La malattia renale diabetica è una complicanza del diabete che riguarda, in forme diverse, circa un milione e mezzo di italiani, cioè il 40% delle persone con diabete nel nostro Paese. Si tratta di una delle complicazioni più severe di un diabete mal controllato (sia di tipo 1, sia di tipo 2) , in quanto compromette il regolare funzionamento di organi importanti come i reni, depuratori dell’organismo. Si stima che in Italia circa il 5% delle persone diabetiche sia costretto a ricorrere alla dialisi, la terapia strumentale che si adotta nei casi più gravi di danno ai reni. La malattia renale diabetica (o nefropatia) comporta inoltre un elevato rischio cardiovascolare, che spesso causa esiti fatali ancor prima che il paziente arrivi alla dialisi.

La malattia renale diabetica è una complicanza che riguarda, in forme più o meno accentuate, un milione e mezzo di persone, il 40% dei diabetici italiani. Va contrastata con screening, diagnosi precoce, cure tempestive e appropriate.

Questa complicanza può e deve essere contrastata anzitutto con la prevenzione e cioè con una ottimale gestione del diabete e dell’equilibrio glicometabolico. In secondo luogo, con controlli regolari che consentano di fare diagnosi precoci della sua eventuale insorgenza e quindi di attuare tempestivamente interventi terapeutici adeguati.

Sulla problematica ha posto l’accento il recente documento congiunto delle società scientifiche che si occupano della materia, cioè la Società italiana di diabetologia (Sid) e la Società italiana di nefrologia (Sin), “Storia naturale della malattia renale nel diabete e trattamento dell’iperglicemia nei pazienti con diabete di tipo 2 e ridotta funzione renale”, al quale farà seguito, il prossimo ottobre a Rimini, un simposio intersocietario Sid-Sin. Il documento -commenta il presidente della Sid Francesco Purrello– intende dare “ai diabetologi e ai nefrologi una visione aggiornata di tutti gli aspetti di una complicanza che è in continuo mutamento e che a tutt’oggi non siamo ancora in grado di controllare in maniera efficace. Per questo è necessario richiamare gli specialisti coinvolti a uno sforzo unitario e coerente e fornire loro gli strumenti adeguati affinché ciò si traduca in una migliore gestione della malattia renale nel diabete, nelle sue varie fasi: da quelle iniziali, che sono di competenza prevalente del diabetologo, a quelle più avanzate, che sono di competenza prevalente del nefrologo”.

Per far meglio comprendere l’importanza della questione, le due società scientifiche (che hanno deciso di stabilire una regolare collaborazione per affrontare insieme il problema) sottolineano che il diabete è la prima causa di insufficienza renale nel mondo ed è responsabile del 25-40% dei casi di dialisi.

Primo strumento fondamentale per contrastare la complicanza è la diagnosi precoce, attraverso il monitoraggio della microalbuminuria e della funzionalità renale (creatinina, filtrato glomerulare).

L’esame della microalbuminuria misura la presenza di una proteina, l’albumina, nelle urine: se nell’arco di 24 ore è minima (o comunque inferiore a 15 mg), la situazione si considera normale (ma è sempre il medico a dover fare questa valutazione); se la quantità è superiore, significa che esiste una microalbuminuria e di conseguenza un possibile problema ai reni, con rischio di sviluppo di una nefropatia. In caso di alti livelli di albumina nelle urine, si parla di macroalbuminuria. L’esame va eseguito ogni 6-12 mesi (una-due volte l’anno).

L’esame della creatinina nel sangue (creatininemia), da eseguire almeno annualmente, serve a verificare la capacità dei reni di depurare il sangue esercitando la loro funzione di filtro: quando il livello di creatinina nel sangue è alto, significa che vi sono problemi nella capacità di filtrazione dei reni.

Secondo gli Standard di cura del diabete mellito di Sid e Amd, il dosaggio della albuminuria e la stima del filtrato glomerulare dovrebbero essere integrati nello screening, diagnosi e monitoraggio dei soggetti con nefropatia diabetica, perché una quota rilevante di pazienti con diabete di tipo 2 va incontro a malattia renale cronica pur rimanendo normo-albuminurico.

Il documento delle società scientifiche Sid e Sin sottolinea che alla luce delle più recenti ricerche scientifiche, lo screening e la diagnosi di nefropatia diabetica non si può più limitare all’esame della micoralbuminuria, ma, per individuare un eventuale problema ai reni, si dovrà sempre misurare anche il livello della creatinina nel sangue.

Proprio a proposito di screening e diagnosi della malattia renale diabetica, il professor Giuseppe Pugliese (della Sid), coordinatore del Gruppo di lavoro che ha messo a punto il documento Sid-Sin, illustra le novità scientifiche scaturite dagli studi più recenti e accreditati.

“Diversi studi epidemiologici -nota il professore- hanno rivelato che la storia naturale di questa complicanza del diabete è più eterogenea di quanto si credesse. In particolare, l’aumento dell’escrezione urinaria di albumina, da sempre considerata il primo segno di danno renale, si osserva con sempre minore frequenza, probabilmente per effetto dei progressi del trattamento. Tuttavia, la riduzione della funzione renale fino all’insufficienza terminale può manifestarsi anche in assenza di albuminuria o indipendentemente da essa. Ciò ha importanti implicazioni diagnostiche, prognostiche e probabilmente terapeutiche, che gli specialisti di riferimento debbono tenere ben presenti”.

