Proteggere i reni quando si ha il diabete è particolarmente importante, perché l’insufficienza renale e la nefropatia rappresentano una delle più severe complicanze di un diabete mal controllato e i dati più recenti ne segnalano un incremento progressivo negli ultimi trent’anni. Per questo il tema è stato fra quelli in primo piano all’81° Congresso della autorevole American diabetes association (Ada).
È fondamentale proteggere i reni delle persone con diabete: l’insufficienza renale è una delle più temibili complicanze di una condizione diabetica non sotto controllo. Se ne è parlato al Congresso dell’American diabetes association.
La Società italiana di diabetologia ha richiamato l’attenzione sul tema con il corso di formazione giornalistica “Best of Ada”, organizzato in collaborazione con il Master “La scienza nella pratica giornalistica -Sgp” dell’Università La Sapienza di Roma. Gli esperti della Sid hanno seguito il congresso e ne hanno elaborato una serie di relazioni dedicate agli argomenti più rilevanti.
In particolare, della nefropatia diabetica si è occupata Anna Solini, membro del Consiglio direttivo della Sid e coordinatrice del Comitato didattico, professore associato di Medicina interna all’Università di Pisa – Uoc di Medicina Interna I, Azienda Ospedaliero Universitaria Pisana.
Solini sottolinea che il diabete è, insieme all’ipertensione, la principale causa di insufficienza renale terminale; presenta inoltre gravi implicazioni prognostiche ed è gravata a sua volta da un altissimo rischio cardiovascolare e da un’alta prevalenza di scompenso cardiaco. Di qui l’importanza di prevenire lo sviluppo della complicanza.
Studi recenti dimostrano che alcune terapie farmacologiche sono efficaci nel proteggere i reni delle persone con diabete e nel ridurre il rischio cardiovascolare.
La professoressa Solini cita alcuni studi (“Soloist” e “Emperor-Reduced”) che dimostrano l’efficacia di alcuni farmaci nella nefro-protezione in pazienti diabetici, in particolare gli Sglt2 inibitori, utilizzati nel trattamento del diabete.
Scrive Solini che un’analisi dettagliata dell’Emperor-Reduced, uno studio già pubblicato, condotto con Empagliflozin, ha “dimostrato una significativa riduzione del rischio di scompenso cardiaco e di morte per scompenso cardiaco in soggetti con e senza diabete. Un’osservazione rilevante emersa da recenti sotto-analisi dello studio Emperor è la straordinaria rapidità della protezione esercitata nei confronti dello scompenso cardiaco, che è altamente prevalente nei pazienti con malattia renale cronica. Già dopo pochissimi giorni di trattamento si evidenzia una differenza significativa fra il braccio in placebo e quello in trattamento. Inoltre, anche in questi soggetti fragili portatori di scompenso cardiaco si conferma l’effetto nefro-protettivo, con rallentamento della perdita del filtrato glomerulare, che si allinea alla perdita fisiologica attesa per età (che è pari a circa 1 ml/min/anno)”.
Inoltre, si segnala che “per la prima volta un farmaco appartenente alla categoria degli inibitori dei mineralcorticoidi (già largamente usati nel trattamento dello scompenso cardiaco) dimostra una nefro-protezione rilevante nei pazienti diabetici con malattia renale cronica. È il Finerenone, antagonista non steroideo dei mineralcorticoidi”. Lo studio Fidelio, condotto in pazienti con diabete e malattia renale cronica, ha mostrato non soltanto effetti benefici in termini di nefro-protezione e riduzione delle conseguenze più gravi della nefropatia (insufficienza renale terminale e morte per cause renali), ma anche “una significativa riduzione di comparsa di fibrillazione atriale, un importante disturbo del ritmo cardiaco, frequente nei soggetti diabetici soprattutto anziani”.
Al Congresso della American diabetes association sono state presentate anche le nuove Linee guida sulla nefropatia, con alcune novità sul rapporto tra diabete e malattia renale cronica e sulla terapia più efficace per proteggere i reni.
Durante il congresso dell’Ada sono state inoltre presentate le nuove linee guida aggiornate sulla nefropatia (Kdigo, Kidney disease improving global outcomes). Per quanto riguarda il rapporto tra diabete e malattia renale cronica, Anna Solini mette in evidenza alcune delle principali novità del documento. Le riportiamo qui sotto.
- Viene abbandonato il concetto delle diete ipoproteiche severe nel diabetico con malattia renale, che sortiscono solo l’effetto di aggravare e accelerare la malnutrizione in questi pazienti, mentre non portano alcun vantaggio documentato in termini di risparmio di filtrato e rallentamento della progressione verso l’insufficienza renale terminale. Si raccomanda di mantenere un apporto proteico normale, che è intorno a 0.7-0.8 grammi di proteine pro chilo/die ma niente di più.
- Forte raccomandazione a usare i farmaci anti-ipertensivi, in particolare Ace-inibitori e sartani, alla massima dose tollerata, sospendendoli solo in caso di gravi effetti collaterali (per esempio, gravissima iperpotassiemia).
- In tutti i pazienti con diabete, malattia renale e filtrato glomerulare superiore a 30 ml/min viene raccomandata la scelta prioritaria di un Sglt2 inibitore, da non sospendere per l’iniziale calo di filtrato, mantenendo il trattamento anche se il filtrato scende sotto 30 ml/min. Tale farmaco va combinato con la metformina, per anni erroneamente criminalizzata in presenza di compromissione renale, e oggi completamente riabilitata.
- Viene sottolineata la necessità di implementare programmi educazionali specificamente dedicati a soggetti con diabete e malattia renale cronica, volti a migliorare la loro conoscenza e consapevolezza della malattia, eliminare convinzioni distorte e falsi miti, migliorare l’autogestione di situazioni complesse e la motivazione a cercare di mantenere i vari parametri in range e, attraverso un approccio multidisciplinare, incoraggiare i pazienti ad adottare e mantenere degli stili di vita sani, aumentandone la consapevolezza e l’inclinazione all’utilizzo dei farmaci senza paura e con convinzione, e migliorare da ultimo lo stato di benessere mentale, la fiducia e la soddisfazione nei trattamenti. Tutto questo deve essere perseguito e raggiunto attraverso l’interazione di varie figure professionali e comunitarie, con un sistema capillare di informazioni cliniche di supporto alle decisioni che deve essere fornito al paziente, che deve assumere un atteggiamento proattivo, perché correttamente informato.
Dell’argomento abbiamo parlato più volte sul nostro sito: vedi, per esempio, qui e qui.