Il pancreas artificiale bionico per il diabete non assomiglia fisicamente a quello vero (e neanche a quello, astratto, che vedete nella foto sopra), ma può fare bene il suo lavoro al suo posto in caso di diabete di tipo 1. Ma che cos’è? Un piccolo dispositivo biotecnologico (per questo chiamato anche bionico, ispirato alla biologia) che permette di monitorare costantemente la glicemia e di erogare la giusta quantità di insulina, quando occorre, grazie a un algoritmo. In Gran Bretagna hanno avviato un programma per adottarlo in persone diabetiche per le quali la terapia standard non sia efficace.
In Gran Bretagna è stato approvato un programma per l’utilizzo del pancreas artificiale (o “bionico”) in persone con diabete di tipo 1 per le quali la terapia standard non sia sufficiente a controllare la patologia.
La Società italiana di diabetologia ha dato rilievo alla notizia del programma approvato al di là della Manica, perché lo sviluppo di questo strumento apre promettenti prospettive per chi ha il diabete.
Questo pancreas artificiale -spiega la Sid in un suo comunicato- è composto da un sensore che monitora in maniera costante il glucosio nel sangue, collegato a una pompa di insulina indossabile che eroga l’ormone nella giusta quantità quando serve, grazie a un algoritmo di controllo. Non rende più necessarie la puntura del dito e le iniezioni di insulina e consente un migliore controllo glicemico, più accurato e più stabile, evitando i rischi di sbalzi pericolosi. E sappiamo che migliore è il controllo della glicemia, minore è il rischio di complicanze e migliore è lo stato di salute generale della persona.
Illustra così i vantaggi di questo dispositivo (definito tecnicamente come un sistema ibrido a circuito chiuso) il presidente della Sid Angelo Avogaro: “Il sistema usa un algoritmo per determinare la quantità di insulina che deve essere somministrata in maniera automatica al fine di garantire un livello stabile di glucosio, al contrario dei dispositivi che erogano insulina in maniera continuativa, le cui modifiche sono affidate al paziente stesso”.
Angelo Avogaro, presidente della Sid: “Il pancreas artificiale si candida a cambiare la vita delle persone con diabete di tipo 1 e rappresenta il varco di ingresso in una nuova era di trattamento”.
Quindi, continua il diabetologo, “il pancreas artificiale si candida a cambiare la vita delle persone con diabete di tipo 1 e rappresenta il varco di ingresso in una nuova era di trattamento. Un migliore controllo dei livelli glicemici non ha solo un effetto sulla qualità di vita, ma anche sui costi associati, calcolati in un 10% della spesa sanitaria globale. Oggi la tecnologia è in grado di trasformare, soprattutto nei più giovani, la gestione della malattia”.
Per quali persone con diabete è indicato il pancreas artificiale ibrido a circuito chiuso
In Inghilterra, il Nice, National institute of Health and Care Excellence (ente pubblico che fa capo al Ministero della Salute), è convinto della validità del pancreas artificiale ibrido a circuito chiuso e ne ha consigliato l’impiego in soggetti con diabete di tipo 1 non ben controllabile con la terapia tradizionale. In un futuro potrebbe essere adottato anche per persone con diabete di tipo 2 non sotto controllo che siano sottoposte a terapia insulinica, ma per ora questa indicazione non è stata approvata.
Il programma inglese prevede la fornitura di questi particolari dispositivi a persone con diabete di tipo 1 che abbiano un livello medio di emoglobina glicata del 7,5% o superiore, con l’obiettivo di riportarla ai livelli glicemici indicati nelle linee guida, cioè 6,5% o meno, e per quelle che siano invece a rischio di ipoglicemia. Saranno selezionati in particolare bambini, giovani, donne incinte o che stanno pianificando una gravidanza. Si stima che potrebbero usufruirne circa la metà delle 290mila persone con diabete tipo 1 inglesi e gallesi (in Italia le diffusione del diabete tipo 1 è simile, con 300mila persone diagnosticate). L’auspicio è che anche da noi si segua l’esempio britannico.
Il cammino del pancreas artificiale
Si tratta quindi di un progresso significativo nella cura del diabete, anche se siamo ancora in una fase iniziale di sviluppo. D’altra parte, se è vero che i risultati più concreti sono recenti, la vicenda non è nata ieri e ha già una sua storia: il diabetologo Federico Boscari, dell’Azienda Ospedale Università di Padova, ricostruisce le grandi linee del percorso.
“L’idea di automatizzare l’infusione di insulina nasce oltre 40 anni fa -dice Boscari- ma solo negli ultimi 10 anni la miglior accuratezza dei sensori, la precisione delle pompe per somministrazione di insulina (microinfusori) e lo sviluppo di algoritmi affidabili ha permesso di portare alla commercializzazione dei primi modelli di pancreas artificiale. L’attesa era tale che, in parallelo, un piccolo gruppo di pazienti e di genitori di soggetti pediatrici affetti da diabete di tipo 1 ha messo in comune le proprie competenze tecnologiche, per creare dei modelli di pancreas artificiale ‘fai da te’, collegando sensori e microinfusori con algoritmi creati appositamente, con l’obiettivo di rendere più sostenibile la gestione quotidiana del diabete di tipo 1, senza attendere la commercializzazione dei primi modelli ufficiali”.
A oggi -riporta in proposito la Sid- sono migliaia le persone che utilizzano tali dispositivi cosiddetti fai da te (open source), che utilizzano un minicomputer o una app. Negli Stati Uniti, nel 2022 la Fda, Food and drug administration (l’agenzia governativa che si occupa di alimenti e prodotti farmaceutici), ha approvato ufficialmente l’impiego di uno di questi modelli.
Meno pesante la convivenza con il diabete
Conclude la Società italiana di diabetologia, osservando che “la commercializzazione di sistemi ufficiali ha permesso negli ultimi 5 anni una diffusione dei sistemi di pancreas artificiale, rivoluzionando la vita delle persone affette da diabete e dei loro familiari, sia dal punto di vista del controllo metabolico, sia dal punto di vista della riduzione dello stress legato alla gestione della malattia, rendendo finalmente meno pesante la convivenza con il diabete, nella speranza e nell’attesa di una cura definitiva”.
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