Le donne con diabete di tipo 2 sono curate meglio in Italia che negli Stati Uniti. Lo afferma l’Associazione medici diabetologi, dopo avere confrontato i dati italiani con quelli pubblicati dalla American Heart Association, secondo i quali le donne con diabete di tipo 2 in America sono “sottotrattate”, cioè curate in misura complessivamente insufficiente, in particolare per quanto riguarda le complicanze cardiovascolari della patologia.
La Amd attesta, sulla base dell’analisi delle terapie garantite alle pazienti nel nostro Paese, che in Italia le donne con diabete di tipo 2 sono seguite e curate in modo non meno efficace degli uomini con diabete di tipo 2. Al tempo stesso, l’Associazione medici diabetologi (che ha creato al suo interno un gruppo di studio e di lavoro sulla medicina di genere in diabetologia) ricorda che il diabete nelle donne ha aspetti differenti rispetto a quello degli uomini, diversità di cui è necessario tenere conto (ne abbiamo parlato più ampiamente sul nostro sito qui).
In Italia le donne con diabete di tipo 2 sono trattate correttamente, meglio che in Usa e in misura equivalente al trattamento prestato agli uomini, ma anche da noi, come negli Stati Uniti e in altri Paesi, si registra per le donne un maggiore rischio cardiovascolare generale. Una differenza su cui indaga la medicina di genere.
Valeria Manicardi, del Gruppo Donna Amd, fa un quadro della situazione, partendo dall’indagine della American Heart Association: “L’analisi sulle differenze di genere nel rischio cardiovascolare del diabete tipo 2 fatta dallo Statement dell’Aha, ha messo in evidenza come le donne con diabete di tipo 2 abbiano un rischio cardiovascolare maggiore rispetto ai maschi di pari età. L’aumentato rischio concerne sia la possibilità di ammalarsi sia quella di morire di eventi cardiovascolari, e questo è dovuto a cause multifattoriali, ma in gran parte al sottotrattamento sistematico che subiscono le pazienti: meno trattate con tutti i farmaci che si utilizzano per contrastare i fattori di rischio cardiovascolare, quali statine, Asa, beta-bloccanti, Ace-inibitori, anti-ipertensivi, antiaggreganti, ma anche meno trattate con angioplastica coronarica quando colpite da infarto miocardico. Dai nostri dati su oltre 415.000 pazienti italiani con diabete di tipo 2, raccolti da oltre 250 servizi di diabetologia del Ssn, emerge invece una situazione differente. Per quanto riguarda il compenso metabolico, le donne sono più spesso sottoposte ai trattamenti più intensivi, l’impiego di statine è sovrapponibile a quello praticato negli uomini, il controllo pressorio è identico tra maschi e femmine, ma le donne sono più spesso trattate con due o più farmaci per l’ipertensione, quindi non si conferma il minor uso di Ace-inibitori, beta-Bloccanti e altri anti-ipertensivi”.
Conclude Manicardi: “Nonostante quest’approccio terapeutico, che si discosta dalle prassi di altri Paesi, segnando un punto a favore dei diabetologi italiani nel tentare di annullare le differenze di genere, anche in Italia il rischio cardiovascolare globale è maggiore nelle donne. Questo deve indurre non solo a proseguire sulla strada di un trattamento assolutamente paritario fra uomini e donne, ma anche a intensificare la ricerca di genere sugli effetti dei farmaci, che spesso sono meno efficaci sulle donne”.