“L’orientamento attuale nella cura e assistenza del paziente con diabete è la gestione integrata, in cui è strategico il lavoro in team multidisciplinare, costituito da endocrinologi e diabetologi, ma anche da molte altre figure professionali quali il medico di medicina generale, figura professionale fondamentale perché conosce meglio il paziente e la realtà famigliare e sociale in cui vive e lavora. Il diabetologo e l’endocrinologo sono le due figure di riferimento cui fanno da corollario indispensabile il dietista, il nefrologo, il cardiologo, l’oculista, il neurologo, il chirurgo vascolare, l’ortopedico, lo psicologo fino all’infermiere dedicato”. Parola di Andrea Frasoldati, presidente dell’Ame, l’Associazione medici endocrinologi e direttore Struttura complessa di Endocrinologia dell’Arcispedale Santa Maria Nuova Irccs, Asl di Reggio Emilia, intervenuto nel corso dell’evento “Diabete di tipo 2: investire in salute, tra accesso all’innovazione ed efficienza del Ssn, è la sfida per il futuro“, promosso da Lilly.
UNA MALATTIA CRONICA CHE COMPORTA MOLTE COMPLICANZE
“La presenza di questi specialisti – sottolinea Frasoldati – è decisiva nell’assicurare al paziente e alla malattia un management adeguato con le migliori terapie, una diagnosi precoce e un trattamento ottimale, in grado di prevenire o rallentare la progressione delle complicanze“. Ma “una gestione integrata prevede un sistema organizzato per rispondere ai bisogni dei pazienti e la mancanza di uno scambio tra le diverse figure specialistiche può rendere difficile al paziente l’accesso e l’aderenza alle cure”. Il diabete, ricorda lo specialista, “è una malattia cronica che comporta un rischio aumentato di diverse complicanze di carattere vascolare che coinvolgono diversi organi. In tal caso il paziente necessita dell’intervento di tanti specialisti”. Sul fronte terapie, “grazie ai benefici di una nuova classe di farmaci si può intervenire sul peso, un aspetto molto importante – rimarca – perché il paziente è contento e più attivo. Anche in termini di aderenza al trattamento è coinvolto in modo positivo e meno rinunciatario”.
I PAZIENTI ‘SOMMERSI’
Riccardo Candido, presidente dell’Amd, l’Associazione medici diabetologi, traccia invece il quadro epidemiologico della malattia: “La prevalenza in Italia del diabete è attualmente attorno al 7%, che corrisponde a circa quattro milioni e mezzo di persone con diabete. Sappiamo, però, che per ogni due persone con diabete ce n’è almeno una terza che ha il diabete, ma non sa di averlo: quindi abbiamo circa un milione di individui con diabete non diagnosticato. Il 90% dei casi è costituito da diabete di tipo 2, 5-6% circa da diabete di tipo 1, 1-2% da diabete gestazionale e poi ci sono altri tipi meno frequenti di diabete come il diabete da difetti genetici o forme di diabete secondario. Non solo, si stima che poco più di un paziente su due sia aderente alla cura suggerita”, sottolinea Candido.
PERSONE CON DIABETE IN AUMENTO
“Nel mondo le persone con diabete sono più di mezzo miliardo, numero destinato a crescere fino ad un miliardo e 300 milioni da qui ai prossimi 25 anni – avverte lo specialista -. Anche in Italia le stime prevedono un aumento al 9-10% della prevalenza nel 2040. Il diabete è una pandemia per i numeri e per l’impatto che ha sulla salute, sulla qualità di vita e sui costi del Servizio sanitario nazionale: basti dire che circa l’8% dei costi sanitari globali sono legati al diabete”. In particolare, “la spesa più elevata riguarda le ospedalizzazioni per le complicanze, i farmaci utilizzati per il trattamento delle comorbilità correlate al diabete e le prestazioni ambulatoriali. Di conseguenza – sottolinea l’esperto – oggi è urgente per gli Stati intervenire con provvedimenti sanitari e politico-istituzionali in grado di incidere sia sulla prevenzione delle complicanze, ma anche sulla corretta gestione della malattia diabetica e sulla cura”.
POCA ADERENZA ALLE TERAPIE
Attualmente molte persone con diabete non raggiungono i risultati di controllo prefissati. “I dati degli Annali di Amd rilevano che solo il 56% delle persone con diabete di tipo 2 raggiunge un valore di emoglobina glicata sotto il 7%, che è il primo grande obiettivo target nel controllo glicemico. I motivi? Diagnosi tardiva e inizio del trattamento non tempestivo; inerzia terapeutica da parte dei professionisti che non intervengono in maniera precoce e incisiva nelle modifiche delle terapie qualora il diabete non sia sufficientemente controllato; difficoltà da parte dei pazienti a mantenere adeguati stili di vita in termini alimentazione e attività fisica; utilizzo di terapie fino a qualche tempo fa non del tutto efficaci e gravate dal rischio di ipoglicemia, per cui lo specialista non poteva spingere troppo il dosaggio”, elenca Candido. E “ovviamente la ridotta aderenza dei pazienti alle terapie che vanno seguite per tutta la vita: si stima che poco più di un paziente su due sia aderente alla cura suggerita. L’ultimo aspetto è la difficoltà, a livello regionale, di disporre e di mettere a disposizione in tempi rapidi le innovazioni terapeutiche che oggi sono le più efficaci, come tirzepatide, non gravato dal rischio ipoglicemico, che agisce sul controllo glicemico e sulla riduzione del peso corporeo, efficace anche sul controllo della pressione e del colesterolo, agendo quindi anche sulla prevenzione del danno cardiovascolare e renale. Problematico – conclude Candido – resta nel nostro Paese il tema della disequità di accesso alle nuove opportunità terapeutiche e tecnologiche”.
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