario, ma -ricordano gli studiosi di Ibdo e Coresearch- una simulazione computerizzata, basata sull’importante studio Ukpds (UK Prospective Diabetes Study, 1998) e sull’utilizzo di un modello di economia sanitaria (Core – Cdm), ha mostrato chiaramente il rapporto che esiste tra miglior controllo della glicemia e ritardato sviluppo delle complicanze del diabete, sia nel diabete di tipo 1 sia nel diabete di tipo 2. È dunque su quella strada che bisogna procedere: subendo semplicemente lo status quo, si va incontro a un aumento costante della diffusione della patologia e dei suoi costi, ma, mettendo in campo strategie di intervento mirate, basate sulla prevenzione sul più stretto monitoraggio della glicemia e sul più incisivo trattamento si possono ottenere effetti rilevanti anzitutto sulla salute delle persone e poi anche sui conti economici.

Agire più incisivamente però, costa, nell’immediato, perché significa fare qualcosa di più di quanto si fa oggi. Gli autori non se lo nascondono, ma puntualizzano che, se i costi iniziali di monitoraggi e trattamenti più efficaci sono leggermente maggiori, permettono poi un miglior controllo del diabete e, alla distanza, un abbassamento dei costi, perché il rischio delle complicanze sarà allontanato o, per lo meno, la loro insorgenza sarà ritardata. Ne conseguirà una minore necessità di ricoveri ospedalieri, che sono appunto la maggiore voce di spesa e sono in larga parte dovuti proprio alle complicanze croniche del diabete.

Un punto di equilibrio economico potrà essere raggiunto, secondo gli autori, in circa sei-otto anni. “Dopodiché -argomentano- un’efficace gestione del diabete porta a una riduzione complessiva dei costi assistenziali. Di conseguenza, investire su una buona gestione del diabete tramite un trattamento precoce e migliore, riduce i costi”.

Più specificamente, il saggio richiama le evidenze emerse dallo studio Ukpds, che ha dimostrato chiaramente che una riduzione di un punto percentuale dell’emoglobina glicata riduce l’incidenza di infarto del miocardio del 14%, quella delle complicanze microvascolari del 37% e quella di mortalità correlata al diabete del 21%. È vero che un buon controllo della glicata e degli altri fattori che influenzano l’evoluzione del diabete è un obiettivo che “richiede visite specialistiche, test e farmaci che devono essere erogati a fronte di benefici non immediatamente visibili, se non in età avanzata, quando il paziente risulterebbe meno a rischio delle devastanti (e costose) complicanze”. Però, “fortunatamente, partendo dalle evidenze cliniche ed epidemiologiche, e da ragionevoli ipotesi, è possibile prevedere, tramite modelli matematici, l’impatto dei vari trattamenti sulla progressione della malattia e, di conseguenza, sui costi”.

La simulazione, fondata sui dati dello Ukpds e sul modello Core (di cui trovate esemplificazioni grafiche nel Report, consultabile qui), ci dice che, se non si ha nessun cambiamento rispetto alle attuali modalità di trattamento, la diffusione del diabete cresce costantemente e non vi sono miglioramenti nei risultati clinici. Le cose però mutano se si interviene. In un primo scenario alternativo si ipotizza che i pazienti ricevano trattamenti migliori che permettono di raggiungere obiettivi terapeutici ottimali (indicati dall’Ukpds) e una significativa riduzione delle complicanze: ne consegue che “i costi iniziali sono superiori ma, per via della riduzione delle complicanze, il costo totale del trattamento risulta inferiore a quello dello scenario-base”.

In un secondo scenario alternativo si ipotizza che, “oltre ai migliori trattamenti del primo scenario, si investa sulla diagnosi precoce, aumentando così il numero di pazienti in cui è possibile evitare l’insorgere di complicanze. I costi iniziali sono superiori ma, per via della maggiore riduzione delle complicanze, il costo totale del trattamento risulta inferiore a quello dei due scenari precedenti e si raggiunge prima il punto di pareggio dei maggiori costi”.

In conclusione, rimarcano gli autori, “comune a tutti gli scenari alternativi è l’osservazione che riducendo il numero di persone con complicanze del diabete si ottiene un risparmio sui costi tale da compensare anche i maggiori investimenti iniziali necessari a finanziare il miglioramento dei trattamenti”.