C’è una correlazione tra diabete e vita in città e il progetto internazionale di studio e prevenzione “Cities Changing Diabetes” la sta analizzando da alcuni anni, fotografando la realtà di varie metropoli di tutto il mondo, Italia compresa. Roma è stata la prima città del nostro Paese ad aderire al progetto, nel 2017, e nel 2019 vi è stata la adesione ufficiale anche di Milano.
Sono state coinvolte nell’indagine città di tutti i continenti, tra cui Beirut, Buenos Aires, Città del Messico, Copenaghen, Giacarta, Hangzhou, Houston, Johannesburg, Kōriyama, Leicester, Merida, Pechino, Shanghai, Tianjin, Vancouver e Xiamen e, come detto, Roma (di cui riproponiamo qui i risultati, presentati a fine 2018) e Milano (di cui daremo notizia al termine dell’inchiesta).
Il “Cities Changing Diabetes” sta dimostrando con i suoi studi sul campo che il diabete e la vita in città sono strettamente correlati, sia perché la maggior parte delle persone con diabete abita in contesti urbani sia perché le condizioni materiali in cui si vive nelle metropoli (a partire da sedentarietà e alimentazione sregolata) favoriscono lo sviluppo del diabete di tipo 2, tanto da far parlare di “diabete urbano”, “urban diabetes”, fenomeno riconoscibile in tutto il mondo (ne abbiamo scritto anche qui).
Il “Cities Changing Diabetes” è un progetto nato quattro anni fa in Danimarca, realizzato dall’University College London (Ucl), dallo Steno Diabetes Center (Danimarca), dall’Health City Institute, in collaborazione con istituzioni nazionali, amministrazioni locali, università e terzo settore (e con il contributo incondizionato dell’azienda farmaceutica Novo Nordisk). Obiettivo è studiare come l’urbanizzazione incide sullo sviluppo di patologie non trasmissibili e croniche, in primis il diabete, e contribuire alla promozione di iniziative di prevenzione e di tutela della salute.
Uno studio del Censis, realizzato in collaborazione con le società scientifiche diabetologiche Sid e Amd, appunto nell’ambito del progetto “Cities Changing Diabetes”, ha dunque approfondito il nesso tra vita in città e diabete con una analisi qualitativa su una città importante e popolosa come Roma, nella quale (se si considera anche la vasta area metropolitana della provincia) vivono più diabetici che nell’intero Piemonte: 286.500 persone, con percentuali, rispetto alla popolazione presente, che, a seconda dell’area, variano dal 5,9% al 7,3% (la media nazionale del diabete noto è intorno al 6,5%, percentuale che sale all’8% se si considerano anche le stime sul diabete non diagnosticato).
Il Censis ha esaminato come vivono la condizione diabetica i romani a seconda della zona in cui abitano, della loro età, del loro reddito, del loro grado di istruzione, del loro livello di conoscenza specifica del diabete e degli stili di vita salutari, del loro rapporto con il cibo e di altri parametri sociali e culturali significativi, sottoponendo due questionari a un campione di pazienti con diabete di tipo 2 selezionato e approfondendo i temi in un focus di discussione con un gruppo di persone rappresentative della platea degli intervistati.
Andrea Lenzi (Health City Institute): “L’obiettivo del programma Cities Changing Diabetes è quello di creare un movimento unitario in grado di stimolare, a livello internazionale e nazionale, i decisori politici a considerare prioritario l’urban diabetes, il fenomeno che vede le città protagoniste e in parte responsabili del crescente aumento del numero di persone con diabete”.
Il progetto Cities Changing Diabetes mira a studiare nello specifico il fenomeno del diabete nelle città, con l’intento di proporre strategie per affrontarlo e gestirlo al meglio, favorendo sia la prevenzione della patologia sia il benessere di chi convive con questa condizione, contribuendo al rafforzamento, anche qualitativo, dell’assistenza.
