Con il diabete a tavola bisogna fare attenzione: scegliere con cura quanto e che cosa mangiare, perché alimentarsi correttamente è parte essenziale della terapia ed elemento determinante per mantenere una buona condizione di salute.
Questi principi valgono in realtà un po’ per tutti, a cominciare da chi oggi non ha il diabete, ma potrebbe rischiare di svilupparlo negli anni. Non è però facile rispettarli, perché ci siamo abituati a un consumo eccessivo di cibi dolci, salati, grassi, che ci sembrano più gustosi e gradevoli. E così, seguendo questa radicata sollecitazione, si tende a mangiarne troppi, esponendosi ai rischi di una alimentazione errata e squilibrata, che finisce per danneggiare la salute con conseguenze come il diabete e l’obesità. Come invertire la tendenza? Rieducando il gusto, abituandosi ad altri sapori e quindi ad altri cibi: è il suggerimento della professoressa Angela Bassoli, docente di Chimica organica e basi molecolari del gusto all’Università di Milano.
Con il diabete a tavola è fondamentale rispettare i principi di una alimentazione equilibrata, un’impresa non sempre facile, che può essere resa più semplice se si impara a rieducare il proprio gusto, solitamente troppo attratto dal dolce, dal salato e dal grasso. La relazione della professoressa Angela Bassoli al Congresso della Sid di Riccione.
Al Congresso della Società italiana di diabetologia a Riccione, “Panorama Diabete”, è intervenuta la professoressa Angela Bassoli con una relazione in cui avanza la sua “proposta innovativa e un po’ provocatoria”, come la definisce la Sid, per imparare a rieducare il gusto e a seguire più facilmente una alimentazione meglio bilanciata, che è una carta vincente per fare bene i conti con il diabete a tavola. Vediamo allora l’opinione di Angela Bassoli, ricavandola dai materiali messi a disposizione della stampa dalla Sid.
Ascoltiamo i recettori del gusto
“La mia ricetta al riguardo è ‘scienza e cultura’. Noi avvertiamo sapori diversi grazie a una serie di recettori del gusto specializzati che dovrebbero portarci a cercare alimenti diversi, sulla base delle necessità del nostro organismo in un particolare momento”. In natura, non esistono animali selvatici obesi, perché non mangiano tutto quello che gli si para davanti, ma solo quello che gli serve in quel momento, nella giusta quantità.
“I nostri recettori del gusto -prosegue Bassoli- dovrebbero appunto spingerci a scegliere quello che ci serve. Ma oggi noi non li ‘ascoltiamo’ più, perché non abbiamo bisogno di procacciarci il cibo in natura; ci basta entrare al supermercato”. E il recettore del gusto più ‘potente’ purtroppo è quello del dolce, perché lo zucchero è la principale fonte di energia, che è d’importanza vitale.
“La natura non poteva certo prevedere che un giorno avremmo avuto a disposizione tutte queste fonti di energia, ‘facili’ e a basso costo”. E per uscire dunque da questa ‘tirannia’ del dolce e riequilibrare le nostre preferenze alimentari, l’unica soluzione è reimparare ad ascoltare i nostri recettori. “Ma per fare questo bisogna ‘allenarli’, perché la nostra alimentazione, esponendoci solo a certi tipi di sapori, ci ha fatto mettere da parte gli altri. Noi abbiamo in dotazione ancora 25 diversi sensori per apprezzare le tante sfumature del gusto ‘amaro’ (contro appena un unico sensore per il gusto ‘dolce’), ma non li usiamo da troppo tempo, sono ‘atrofizzati’ e vanno dunque riallenati. Come? Iniziando a mangiare delle cose un po’ più amare (vegetali, spezie, caffè senza zucchero) rispetto a quello che facciamo abitualmente. Se pian piano mi riespongo a questi sapori, i miei recettori piano piano si adattano”.
E in questo modo si ottengono due vantaggi. “Il primo è diretto: ricomincio a mangiare delle cose che mi fanno bene, per esempio le verdure che contengono più flavonoidi, più polifenoli, antiossidanti protettivi nei confronti dei tumori e delle malattie cardio-metaboliche”.