Il documento di Sid e Sin avverte quindi che “alla luce di queste nuove evidenze scientifiche, lo screening e la diagnosi di malattia renale diabetica non si può più limitare al dosaggio della microalbuminuria; si dovrà sempre misurare anche la creatinina nel sangue e da questa stimare il filtrato glomerulare con formule quali la Ckd-Epi, disponibili sul web o come app (alcuni laboratori forniscono direttamente il valore del filtrato stimato). Dal punto di vista prognostico, è importante valutare l’andamento nel tempo del filtrato stimato, al fine di evidenziare un’eventuale tendenza alla riduzione, che indica una progressione e dunque un peggioramento della malattia renale”.

Avendo a disposizione sia i dati di microalbuminuria sia i valori di creatininemia/filtrato glomerulare -argomentano gli esperti- diventa possibile individuare tre diverse tipologie di persone con diabete e malattia renale. I tipi di pazienti individuati  sono i seguenti:

• quello in cui è presente solo un aumento dell’albuminuria (micro o macroalbuminuria) ma con filtrato conservato

• quello in cui è presente solo una riduzione del filtrato, in assenza di albuminuria (normoalbuminuria)

• quello in cui sono presenti entrambe le alterazioni (riduzione del filtrato glomerulare e micro/macroalbuminuria)

Passando dalla diagnosi alla terapia da adottare per chi abbia un diabete di tipo 2 complicato da una insufficienza renale, la buona notizia riportata dal documento elaborato dalle due società scientifiche è che oggi sono disponibili farmaci innovativi che proteggono i reni.

Pugliese (Sid): ““Sul fronte del trattamento del diabete di tipo 2, nei soggetti con ridotta funzione renale, che limita o impedisce l’uso di alcuni farmaci, l’armamentario terapeutico si è arricchito di nuove classi farmacologiche, che hanno il vantaggio di non causare ipoglicemia e che, in alcuni casi, sembrano avere un effetto di protezione renale”.

Spiega infatti Pugliese: “Sul fronte del trattamento del diabete di tipo 2, nei soggetti con ridotta funzione renale, che limita o impedisce l’uso di alcuni farmaci, l’armamentario terapeutico si è arricchito di nuove classi farmacologiche, che hanno il vantaggio di non causare ipoglicemia (complicanza alla quale questi soggetti sono particolarmente predisposti) e che, in alcuni casi, sembrano avere un effetto di protezione renale. Sono stati inoltre rivisti anche i livelli di filtrato fino ai quali possono essere utilizzati alcuni vecchi ma validissimi farmaci, come la metformina (oggi la metformina può essere prescritta fino a un filtrato glomerulare di 30 ml/min, mentre prima se ne consigliava la sospensione quando il filtrato scendeva al di sotto dei 60 ml/min) e questo ha contribuito ad ampliare ulteriormente le opzioni terapeutiche. Il documento fornisce quindi raccomandazioni aggiornate sulla gestione terapeutica dei pazienti con problemi renali”.

In particolare, i farmaci che hanno un’azione protettiva nei confronti dei reni per le persone con diabete sono: tra i farmaci antipertensivi, i sartani (o gli Ace inibitori); tra i farmaci anti-diabete, gli agonisti recettoriali del Glp-1 (secondo gli studi Leader e Sustain) e soprattutto gli inibitori di Sglt2 (secondo gli studi Empareg e Canvas). Queste nuove categorie di medicinali antidiabete hanno proprietà cardio e nefroprotettive. E altri farmaci sono in corso di sperimentazione.

Molto lavoro resta però ancora da fare sul fronte della nefropatia diabetica. Sulla base delle considerazioni fatte sopra dal professor Pugliese, la Sid osserva infatti che “il fatto che la prevalenza dell’albuminuria sia diminuita negli ultimi decenni, mentre è aumentata la prevalenza dei soggetti con una riduzione del filtrato glomerulare, significa che le attuali strategie terapeutiche sono poco efficaci nel contrastare la caduta del filtrato. Purtroppo non si dispone di studi effettuati su pazienti con il fenotipo ‘non albuminurico’, che possano indicare quali siano le misure più adatte per prevenire o trattare questi soggetti”.

Fa notare il professor Luca De Nicola (Sin), componente del Gruppo di lavoro che ha prodotto il documento congiunto Sid-Sin: “Dal punto di vista epidemiologico, è opportuno segnalare che la prevalenza di diabete mellito negli ambulatori di nefrologia resta elevata, intorno al 30-40%, e che l’insufficienza renale terminale non è diminuita nelle ultime due decadi, a differenza di quanto osservato per altre complicanze del diabete, quali l’infarto del miocardio, l’ictus e le amputazioni. Il peso immodificato della complicanza renale è verosimilmente dovuto a più fattori, quale l’assenza per diversi anni di nuovi farmaci nefroprotettivi, a distanza di vent’anni dall’introduzione dei sartani, codificata dagli studi Renaal e Idnt. I sartani riducono il rischio renale del 20% circa, un risultato che tuttavia lascia ad alto rischio di progressione verso la dialisi una sostanziale porzione di pazienti”.

Dell’argomento abbiamo parlato anche qui.