La chirurgia metabolica (o chirurgia bariatrica) è considerata una possibile efficace terapia nei casi di diabete di tipo 2 accompagnati a grave obesità, ma è tuttora poco praticata rispetto al numero di persone che potrebbero trarne beneficio.
Ne abbiamo parlato altre volte anche sul nostro sito (vedi qui e qui) e sull’argomento sono tornati recentemente gli specialisti intervenuti al Congresso di Firenze della Società italiana di nutrizione clinica e metabolismo (Sinuc), durante il quale la chirurgia metabolica – bariatrica è stata tra i temi principali, in particolare per quanto riguarda il suo utilizzo in casi di obesità severa associata a diabete di tipo 2.
Si tratta di un insieme di diverse tecniche chirurgiche -che vanno dalla diminuzione della capacità gastrica alla riduzione delle dimensioni dello stomaco- da scegliere caso per caso, a seconda delle caratteristiche del paziente. Questi interventi agiscono sull’obesità, modificando l’anatomia gastrointestinale, con il fine di ridurre il sovrappeso, e hanno anche l’effetto di migliorare il metabolismo dell’organismo, in particolare il controllo glicemico. La duplice azione di riduzione del peso e di miglioramento del metabolismo ha portato alla definizione di chirurgia bariatrica come chirurgia metabolica, che alcuni studiosi ritengono più appropriata.
Si comprende facilmente perché questa terapia possa riguardare innanzitutto le persone con il diabete, in considerazione del fatto che, nella maggioranza dei casi, il diabete di tipo 2 è associato a obesità o sovrappeso (le due condizioni sommate arrivano a percentuali intorno al 70% della popolazione diabetica). Non a caso infatti è stato da alcuni anni coniato il termine “diabesità” per indicare la frequente condizione di una persona obesa e con diabete di tipo 2.
Geltrude Mingrone: “La remissione del diabete, ossia il ritorno dei valori della glicemia e dell’emoglobina glicolisata nei limiti della norma, si osserva già pochi giorni dopo l’intervento chirurgico. Dopo chirurgia metabolica, in particolare bypass gastrico e diversione biliopancreatica, il diabete rimane in remissione almeno fino a 5 anni in circa il 40% dei pazienti”.
Al congresso di Firenze, in occasione della Lettura magistrale “Dalla chirurgia bariatrica alla chirurgia metabolica: i risultati a lungo termine”, la professoressa Geltrude Mingrone (che dirige la Uoc Patologie dell’obesità al Policlinico Universitario A. Gemelli, Roma) ha spiegato i vantaggi della chirurgia metabolica in caso di obesità grave unita a diabete di tipo 2: “La remissione del diabete, ossia il ritorno dei valori della glicemia e dell’emoglobina glicolisata nei limiti della norma, si osserva già pochi giorni dopo l’intervento chirurgico, quando il cambiamento di peso è minimo. Dopo chirurgia metabolica, in particolare bypass gastrico e diversione biliopancreatica, il diabete rimane in remissione almeno fino a 5 anni in circa il 40% dei pazienti, i quali perciò non hanno più bisogno di terapia farmacologica. Nel 70% e oltre dei pazienti la sola terapia farmacologica orale consente un ottimo controllo glicemico e, anzi, le complicanze micro e macrovascolari del diabete si presentano largamente ridotte rispetto ai soggetti in terapia medica”.
Aggiunge Mingrone: “Il bypass del duodeno e del digiuno, infatti, riduce la secrezione di ormoni che inducono insulino-resistenza e che rappresenta, com’è noto, il difetto maggiore nel diabete di tipo 2 o dell’adulto. Inoltre, dopo chirurgia metabolica, la secrezione intestinale di Glp1, un ormone che riduce l’appetito e che migliora la secrezione insulinica nella prima fase, è molto aumentata, contribuendo al miglioramento del controllo glicemico. Infine, l’identificazione degli ormoni intestinali che inducono insulino-resistenza permetterà in futuro di individuare e mettere a punto nuovi farmaci in affiancamento o in parziale sostituzione dell’approccio chirurgico metabolico”.
La chirurgia metabolica-bariatrica è indicata per adulti fra i 18 e i 65 anni con Bmi > 40 Kg/m2 o Bmi tra 35 e 40 Kg/m2 in presenza di comorbilità (come il diabete di tipo 2) quando il trattamento medico conservativo non ha avuto successo. E’ raccomandabile per un diabetico di tipo 2 con obesità grave e difficile controllo glicemico.
Non tutti però possono essere sottoposti a questo genere di intervento, che, come si può immaginare, è piuttosto invasivo e impegnativo per la persona (oltre all’operazione chirurgica, implica per il paziente anche cambiamenti nello stile di vita, controlli periodici costanti e quindi richiede anche una forte motivazione e convinzione). L’età è un primo criterio discriminante: i pazienti obesi candidabili all’intervento devono avere dai 18 ai 65 anni. Al di fuori di questa fascia, la chirurgia bariatrica va presa in considerazione soltanto in casi eccezionali. Va poi tenuto presente il criterio fondamentale del Body mass index, l’indice di massa corporea, che si calcola dividendo il peso (espresso in chilogrammi) per il quadrato dell’altezza: sopra i 25 kg/m2 una persona è definibile in sovrappeso, sopra i 30 è obesa. Quando diventa consigliabile un intervento di chirurgia bariatrica?