Scopo, quindi, non è soltanto fotografare la condizione di chi vive in città con il diabete, ma anche di promuovere la trasformazione delle metropoli in ambienti più vivibili e meno “diabetogeni”, chiamando in causa chi può e deve prendere le opportune decisioni, a cominciare dalla politica. Spiega infatti Andrea Lenzi, presidente del Comitato di Biosicurezza, biotecnologie e scienze della vita della Presidenza del Consiglio dei ministri e presidente dell’Health City Institute, che coordina il progetto “Cities Changing Diabetes” in Italia: “L’obiettivo del programma è quello di creare un movimento unitario in grado di stimolare, a livello internazionale e nazionale, i decisori politici a considerare prioritario l’urban diabetes, il fenomeno che vede le città protagoniste e in parte responsabili del crescente aumento del numero di persone con diabete e di conseguenza in prima linea nella lotta alla patologia”.
Lo studio Censis conferma “il nesso tra luogo di vita e possibilità di adottare uno stile di vita sano, presente nel continuo richiamo all’importanza del luogo di vita, alle sue caratteristiche paesaggistiche e dell’assetto urbano, alla mobilità, ma anche all’organizzazione della vita quotidiana come fattore che può fare la differenza rispetto alla scelta e alla possibilità di condurre davvero uno stile di vita sano”.
Lo studio su Roma ha fatto emergere alcuni elementi generali importanti che illuminano il rapporto “vita in città e diabete” e il modo in cui i pazienti lo avvertono. Risulta confermato -scrivono gli autori- “il nesso tra luogo di vita e possibilità di adottare uno stile di vita sano, presente nel continuo richiamo all’importanza del luogo di vita, alle sue caratteristiche paesaggistiche e dell’assetto urbano, alla mobilità, ma anche all’organizzazione della vita quotidiana come fattore che può fare la differenza rispetto alla scelta e alla possibilità di condurre davvero uno stile di vita sano”, fondamentale per una corretta gestione della patologia.
Un altro nesso importante emerso dall’inchiesta è quello che lega l’accettazione della propria condizione “con l’impegno personale e il rapporto con il cibo, laddove è risultata presente anche una dimensione di trasgressione rispetto alla dieta sana o al consumo di dolci, direttamente legata a una difficoltà di accettazione psicologica del diabete”.
Tra le tematiche emerse nel confronto con i pazienti analizzati dall’indagine, vanno segnalati altri elementi interessanti. Ne riassumiamo alcuni, sottolineati dal rapporto del Censis:
- si evidenzia “la centralità e la positività del rapporto con il proprio medico curante e l’importanza di un rapporto fiduciario con il proprio diabetologo in cui sia presente anche una attenzione alla dimensione psicologica”
- è sottolineata l’importanza di un approfondimento dell’informazione sul diabete come mezzo per conoscere e affrontare meglio la gestione della patologia
- le persone con diabete vedono prevalentemente la loro condizione “molto più connotata dal rapporto con il cibo”, rispetto all’attività fisica, che appare più marginale
- si rileva che per i pazienti il diabetologo e i farmaci hanno un ruolo preminente rispetto ai centri di diabetologia; in particolare è “molto marcato il tono positivo del discorso sul diabetologo”, mentre “il sentiment positivo si riduce progressivamente quando il discorso passa dal diabetologo al medico di medicina generale ai centri di diabetologia fino al sistema sanitario regionale”.
Quattro modi di vivere il diabete a Roma
Il Censis ha in particolare individuato, nella popolazione diabetica di Roma, quattro categorie distinte di pazienti di tipo 2, che ha definito “salutisti da contesto”, “anziani medicalizzati”, “cittadini fatalisti”, “giovani preoccupati ma indisciplinati”. Per ciascuno di questi gruppi il nesso “vita in città e diabete” si declina in maniera differente, lasciando intendere che anche le risposte ai loro problemi debbano essere diverse e mirate. Vediamo chi sono questi “diabetici urbani” descritti dal Censis.
I salutisti da contesto sono, per il Censis, persone che vivono prevalentemente fuori Roma e che prestano molta attenzione a uno stile di vita sano, che considerano dipendente dal luogo in cui si vive, dove, per esempio, nel loro caso, esistono spazi e condizioni per praticare attività fisica. Infatti, si muovono prevalentemente a piedi e frequentano luoghi che si trovano a breve distanza. Si tratta di persone di età matura (prevale la fascia 51-60 anni) con un livello di istruzione generalmente basso o medio.
