Dove è diretta la ricerca sul diabete? Una delle strade più promettenti sulle quali è impegnata è quella della terapia cellulare e del trapianto di isole pancreatiche (gruppi di cellule situate nel pancreas, tra cui vi sono le beta-cellule produttrici di insulina). Ne ha parlato recentemente il professor Lorenzo Piemonti dell’Università San Raffaele di Milano, direttore del Diabetes Research Institute dell’Irccs Ospedale San Raffaele nel corso di un convegno a Torino (in occasione della presentazione del Museo del diabete).
Lorenzo Piemonti (Università San Raffaele di Milano): “La terapia cellulare sta trovando nella cura del diabete uno dei primi sbocchi applicativi. Nei pazienti con diabete di tipo 1 le cellule producenti insulina sono selettivamente distrutte da un attacco da parte del sistema immunitario. La loro sostituzione con nuove cellule che producono insulina costituisce una possibile cura per il diabete”.
Piemonti afferma che “la terapia cellulare sta trovando nella cura del diabete uno dei primi sbocchi applicativi. Nei pazienti con diabete di tipo 1 le cellule producenti insulina sono selettivamente distrutte da un attacco da parte del sistema immunitario. La loro sostituzione con nuove cellule che producono insulina costituisce una possibile cura per il diabete. Questo è già una realtà clinica attraverso il trapianto di isole pancreatiche, che ha compiuto, negli ultimi quindici anni, enormi passi avanti con progressi sia nella sopravvivenza sia nel funzionamento delle cellule trapiantate mediante l’utilizzo di nuove strategie mirate a migliorare l’attecchimento del tessuto nel ricevente e di nuove terapie immunosoppressive sempre più efficaci”.
Naturalmente, c’è ancora molto lavoro da fare in questo campo. Infatti, -spiega il professor Piemonti- “la limitata disponibilità di organi da donatore e la necessità di una terapia immunosoppressiva per il ricevente rimangono forti limitazioni a un più ampio utilizzo di questo approccio”.
Continua Piemonti: “Un’alternativa in campo da decenni, ma con nuove recenti prospettive, è l’uso di cellule da animali, come i maiali. Tuttavia, al momento, il candidato più promettente per la sostituzione delle cellule producenti insulina è la cellula staminale. Questa, infatti, costituisce una potenziale fonte infinita e di facile accesso. In particolare, l’ottimizzazione delle strategie per differenziare le cellule staminali pluripotenti in cellule che secernono insulina ha compiuto notevoli progressi e ha recentemente portato alle prime sperimentazioni cliniche. Questo approccio, coniugato con la possibilità di modificare i geni di queste cellule per renderle invisibili al sistema immunitario, ha la potenzialità di fornire una cura definitiva per il diabete di tipo 1 e di una parte del diabete di tipo 2”.
Il tema del trapianto è trattato anche negli “Standard italiani per la cura del diabete mellito 2018” di Società italiana di diabetologia e Associazione medici diabetologi, in cui le due società scientifiche diabetologiche italiane dedicano un ampio capitolo ai trapianti di pancreas e isole pancreatiche relativamente a quanto in materia si conosce e si può fare oggi.
Secondo gli “Standard di cura del diabete mellito” di Sid e Amd, i trapianti di pancreas e di isole pancreatiche sono un’opzione importante nella gestione di alcuni pazienti con diabete di tipo 1 (e in qualche caso di tipo 2), ma bisogna valutare sempre rigorosamente “indicazioni, controindicazioni e consenso del singolo paziente”. Se oggi i trapianti sono consigliabili soltanto in alcuni casi, con il miglioramento dei risultati a lungo termine “è verosimile attendersi che le indicazioni per tali procedure si espanderanno nel prossimo futuro”.
Sid e Amd sottolineano gli aspetti positivi del trapianto di pancreas e di quello di isole, definiti come “gli unici trattamenti del diabete in grado di normalizzare i livelli di emoglobina glicata in assenza di terapia insulinica esogena a lungo termine e senza il rischio di ipoglicemie gravi”. Inoltre, queste due soluzioni di trapianto “possono prevenire, fermare e talora far regredire le complicanze del diabete. Entrambi rappresentano un’opzione importante nella gestione dei pazienti con diabete di tipo 1 (e in qualche caso di tipo 2) con insufficienza renale terminale o con ipoglicemie severe non rispondenti ad altri trattamenti”.
Gli Standard però ricordano che la scelta di queste terapie non è adatta a tutti: bisogna esaminare e valutare rigorosamente “indicazioni, controindicazioni e consenso del singolo paziente”. Spetta ai medici valutare se il trapianto e quale opzione di trapianto sia la soluzione adeguata alla condizione personale del soggetto diabetico, tenendo conto di tutti i fattori coinvolti nella condizione generale dell’individuo (come età del paziente, durata del diabete, andamento glicemico, presenza e tipo di complicanze o di altre patologie, eventuale altro trapianto d’organo ricevuto o ritenuto necessario, volontà e psicologia della persona eccetera). Si tratta infatti di interventi impegnativi, che richiedono una terapia antirigetto e assidui e rigorosi controlli, e di tecniche tuttora in evoluzione e oggetto di continua ricerca.
Però -affermano Sid e Amd- “con il continuo miglioramento dei risultati a lungo termine del trapianto di pancreas o di isole, associato alla progressiva diminuzione della mortalità e della morbilità a loro carico, è verosimile attendersi che le indicazioni per tali procedure si espanderanno nel prossimo futuro”.
Per quanto riguarda in particolare il trapianto di isole, gli Standard riportano una stima che conta più di 1.400 trapianti eseguiti in tutto il mondo fino a ora. Numeri significativi con risultati incoraggianti, ma Sid e Amd avvertono anche che “tale trapianto è ancora considerato una procedura sperimentale in vari Paesi (in Italia è riconosciuta, ma non rimborsata dal Ssn); in altri, tra cui il Canada, il Regno Unito, la Svizzera, il Belgio, i Paesi Scandinavi, è stato incluso negli standard di cura del paziente”. Nel frattempo, “negli Stati Uniti sono in corso due studi finanziati dal National Institutes of Health per ottenere una domanda di licenza biologica dalla Food and Drug Administration”.