L’Associazione medici diabetologi ha promosso da alcuni mesi il Progetto Nice per l’appropriatezza della terapia del diabete, un programma di formazione, educazione e informazione che ha fatto da filo conduttore anche del congresso Amd 2015 a Genova. Si tratta di una iniziativa che ispira tutta l’attività della Amd in quanto mira ad assicurare al paziente la migliore cura possibile.
Sintetizza così la presidente Nicoletta Musacchio: “Il livello dell’assistenza alle persone con diabete in Italia è buono, probabilmente sopra la media sia per gli uomini sia per le donne. Nonostante ciò, molto si può e si deve ancora fare per una maggiore appropriatezza delle cure. È per questo che Amd ha messo a punto Nice, un progetto per la qualità e l’appropriatezza della cura in diabetologia, un programma di formazione, educazione e comunicazione volto al miglioramento delle competenze dei professionisti, dell’organizzazione dell’assistenza, della gestione della patologia, in linea con i bisogni della persona con diabete”.
La terapia del diabete appropriata è dunque quella giusta per il singolo paziente, perché -ricorda ancora Musacchio- “il diabete è una patologia eterogenea e complessa che richiede la personalizzazione della cura. Noi saremo tanto più efficaci quanto più faremo una medicina centrata sulla persona, perché nel diabete non c’è una cura standard che va bene automaticamente per tutti e non si possono protocollare le persone”. Di qui la necessità di conoscere e valutare bene il paziente e le sue esigenze specifiche e poi attivarlo e ottenerne la piena adesione alla terapia. Il diabetologo (e anche l’organizzazione in cui lavora) devono saper proporre alla persona una cura che tenga conto dei suoi bisogni individuali e della sua capacità di correggere e modificare il proprio stile di vita. Risultati tanto più raggiungibili -va aggiunto- quanto più si possa contare su un vero e proprio team diabetologico.
Progetto Nice-Amd: le esigenze della persona con diabete sono alla base dell’efficacia della cura
Nice, oltre che acronimo per “need is the core of effectiveness” (cioè il bisogno è l’essenza dell’efficacia), in inglese ha il significato di “bello, simpatico, piacevole”, ma anche “ben fatto” e, per estensione, “giusto”. Come “giusta” per la persona deve essere una terapia che cerchi di essere appropriata, e che sappia -sintetizza ancora Musacchio- “coniugare sostenibilità, equità ed efficacia”.
Amd non si nasconde che stiamo attraversando un periodo di crisi economica che si stenta a superare e da cui la sanità è tutt’altro che immune, ma il Progetto Nice è nato tenendo conto di questo difficile contesto: “Amd -dice ancora la presidente- punta a promuovere la massima attenzione a una pratica clinica più appropriata e a definire un profilo più moderno del diabetologo, che prevede la capacità di progettare, realizzare, valutare e proporre alle direzioni aziendali non solo l’efficacia clinica, ma anche l’efficienza di un modello organizzativo multidisciplinare in cui lo specialista sia corresponsabilizzato nella riduzione dei costi. È un obbligo che, con il progetto Nice e grazie all’impegno dei membri del Consiglio direttivo e di tutti i soci, Amd assume nei confronti della comunità, in un sistema sanitario sotto pressione per l’invecchiamento della popolazione e la contemporanea necessità di garantire cure e assistenza, per una diabetologia efficace, efficiente e sostenibile”.
In proposito commenta Antonio Ceriello, già presidente di Amd: “Il progetto Nice vuole favorire un cambiamento culturale nell’approccio alla cura del diabete. Si basa sul fatto che non sempre la prescrizione più corretta rappresenti la cura adeguata, se non tiene conto dei reali bisogni della persona con diabete e la sua capacità di adeguare il proprio stile di vita”.
Musacchio presenta un esemplificazione illuminante del concetto su cui insiste Amd: “Tra gli anziani con diabete di oltre 75 anni, uno su tre, nonostante valori di glicosilata a target, è in cura con una classe di farmaci ipoglicemizzanti che comportano elevato rischio di ipoglicemia e delle sue conseguenze. Le crisi ipoglicemiche influiscono in maniera significativa sulla qualità di vita degli anziani e si sospetta che una percentuale elevata di fratture del femore in queste persone sia riconducibile a episodi di ipoglicemia. Quindi, la cura per il diabete destinata a queste persone deve tenere conto dell’età e della loro fragilità, garantendo, insieme all’efficacia, la tollerabilità e la compliance, ossia il fatto che la persona prenda o sia in grado di prendere i farmaci e di seguire i consigli dietetici e di stile di vita. In buona sostanza, non solo una cura adeguata, ma una cura giusta. Noi dobbiamo fare una medicina di accompagnamento, che da un lato guardi sempre alle esigenze della persona e dall’altro renda attivo il paziente nella gestione della sua condizione”.
Le cose che il diabetologo non deve fare
In questo quadro Amd, in collaborazione con Slow Medicine, ha messo a punto, nel contesto dell’iniziativa “Fare di più non significa fare meglio” e in sintonia con il progetto Nice, un “pentalogo” che indica le cinque cose che il diabetologo non deve fare se vuole garantire ai suoi pazienti una terapia del diabete giusta e appropriata. Ne parliamo diffusamente qui.