L’allarme sull”’inerzia clinica” viene dal XX Congresso nazionale Amd, e preoccupa per le possibili complicanze, croniche o anche acute, in particolare legate alla ipoglicemia.
La metà circa dei malati di diabete ha valori e condizioni mediche che suggeriscono di cambiare terapia, eppure il medico aspetta due anni prima di intervenire. L’atto d’accusa contro questa “inerzia clinica” viene da un simposio tenutosi a Genova nell’ambito del XX Congresso nazionale dell’Amd, l’Associazione dei medici diabetologi.
“Può succedere per esempio che l’emoglobina glicata vada su valori fuori controllo, ma il medico preferisca attendere”, ha detto il professor Antonio Ceriello, presidente dell’Amd. “In altri casi il paziente è sotto controllo, ma ci sarebbero indicazioni per un regime terapeutico più appropriato. Possono passare anche due anni prima che si cambi trattamento, con effetti pesanti sul decorso della malattia, quali aumento del rischio di complicanze croniche o anche acute, in particolare quelle legate alla ipoglicemia”.
Secondo dati internazionali, confermati anche dall’esperienza italiana, il fenomeno può appunto riguardare quasi metà dei pazienti, che in Italia hanno ormai superato quota tre milioni.
“Noi medici abbiamo ovviamente una grande responsabilità nel fenomeno -continua Ceriello- ma anche la diminuita frequenza delle visite e il tempo sempre minore a disposizione non sono da sottovalutare tra le cause”. Il rischio, comunque sia, è che aumentino i valori fuori target terapeutico, gli effetti collaterali indesiderati, la comparsa di nuovi sintomi.
Un rimedio, si è detto al congresso Amd, potrebbe venire dai nuovi farmaci a somministrazione settimanale, che riducono le iniezioni da una o più al giorno a una sola a settimana, potenzialmente aumentando così l’aderenza alle terapie, che secondo diversi studi non vengono seguite correttamente da almeno un quarto dei pazienti.
“Rispetto al passato –precisa il professor Enzo Bonora, presidente della Società italiana di diabetologia (Sid)- l’armamentario terapeutico per la cura del diabete si è molto arricchito: in 30 anni si è passati da 2 classi di farmaci orali e 5 tipi di insulina a 7 classi di farmaci orali, una classe di farmaci iniettabili diversi dall’insulina e una dozzina di formulazioni di insulina. Questo potrebbe tradursi in una ricerca della cura più appropriata per il singolo paziente. Nei fatti questo avviene solo di rado, perché il medico si trova a dover lottare non soltanto contro il diabete, ma anche contro il tempo, limitatissimo, che ha a disposizione e che gli servirebbe per cambiare al meglio lo regime terapeutico, valutando in dettaglio la situazione clinica, ponderando le scelte e condividendole con il paziente”.