Abituarsi a un gusto un po’ più amaro
Ma c’è anche un vantaggio indiretto. “Se mi abituo a un gusto un po’ più amaro e meno dolce automaticamente consumo anche meno zucchero”. L’industria alimentare altera il sapore degli alimenti per renderli più ‘attraenti’, togliendo l’amaro o l’acido. “Una volta le nostre nonne mangiavano tante erbe di campo amarissime; oggi le abbiamo lasciate da parte e consumiamo invece verdure ottenute con incroci, con selezione genetica, che risultano sempre meno amare. L’industria modifica il sapore dei cibi anche attraverso gli additivi, per esempio con i dolcificanti che di certo non hanno fatto diminuire né l’obesità, né il diabete. Questo perché sono un fake, non ci danno lo zucchero, ma il nostro recettore si abitua al dolce e ce lo fa desiderare sempre più”.
Altri esempi sono gli yogurt industriali, ai quali vengono aggiunti grassi, lecitina, zuccheri e frutta per renderli meno acidi e i succhi di frutta, addizionati di sostanze in grado di togliere l’amaro. Oggi ci sono anche filoni di ricerca per trovare degli additivi chimici in grado di ‘spegnere’ recettori specifici, come per esempio quelli dell’amaro. “Ma se tutto questo può andar bene per l’industria farmaceutica (le medicine sono quasi tutte ‘amare’) nel caso di quella alimentare, può avere conseguenze deleterie. Il problema è dunque cambiare i gusti delle persone e direzionarli, rendendole così sempre più ‘sceglitori’ e meno consumatori”. Certo ci sono anche sostanze amare nocive in natura, ma nell’insieme quelle effettivamente tossiche sono appena il 15-20%, tutte le altre molto spesso, oltre a non essere tossiche, fanno bene. Insomma, l’amaro è una gradazione, è la musica e non la nota, un discorso e non una singola parola.
Aprirci un po’ di più al resto del mondo e recuperare la biodiversità del gusto
Ma cosa ci facciamo con questi 25 recettori? “Magari c’è una specializzazione che ci sfugge -commenta Angela Bassoli- Alcuni recettori potrebbero essere più specializzati nel riconoscere i tossici, altri le sostanze benefiche. Stiamo cercando di capire meglio come funziona. Queste ricerche sono state finora solo dall’industria farmaceutica, mentre il mondo della scienza alimentare ha cominciato da poco. Di recente, per esempio, una start up tedesca ha cominciato a produrre degli additivi ‘amaricanti’ (estratti di piante amare) per alimenti”.
“Ma non è quella la strada da seguire. Ritengo che la giusta soluzione sia di aprirci un po’ di iù al resto del mondo. I nostri ragazzi oggi sono esposti ai cibi etnici, che hanno dei profili molto più amari e speziati di quelli della dieta occidentale. Io spero che questa possa essere una molla per recuperare la biodiversità del gusto. Se cominciamo ad aprirci a queste esperienze, non risulta così incomprensibile riprendere a mangiare cicoria, broccoli, radici”.
“Di certo, dunque, abbiamo bisogno di uno switch mentale. Se il gusto ‘amaro’ è dato dai polifenoli, allora bisogna spiegare al consumatore che quell’amaro gli fa bene e non va escluso dalla dieta. Più che aggiungere amaricanti negli alimenti, dunque, dovremmo far leva sull’educazione alimentare, a cominciare dai bambini delle scuole”.
Consoli (Sid): “Rieducare a una sana alimentazione passa anche per una modificazione del gusto. Bisogna imparare a rivalutare il buono che c’è anche nell’amaro, per riportare l’alimentazione verso una base di maggior salubrità. Ma non è detto che il ‘buono’ per il palato sia per forza dannoso, né che ciò che è buono per la salute debba essere necessariamente amaro o sgradevole al palato”.
Commenta Agostino Consoli, presidente della Società italiana di diabetologia: “Certamente rieducare a una sana alimentazione passa anche per una modificazione del gusto. E oggi, anche alcune tendenze di cucina d’avanguardia tendono a rivalorizzare il rabarbaro, lo zenzero, le verdure di campo, la cicoria, sapori, insomma, amari che risultano però assolutamente piacevoli a un gusto ‘educato’. Bisogna insomma imparare a rivalutare il buono che c’è anche nell’amaro, per riportare l’alimentazione verso una base di maggior salubrità. Ma non è detto che il ‘buono’ per il palato sia per forza dannoso, né che ciò che è buono per la salute debba essere necessariamente amaro o sgradevole al palato. Si possono trovare strategie di fondo come il privilegiare alimenti come pane integrale, olio extravergine d’oliva e pomodoro che rappresentano alimenti di grande palatabilità e che sono allo stesso tempo estremamente salubri per il nostro organismo”.
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