Queste persone possono essere definite salutiste, perché hanno generalmente un diabete ben controllato e ritengono di non essere troppo condizionate dalla loro patologia, in quanto ne hanno una buona conoscenza e hanno imparato a conviverci, a partire dall’adattamento al regime alimentare richiesto (danno infatti scarso peso agli aspetti della cultura del cibo legati alle tradizioni). Al centro diabetologico si recano una volta ogni tre-sei mesi nella grande maggioranza dei casi (l’80% degli interpellati).
Il gruppo degli anziani medicalizzati comprende prevalentemente persone sopra i 70 anni, con livello di istruzione basso (la metà ha la licenza media inferiore) o medio, in prevalenza residenti fuori Roma e con redditi relativamente bassi. Diversamente dai salutisti da contesto, questi pazienti si spostano soprattutto in automobile e attribuiscono particolare importanza, nel loro rapporto con il cibo, agli aspetti culturali tradizionali. La loro condizione di salute è influenzata anche dall’età: così hanno spesso (quasi l’82% dei casi) altre patologie croniche oltre al diabete, il cui compenso non è soddisfacente. Essendo, come detto, “medicalizzati” dichiarano grande fiducia nel medico e nella terapia farmacologica, da cui dipende la loro salute, ma anche la loro serenità psicologica. Però al centro diabetologico non si recano con grande assiduità: il 42% circa ci va una volta l’anno o meno. Lamentano inoltre un problema di costi economici per la gestione del loro diabete.
I cittadini fatalisti sono una categoria trasversale dal punto di vista anagrafico, nel senso che non sono prevalenti in una particolare fascia di età. Hanno un livello di istruzione medio e vivono in Roma città. Il rapporto sottolinea in proposito che tra questi soggetti prevale “la convinzione che il fatto di vivere in città peggiori la loro situazione”. Sono definibili “fatalisti”, anche perché “sono convinti che il fatto di avere il diabete non dipenda da loro e non credono che adottare uno stile di vita sano possa fare la differenza”.
D’altro canto, però, nonostante questo atteggiamento, affermano di avere prevalentemente un buon controllo della loro condizione diabetica e del loro peso, anche grazie a un discreto livello di informazione sulla patologia e a una frequentazione abbastanza assidua del centro di diabetologia, dove uno su cinque va almeno una volta ogni tre mesi e la maggioranza una volta ogni tre-sei mesi.
Opportunamente il rapporto osserva che probabilmente, rispetto a chi vive fuori dalla capitale, “la differenza di frequenza sia frutto anche della facilità di accesso ai servizi, in quanto appare tendenzialmente maggiore tra coloro che vivono nella citta di Roma”.
Il quarto gruppo individuato è quello dei giovani preoccupati ma indisciplinati. La definizione “giovani” identifica persone fino a 50 anni, con diagnosi di diabete relativamente recente. Hanno un grado di istruzione alto e medio-alto, vivono prevalentemente in Roma città e si spostano soprattutto in auto.
Le loro condizioni di salute sono ritenute caratterizzate da un buon controllo del diabete, anche se spesso queste persone sono in sovrappeso od obese (fattore su cui incide una tendenza a non seguire sempre con scrupolo le buone regole alimentari). Psicologicamente, d’altronde, avvertono un disagio: si dichiarano preoccupati e si sentono condizionati dalla loro patologia e ne temono le conseguenze nel tempo e hanno spesso difficoltà ad accettarla pienamente.
Sono persone informate sul diabete e utilizzano soprattutto internet come fonte, consultando i siti scientifici. Tra i gruppi definiti dal Censis, questo è quello che registra la maggiore frequentazione dei centri di diabetologia: il 60% di questi soggetti ci va una volta ogni tre mesi.
Lo studio del Censis è stato presentato a Roma in occasione della terza edizione del Forum “Sustainable cities promoting urban health”, organizzato dall’Ambasciata di Danimarca in collaborazione con il Comitato Nazionale per la Biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita della Presidenza del Consiglio dei ministri, l’Intergruppo parlamentare “Qualità di vita nelle città”, Anci-Associazione nazionale Comuni italiani e Health City Institute.
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