Una diabetologia che funziona bene come la nostra è a rischio a causa di una politica sanitaria che pensa soprattutto a fare tagli. Lo denuncia a chiare lettere la Società italiana di diabetologia, che ha lanciato l’allarme nel corso del recente congresso “Panorama Diabete” a Riccione.

Secondo la Sid, il sistema italiano garantisce una buona assistenza, grazie a una rete di centri diabetologici capillarmente diffusi sul territorio e rappresenta un modello per i Paesi europei e dà risultati migliori di quelli del sistema statunitense. Questo punto di forza potrebbe essere scardinato da politiche sanitarie irrazionali, messe in atto da alcune regioni, che vanno addirittura contro i principi stabiliti dal Piano nazionale dabete, inseguendo  prospettive di risparmi, che rischiano invece di rovesciarsi nel loro contrario. Infatti, una cura efficace contribuisce a prevenire le complicanze del diabete, che rappresentano il costo maggiore della patologia, oltre che dal punto di vista umano, anche da quello economico.

Bonora (Sid): “Molte regioni del centro-sud e anche qualcuna del nord, in un’ottica di presunto risparmio, stanno depotenziando la rete dei centri diabetologici. Non si riesce a capire la logica di tutto ciò”.

Il presidente della Sid Enzo Bonora spiega così la situazione in cui l’Italia del diabete si sta venendo a trovare: “La rete dei centri diabetologici ha reso grande, famosa e invidiata nel mondo l’assistenza diabetologica italiana, perché ha fatto sì che gli italiani con diabete fossero quelli con i migliori outcome: più basso livello di emoglobina glicata, complicanze meno frequenti, minore mortalità. Ci sono studi scientifici che lo documentano in maniera inoppugnabile. Essere seguiti nei centri diabetologici in Italia per anni ha fatto la differenza. L’ecosistema italiano, il modello basato sulla rete diabetologica andrebbe dunque salvaguardato a tutti i costi. Per una questione clinica e anche per una questione economica. Molte regioni del centro-sud e anche qualcuna del nord, invece, in un’ottica di presunto risparmio, stanno depotenziando la rete dei centri diabetologici. Non si riesce a capire la logica di tutto ciò, soprattutto considerando che il costo attuale dei centri diabetologici equivale a circa l’1% della spesa totale per l’assistenza alle persone con diabete (circa 150 milioni di euro). Una spesa, legata per il 90% alle complicanze della malattia, che è di circa 15 miliardi di euro all’anno per il Ssn, da sommare a 3 miliardi di spese sostenute dai cittadini e 12 miliardi di euro. Spese che possono essere ridotte grazie ai professionisti della diabetologia e che aumenteranno certamente senza di loro. In alcune realtà lo si sta già osservando. Eliminare i centri diabetologici sarà un altro dei paradossi italiani?”.

Il modello italiano di diabetologia è imperniato su un team di professionisti sanitari che interagiscono tra loro.

Il modello seguito dalla diabetologia italiana è imperniato sul concetto del team diabetologico, perché -argomenta Bonora- “la persona con diabete non dovrebbe essere curata da un singolo specialista, ma da un team di professionisti di pari importanza, che include diabetologo, infermiere e dietista esperti di diabete e, quando necessario, podologo, psicologo e specialisti di altre discipline (oculista, nefrologo, cardiologo, eccetera). Il team dovrebbe interagire continuativamente con il medico di medicina generale, mantenendo operativo quel modello assistenziale implementato in Italia fin dagli anni Ottanta. Un modello confermato dal Piano nazionale diabete. Un modello che purtroppo rischia di scomparire in alcune realtà dove i centri diabetologici sono smantellati e sostituiti da singoli professionisti dispersi sul territorio che, seppure specialisti in diabetologia, operano isolati senza risorse adeguate. Per non parlare di modelli che confinano il diabetologo alla cura dei pazienti con complicanze, dimenticando che questo testimonierebbe il loro fallimento: le complicanze andrebbero prevenute grazie ai team diabetologici e non affrontate tardivamente con gli specialisti”.

Sono temi che i diabetologi italiani sostengono da tempo, ma che i responsabili politici della sanità non sembrano tenere nel dovuto conto. Eppure, non mancano nemmeno le cifre che attestano il buon funzionamento della diabetologia italiana, che andrebbe quindi, piuttosto, rafforzata, non ridimensionata a colpi di forbice.

Annali Amd: l’analisi dei centri diabetologici italiani conferma che la qualità dell’assistenza alle persone con diabete è alta e in progressivo miglioramento

Gli Annali dell’Associazione medici diabetologi che da anni misurano l’assistenza alle persone con diabete nei centri di tutta Italia, hanno indicato, numeri alla mano, che la qualità delle cure nel nostro Paese è alta. È stato introdotto un parametro di qualità, il cosiddetto score Q, che assegna un punteggio da 0 a 40 per valutare il livello dell’assistenza e i risultati delle cure sulla salute del paziente: più lo score è alto, più efficace ed efficiente è il lavoro svolto. Un punteggio superiore a 25 significa che la qualità di cura e assistenza è in linea o migliore (al crescere del valore) degli standard attesi; tra 25 e 15 il rischio di complicanze della malattia aumenta del 20%; sotto a 15, il rischio cresce all’80%. La valutazione riguarda interventi assistenziali, come il controllo dell’emoglobina glicata, della pressione arteriosa, del profilo lipidico (misura del colesterolo), della microalbuminuria (per il rischio di danni ai reni), e gli esiti della cura in termini anzitutto di prevenzione delle complicanze del diabete (infarto, ictus, disturbi della vascolarizzazione, sino alla mortalità).

L’Amd ha rilevato uno score Q medio di 24,7 nella cura del diabete di tipo 2 e di 25 per il diabete di tipo 1. Più in particolare, per quanto riguarda la qualità di cura generale nel diabete di tipo 1, in oltre il 40% dei pazienti è stato registrato uno score Q superiore a 25 (segno di efficacia della cura e quindi di buon controllo del diabete); soltanto in meno dell’8% dei soggetti si scende sotto il 15. Nel diabete di tipo 2 la percentuale di pazienti con score Q sopra 25 è del 38,% (e soltanto dell’8% con score Q inferiore a 15). Sono valori che indicano un livello di assistenza e cura molto alto, che si traduce in una buona qualità della vita delle persone con diabete: numeri che tendono nel tempo a migliorare progressivamente. Sempre che dall’alto non vengano fatte scelte sbagliate: sarebbe insensato ignorare questi risultati e penalizzare un sistema che funziona.