Uno studio scientifico internazionale sul diabete ha individuato un meccanismo che porta alla morte le betacellule pancreatiche che producono insulina. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature Communications, è stato condotto dal Centro di ricerca pediatrica Romeo ed Enrica Invernizzi dell’Università Statale di Milano (Dipartimento di Scienze biomediche e cliniche Luigi Sacco), in collaborazione con molti altri centri specializzati, tra i quali l’Università di Pisa e la Harvard Medical School di Boston (Massachusetts, Usa).

Uno studio internazionale ha scoperto che un cattivo funzionamento della interazione tra due recettori determina la perdita delle betacellule pancreatiche che producono insulina. Si aprono nuove prospettive per la ricerca sul diabete e sulle possibilità di cura.

I ricercatori hanno scoperto un meccanismo determinante nella perdita di betacellule in corso di diabete: si tratta del cattivo funzionamento della interazione tra due recettori, l’asse IGFBP3 e TMEM219. E si è rilevato che il blocco farmacologico dell’asse è in grado di proteggere le betacellule pancreatiche dalla morte cellulare e di prevenire l’insorgenza di diabete in modelli murini, cioè nei topi.

Lo studio premette che la perdita di betacellule pancreatiche, determinante nell’insorgenza di diabete di tipo 1 e 2, non trova ancora strategie terapeutiche di contrasto efficaci. Ma la scoperta del malfunzionamento di questo meccanismo quale causa della morte delle betacellule apre la prospettiva di nuove terapie possibili basate sull’intervento su questi due recettori.

“Questo risultato -aggiungono i ricercatori- è stato confermato dall’inibizione genetica selettiva di TMEM219 sulle betacellule pancreatiche in vivo, che consente di preservare e proteggere la massa betacellulare in corso di diabete. IGFBP3 si comporta quindi come una “betatossina” la cui produzione aumenta nella malattia diabetica ed è responsabile in parte della perdita di cellule beta insulino-secernenti”.

Riuscire a intervenire su questo meccanismo malfunzionante bloccandone l’azione permetterebbe quindi di salvare le betacellule: potrebbe essere una strada promettente per la ricerca sul diabete.

Gli autori dello studio spiegano l’importanza della scoperta

Spiega così nei particolari l’importante novità Paolo Fiorina, professore ordinario di Endocrinologia e direttore del Centro di ricerca internazionale sul diabete di tipo 1 presso il Centro di ricerca pediatrica Romeo ed Enrica Invernizzi: “Il nuovo asse che abbiamo individuato è in grado di controllare il destino delle cellule beta pancreatiche e modulare la loro sopravvivenza. Lo studio mostra come questo meccanismo attivato a livello del pancreas endocrino sia in grado di controllarne la funzione, soprattutto per quanto riguarda le cellule producenti insulina. La presenza di un aumento di IGFBP3 in circolo in pazienti affetti da malattia diabetica suggerisce che questo fattore possa funzionare come una tossina per la cellula betapancreatica in corso di diabete, che, interagendo con il recettore espresso sulla superficie delle betacellule TMEM219, ne determina la morte”.

“Il malfunzionamento del segnale IGFBP3/TMEM219 -prosegue Fiorina- porta quindi alla perdita di cellule beta che producono insulina e contribuisce quindi al danno betacellulare che si sviluppa in corso di diabete. Infatti, l’inibizione genetica e farmacologica dell’asse in questione è in grado di preservare la massa betacellulare, di prevenire l’apoptosi (morte cellulare – ndr) della betacellula e l’insorgenza della malattia in vivo in modelli murini per lo studio della malattia diabetica. La possibilità di ristabilire il controllo dell’omeostasi betacellulare e prevenire la perdita di betacellule è di straordinaria importanza per i pazienti affetti da diabete, soprattutto coloro che soffrono di diabete di tipo 1 in cui la distruzione è massiva e rapida e costringe alla necessità di terapia con insulina”.

Nuove possibili opzioni terapeutiche per il futuro

Secondo Francesca D’Addio, prima autrice dello studio e ricercatrice al Centro Romeo ed Enrica Invernizzi presso il Dipartimento di Scienze biomediche e cliniche L. Sacco, “il blocco del danno indotto dall’attivazione dell’asse IGFBP3/TMEM219 rappresenta un’opzione terapeutica di grande rilevanza clinica nel mondo diabetologico e ha le sue basi nello sviluppo farmacologico di composti volti a inibire l’azione tossica di IGFBP3 sulla massa betacellulare”.

Per approfondire il tema si può consultare il testo della ricerca, in lingua inglese, qui.