Uno studio pilota italiano apre la strada a un nuovo test per il diabete di tipo 1 basato sull’analisi della membrana che ricopre i globuli rossi: se altre ricerche confermeranno i risultati, si potrebbe ottenere un esame anche più preciso di quello della emoglobina glicata per controllare l’andamento della patologia e migliorarne il trattamento terapeutico.

Lo studio è stato condotto da un gruppo di ricercatori italiani dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma e della Fondazione Policlinico Gemelli di Roma, in collaborazione con l’Università Campus Bio-Medico di Roma (Maulucci G, Cordelli E, Rizzi A, De Leva F, Papi M, Ciasca G, et al. (2017) “Phase separation of the plasma membrane in human red blood cells as a potential tool for diagnosis and progression monitoring of type 1 diabetes mellitus”) ed è stato pubblicata dalla rivista scientifica Plos One (chi conosce l’inglese può leggerlo qui).

La ricerca presenta un test che, partendo da un normale prelievo di sangue, consente, grazie a un sistema tecnologicamente avanzato basato su un software intelligente, di leggere ed elaborare le immagini dei globuli rossi rilevate da un microscopio di precisione. I ricercatori hanno osservato che la membrana che riveste queste cellule fondamentali si altera in presenza della patologia, del suo cattivo controllo o delle sue complicanze.

Più avanzato e mal controllato è il diabete, più frequenti e duraturi sono gli episodi di iperglicemia, più la membrana che riveste i globuli rossi risulta alterata e danneggiata.

Sono state infatti rilevate differenze significative tra persone sane, persone con diabete di tipo 1 senza complicanze e diabetiche da poco tempo e persone con diabete di tipo 1 con complicanze e affette da molti anni dalla patologia per quanto riguarda la fluidità delle membrane dei globuli rossi: con il progredire della patologia, si sono rilevate una crescente fluidificazione della membrana dei globuli rossi e la formazione di microaree con diverso grado di fluidità. In sostanza, più grave e peggio gestita è la patologia, più la glicemia è e resta alta (iperglicemia frequente o cronica), più si danneggia la membrana, che si allontana dal suo stato e dai suoi valori normali.

Dicono quindi gli autori dello studio che lo stato fisico della membrana dei globuli rossi -che mostra pronunciate alterazioni in persone con diabete di tipo 1- potrebbe essere il “candidato ideale per monitorare l’andamento della patologia e gli effetti delle terapie”. La misurazione della alterazione della fluidità della membrana plasmatica dei globuli rossi può fornire un indice più sensibile per la diagnosi del diabete di tipo 1 e della progressione della patologia rispetto alla emoglobina glicata (o glicosilata), che rispecchia soltanto le informazioni relative ai processi di glicosilazione.

Oggi l’emoglobina glicata è considerato un test fondamentale per verificare l’andamento del diabete e in particolare della glicemia (ne abbiamo parlato qui). L’emoglobina infatti è una proteina presente nei globuli rossi del sangue (chiamati anche eritrociti). Il glucosio presente nel sangue si fissa sull’emoglobina nei globuli rossi: più zucchero c’è nel sangue, più c’è emoglobina su cui si è fissata una molecola di zucchero. Questa è l’emoglobina glicata (glicosilazione o glicazione dell’emoglobina), che riflette il tasso di zucchero nel sangue nel corso degli ultimi tre mesi. Si ritiene che i valori ottimali debbano essere inferiori al 7%.

Secondo lo studio italiano, il nuovo metodo, una volta validato, potrebbe offrire risultati ancora più accurati di quelli raggiungibili con la emoglobina glicata e permettere quindi una ottimizzazione e personalizzazione nella terapia del diabete di tipo 1 e nella cura e prevenzione delle complicanze.

In prospettiva, lo studio italiano suggerisce che lo sviluppo di un sistema basato sull’osservazione e misurazione precisa delle alterazioni della membrana dei globuli rossi potrebbe portare a risultati ancora più accurati rispetto a quelli forniti dal metodo dell’emoglobina glicata. Sarebbe quindi una potenziale risorsa per la diagnosi e la verifica della progressione del diabete di tipo 1 e potrebbe favorire la ottimizzazione e la personalizzazione del trattamento medico del diabete di tipo 1 e facilitare una precoce individuazione delle complicanze.

Gli studiosi ritengono che nuovi passi su questa strada debbano essere fatti: esaminando un campione più ampio di popolazione (qui sono stati osservati 26 soggetti); verificando che il metodo permetta di distinguere chiaramente le alterazioni della membrana plasmatica causate dal diabete e dalle sue complicanze da quelle eventualmente prodotte da fattori diversi, per esempio ambientali; riuscire a ridurre i costi che comporta l’uso di tecnologie avanzate. Ma affermano che, una volta validato, questo approccio potrebbe essere adottato come metodo clinico capace di consentire una personalizzazione e una scelta migliore delle cure per soggetti con diabete di tipo 1 e favorire diagnosi precoci e tempestive sulle complicanze e il loro possibile sviluppo.