Spiegano così i criteri di selezione dei pazienti Danila Capoccia e Frida Leonetti, del Dipartimento di Medicina sperimentale, dell’Università “La Sapienza” di Roma (cfr. “Diabete e chirurgia metabolica” in “Il diabete in Itala”, il volume della Società italiana di diabetologia curato da Enzo Bonora e Giorgio Sesti, edito da Bononia University Press, Bologna 2016): “In senso stretto, con il termine di chirurgia bariatrica si indicano tutte le procedure chirurgiche che mirano a ridurre il peso in eccesso. Gli interventi di chirurgia bariatrica rappresentano un valido trattamento dell’obesità grave in quanto consentono di mantenere uno stabile calo ponderale e riducono le comorbilità e la mortalità a lungo termine. Una serie di dati clinici e sperimentali mostrano che la chirurgia bariatrica determina un calo ponderale che si mantiene nel tempo, sufficiente a produrre un sostanziale miglioramento o anche la risoluzione del diabete tipo 2“.
Continuano le autrici: “Il ricorso alla chirurgia bariatrica può essere preso in considerazione, secondo le linee guida condivise dalla Società italiana di diabetologia, per pazienti adulti con età compresa fra i 18 e i 65 anni in presenza di: 1. Bmi > 40 Kg/m2; 2. Bmi tra 35 e 40 Kg/m2 in presenza di comorbilità (diabete e altre malattie metaboliche, patologie cardiorespiratorie, gravi malattie articolari, malattie epatologiche, eccetera) e con storia clinica di fallimento al trattamento medico conservativo (mancato o insufficiente calo ponderale e scarso o mancato mantenimento a lungo termine del calo di peso). Il merito sostanziale delle linee guida è stato l’introduzione di un criterio di Bmi minimo (superiore a 40 Kg/m2 o tra 35 e 40 Kg/m2 in presenza di almeno una comorbilità), al di sotto del quale la terapia chirurgica non dovrebbe, in linea di massima e salvo casi eccezionali, essere presa in considerazione. Tuttavia, in sintonia con quanto già proposto da altre società Internazionali (Asbs – American society bariatric surgery ed Eaes – European association endoscopy surgery), anche in Italia si va facendo strada la possibilità, solo per casi selezionati e solo nell’ambito di studi controllati e randomizzati, di prendere in considerazione la terapia chirurgica in pazienti con un Bmi compreso tra 30 e 35 Kg/m2 affetti anche da altre comorbilità (come il diabete mellito tipo 2 scompensato al massimo della terapia farmacologica) che possano migliorare o guarire in virtù del calo ponderale indotto dalla terapia chirurgica. L’intervallo di età entro il quale poter prendere in considerazione un intervento di chirurgia bariatrica è stabilito tra i 18 e i 65 anni, mentre sulla base dei dati clinici disponibili, la chirurgia bariatrica non è raccomandata in adolescenti e anziani, se non in circostanze eccezionali”.
Secondo la Sinuc, in Italia circa 600mila persone potrebbero trarre beneficio dalla chirurgia metabolica, ma attualmente si eseguono soltanto 15mila interventi all’anno.
Si valuta che le persone che potrebbero giovarsi di questa terapia in Italia, su circa sei milioni di soggetti obesi, siano circa 600mila. La Sinuc fa notare che invece sono solamente “15mila gli interventi di chirurgia metabolica che ogni anno vengono effettuati in Italia”. La Sinuc osserva che “con la chirurgia metabolica si può assicurare una più soddisfacente e sana qualità di vita per i pazienti, ma anche una riduzione dei costi in terapie farmacologiche per il Servizio sanitario nazionale”.
Capoccia e Leonetti: “La maggior parte della letteratura scientifica ha confermato che la chirurgia bariatrica/metabolica ha un effetto maggiore sulla perdita di peso e sul suo mantenimento a lungo termine, determina talvolta la remissione e, comunque, una più facile gestione del diabete di tipo 2 rispetto alla terapia medica convenzionale”.
La valutazione della Sinuc è condivisa da Capoccia e Leonetti, che scrivono: “La maggior parte della letteratura scientifica ha confermato che la chirurgia bariatrica/metabolica ha un effetto maggiore sulla perdita di peso e sul suo mantenimento a lungo termine, determina talvolta la remissione e, comunque, una più facile gestione del diabete di tipo 2 rispetto alla terapia medica convenzionale. Da un punto di vista sociale ed economico, il trattamento chirurgico dell’obesità comporta un investimento iniziale sicuramente di impatto maggiore, ma, a lungo termine, i vantaggi derivanti dal minor uso di farmaci antidiabetici e dalle minori esigenze di sottoporre i pazienti allo screening e alla cura delle complicanze della malattia diabetica riducono notevolmente l’impatto di questa malattia sullo scenario economico e sociale”.
