Per chi convive con l’obesità, una condizione che riguarda sei milioni di persone in Italia,  la medicina ha finalmente cambiato rotta. Ad evidenziarlo, durante il Congresso nazionale della Società Italiana di Endocrinologia (Sie), tenutosi a Torino, sono stati i dati, le evidenze e le prospettive aperte dai nuovi farmaci contro l’obesità, tra cui spiccano semaglutide e tirzepatide. “Per troppo tempo l’obesità è stata trascurata o mal gestita, considerata più un fallimento personale che una malattia da curare con rigore clinico – sottolinea Gianluca Aimaretti, presidente della Sie -. Oggi, invece, disponiamo di strumenti avanzati, precisi ed efficaci, capaci non solo di favorire la perdita di peso ma anche di migliorare la salute metabolica e ridurre in modo significativo il rischio cardiovascolare”.

SEMAGLUTIDE

La semaglutide, già nota per il trattamento del diabete, è il farmaco oggi più studiato e impiegato anche nella versione orale. Secondo i dati dello studio SCORE, nei pazienti con diabete di tipo 2, ha dimostrato una riduzione del 57% del rischio di infarto e ictus. Un beneficio già osservato nello studio SELECT su persone con obesità ma senza diabete. Anche in pillola, come confermato dallo studio SOUL, la semaglutide mantiene la sua efficacia: -14% di eventi cardiovascolari nei pazienti trattati. Ma l’orizzonte terapeutico non si ferma qui. A farsi largo è la tirzepatide, molecola innovativa che agisce su due ormoni intestinali, GIP e GLP-1. Lo studio SURMOUNT-5 ha messo in luce il suo potenziale: perdita di peso superiore rispetto alla semaglutide e buona tollerabilità. non si tratta solo di numeri, ma di una rivoluzione concreta nella vita delle persone. Oltre il 50% dei pazienti trattati con i nuovi farmaci ottiene risultati significativi già al primo ciclo terapeutico – mentre in passato solo il 30% riusciva a raggiungere obiettivi simili.

Dai trial alla vita reale: un’altra storia

Tuttavia, nuove evidenze scientifiche svelano anche un’altra faccia della medaglia: i farmaci per dimagrire, spesso descritti come efficaci e rivoluzionari, non sono sempre la soluzione giusta per tutti. I risultati degli studi clinici sono promettenti, ma cosa accade quando questi farmaci entrano nella vita quotidiana dei pazienti, fuori dai protocolli controllati della sperimentazione? A rispondere è una ricerca pubblicata su Obesity Journal e condotta dalla Cleveland Clinic, guidata dal ricercatore Hamlet Gasoyan. Lo studio ha analizzato 7.881 pazienti con obesità severa che, tra il 2021 e il 2023, hanno iniziato un trattamento con semaglutide o tirzepatide in formulazione iniettabile. L’obiettivo: capire quanto le terapie siano efficaci nella pratica clinica reale.

IL CONFRONTRO TRA TRIAL E VITA REALE NON REGGE

Più del 20% dei pazienti ha interrotto il trattamento entro tre mesi e un altro 32% entro un anno. Inoltre, oltre l’80% assumeva dosi inferiori a quelle raccomandate. Di conseguenza, la riduzione di peso è stata più contenuta: solo -3,6% per chi ha interrotto precocemente, -6,8% per chi ha proseguito a basso dosaggio. Chi ha seguito correttamente la terapia ha perso in media l’11,9% del peso corporeo, ma con differenze significative: -13,7% per chi assumeva semaglutide e -18% per chi era in terapia con tirzepatide. Lo studio lancia, dunque, un messaggio chiaro: l’efficacia di questi farmaci è reale solo se si rispettano due condizioni fondamentali, ovvero continuità e dosaggio corretto.

 

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