Per chi ha il diabete il pesce è un ottimo alimento. Numerosi studi attestano i suoi benefici effetti protettivi e gli “Standard italiani di cura del diabete mellito” redatti da Amd e Sid ne raccomandano il consumo di almeno due porzioni la settimana nel quadro di un’alimentazione sana ed equilibrata.

Infatti, se è vero che i grassi di origine animale (gli acidi grassi saturi, che troviamo nei salumi, negli insaccati, nelle carni rosse, nei formaggi, soprattutto stagionati) sono potenzialmente dannosi per l’organismo, se consumati in eccesso, questo non vale per quelli del pesce, che invece è ricco di acidi grassi polinsaturi, in particolare gli omega 3, che hanno una efficace azione antiaterosclerotica. È quindi importante la qualità dei grassi che introduciamo nell’organismo.

Per le persone con diabete il pesce si rivela un prezioso alleato contro le complicanze, anzitutto cardiovascolari (come infarto e trombosi), ma la sua azione protettiva si esplica anche nella prevenzione del diabete di tipo 2. Infatti, sottolinea il documento di Amd e Sid, secondo varie ricerche, gli acidi grassi saturi aumentano il rischio di diabete di tipo 2, mentre gli acidi grassi poli e monoinsaturi contenuti in cibi di origine vegetale (come l’olio d’oliva) e, appunto, nel pesce, lo riducono. La maggior parte degli studi disponibili mostra un effetto protettivo del pesce nei confronti del diabete di tipo 2.

Il pesce, consumato nelle dosi corrette, fa bene sia a chi ha il diabete (di tipo 1 o di tipo 2) sia a chi non ce l’ha e vuole evitare di sviluppare un tipo 2.

Dal momento che i grassi sono necessari al nostro organismo (sono una fonte e una riserva di energia, servono come costituenti delle strutture dell’organismo, trasportano vitamine), conviene dunque sostituire quelli saturi con quelli insaturi. Meglio, quindi, una pietanza di pesce azzurro (come lo sgombro) che un panino con la pancetta. In particolare, pesci che contengono alte quantità di benefici acidi grassi insaturi omega 3 sono sardine, sgombri e alici, salmone, dentice (gamberi e gamberetti sono più “grassi” e meno consigliabili, ma hanno comunque meno acidi saturi di carni rosse e pollo).

Secondo gli Standard Amd-Sid, nei soggetti con diabete tipo 2 e livelli elevati di trigliceridi nel sangue, la supplementazione con un massimo di 3 grammi al giorno di omega 3 da olio di pesce marino è in grado di migliorare i livelli di trigliceridi nel sangue, senza effetti negativi. Gli acidi grassi polinsaturi della serie omega-3, se assunti in quantità pari a circa 2-3 g/die, in forma di supplemento, riducono i livelli plasmatici di trigliceridi del 25-30%.

Quindi, sempre avendo cura di non esagerare nel consumo di nulla (perciò nemmeno di pesce), ricordiamoci che, se assunto nelle quantità giuste, il pesce, grazie agli omega 3, fa bene, in quanto protegge dall’aterosclerosi, perché stimola la sintesi del colesterolo Hdl, quello cosiddetto “buono”, difendendo l’organismo dalle complicazioni cardiovascolari e circolatorie, che sono tra le più insidiose conseguenze del diabete, sia di tipo 1 sia di tipo 2.

Oltre a contribuire alla prevenzione delle complicanze cardiovascolari, il consumo equilibrato di pesce ha un’azione protettiva anche dei reni.

Esistono anche studi che evidenziano come in chi ha il diabete il pesce svolga una azione positiva anche nella prevenzione della nefropatia diabetica, una complicanza che può riguardare sia il diabete di tipo 1 sia il diabete di tipo 2. Tra questi studi, si segnala quello di un gruppo di ricercatori svedesi dell’Università di Umea, guidato da Anna Möllsten, ritenuto interessante proprio perché condotto su una popolazione della Scandinavia, area in cui risulta molto alta l’incidenza di questa complicanza del diabete (tra il 10 e il 30%). Un Paese scandinavo vicino alla Svezia, la Finlandia, è una delle regioni europee in cui è più diffuso il diabete di tipo 1.

La prevenzione della complicanza renale è affidata all’esame della microalbuminuria: se ci sono nelle urine tracce della proteina chiamata albumina al di sopra dei 15 mg nell’arco di 24 ore, c’è rischio di danno ai reni. I ricercatori svedesi hanno studiato l’effetto di diversi modelli alimentari nella comparsa di microalbuminuria nei diabetici di tipo 1: su 1.150 diabetici di tipo 1 con una durata del diabete superiore a 5 anni, sono stati individuati 75 casi di microalbuminuria. Confrontando l’alimentazione seguita dalle persone analizzate, è emerso che, tra i soggetti con microalbuminuria e quelli senza, non vi era differenza nel consumo di proteine totali, di proteine della carne o vegetali e di grassi. C’era invece differenza tra i due gruppi nel consumo di pesce e il rischio di microalbuminuria è risultato inferiore del 51% nei soggetti che avevano consumato una quantità maggiore di proteine di pesce (valore medio di 9,35 g di proteine per giorno, corrispondente a circa 53 grammi di pesce al giorno) rispetto a chi ne aveva consumato di meno (valore medio di 2,72 g/die corrispondente a 15 grammi di pesce).

Un altro studio, condotto dai Medical Research Council Epidemiology Unit di Cambridge, da un gruppo di ricerca coordinato da Amanda Adler, ha ribadito che un consumo di pesce regolare (due volte la settimana) contribuisce a prevenire lo sviluppo di nefropatie in persone con diabete. L’indagine ha esaminato 22mila soggetti, di cui 517 diabetici. Nel gruppo con diabete, l’8,3% aveva elevati livelli di albumina nelle urine, indicatore, come si è detto, di problema renale (era l’1% nel gruppo dei non diabetici). Si è rilevato che l’elevata presenza di albumina nelle urine era molto più frequente nei diabetici che consumavano pesce meno di una volta la settimana, il 18% dei casi; tra chi ne mangiava due o più volte la settimana, la macroalbuminuria si presentava nel 4% dei casi.