Approfondendo il discorso sugli effetti della chirurgia bariatrica sulle complicanze dell’obesità e sul diabete, Capoccia e Leonetti, sulla scorta degli studi internazionali svolti sul tema, sottolineano i due meccanismi di azione della chirurgia bariatrica-metabolica: “quelli legati alla perdita di peso o peso-dipendenti e quelli non legati al calo ponderale o peso-indipendenti. La maggior parte dei fattori di rischio cardiovascolari e le comorbidità “meccanicamente” connesse all’obesità (per esempio, problematiche respiratorie, patologie ortopediche e malattia da reflusso gastroesofageo) migliorano lentamente nel tempo e, soprattutto, in parallelo con la perdita di peso. Al contrario, le problematiche di tipo metabolico, come la secrezione e la sensibilità insuliniche, ovviamente connesse al diabete di tipo 2, tendono a migliorare rapidamente e subito dopo l’intervento chirurgico, prima ancora che si verifichino importanti riduzioni di peso corporeo”.
“L’efficacia della chirurgia bariatrica nel migliorare e spesso normalizzare i livelli di glicemia in pazienti obesi con diabete mellito tipo 2 sono stati confermati da un largo numero di studi”.
In sostanza -continuano le autrici- “l’efficacia della chirurgia bariatrica nel migliorare e spesso normalizzare i livelli di glicemia in pazienti obesi con diabete mellito tipo 2 sono stati confermati da un largo numero di studi presenti in letteratura. La disponibilità di numerose evidenze in questo campo ha spinto le più importanti società scientifiche a considerare la chirurgia bariatrica come intervento di prima scelta nella gestione del paziente diabetico con obesità importante. Ci sono prove sostanziali provenienti da grandi studi osservazionali che indicano come la chirurgia bariatrica sia molto efficace nel controllare il diabete di tipo 2, mostrando alti tassi di remissione e di riduzione dell’uso dei farmaci ipoglicemizzanti”.
D’altra parte, “la letteratura suggerisce cautela nel dichiarare “curato” un paziente diabetico dopo chirurgia bariatrica e di non ridurre troppo il livello di sorveglianza nei confronti di quei pazienti che, se erroneamente definiti in remissione, potrebbero non essere più sottoposti al regolare screening delle complicanze croniche della patologia diabetica”.
Come si deve allora considerare la chirurgia bariatrica in termini di “cura del diabete”? Il saggio di Capoccia e Leonetti fa il punto anche su questo, sottolineando la problematicità della questione, che richiede ulteriori studi, in quanto “la remissione o la recidiva del diabete dopo la chirurgia bariatrica sono molto difficili da stabilire”. Allo stato delle conoscenze attuali, scrivono le autrici “uno dei problemi emergenti sula relazione tra la chirurgia bariatrica e i suoi effetti sul diabete riguarda la definizione di “remissione” e di “recidiva” del diabete. La letteratura bariatrica di solito presenta i risultati sulla remissione del diabete in termini di normalizzazione dei livelli di glicemia a digiuno e di emoglobina glicata (A1c), in assenza di terapia antidiabetica in atto per un tempo più o meno variabile. A tal fine, viene definita una “remissione parziale” una condizione in cui la A1c è inferiore a 6.5%, la glicemia a digiuno compresa tra 100 e 125 mg/dl, per un periodo di almeno un anno e in assenza di terapia farmacologica. La “remissione completa” è un ritorno ai valori “normali” di glicata e glicemia (A1c <6%, glicemia a digiuno <100 mg/dl) per una durata minima di un anno. La “remissione prolungata” è una remissione completa che dura per più di cinque anni. In analogia con la letteratura oncologica, dove per “cura” si intende la remissione completa dalla patologia per un tempo sufficiente e tale che il rischio di ricorrenza è considerato molto basso e comunque sovrapponibile a quello della popolazione generale, gli esperti concordano che, da un punto di vista pratico, una remissione prolungata del diabete (arbitrariamente stabilita della durata di cinque anni), equivale a una cura definitiva. Tuttavia, la remissione o la recidiva del diabete dopo la chirurgia bariatrica sono molto difficili da stabilire”.
Occorrono più studi in materia. Per il momento, quindi, “la letteratura suggerisce cautela nel dichiarare “curato” un paziente diabetico dopo chirurgia bariatrica e di non ridurre troppo il livello di sorveglianza nei confronti di quei pazienti che, se erroneamente definiti in remissione, potrebbero non essere più sottoposti al regolare screening delle complicanze croniche della patologia diabetica. Per quanto riguarda la probabilità di remissione del diabete dopo chirurgia, i primi studi hanno rilevato che pazienti con più lunga durata di malattia hanno una minore probabilità di andare incontro a remissione del diabete rispetto a pazienti con minore durata e gravità di malattia. La conclusione di recenti metanalisi, eseguite su una casistica di diabetici con ampia variabilità e gravità di malattia, suggerisce la necessità di combinare tra loro una serie di fattori valutati nel periodo pre-operatorio come età, peso, durata e gravità della malattia (espressa in termini di compenso glicemico, terapia antidiabetica e riserva beta-cellulare) allo scopo di individuare un fattore predittivo di risoluzione di malattia diabetica dopo l’intervento”.