Esiste una relazione tra uso di antidepressivi e diabete in gravidanza? Sì, secondo uno studio presentato a Chicago nel corso di un meeting congiunto della International Society of Endocrinology e della Endocrine Society. In particolare, la ricerca, svolta sui ratti, suggerisce che, per la donna in attesa di un bambino, sia meglio non assumere inibitori del reuptake della serotonina, farmaci molto utilizzati per la cura della depressione, conosciuti con l’acronimo inglese Ssri (selective serotonin reuptake inhibitors) e definiti antidepressivi non triciclici. La relazione tra questo tipo di antidepressivi e diabete consisterebbe nell’aumento del rischio di diabete di tipo 2 nel bambino.

Negli Stati Uniti, tra il 10 e il 15% delle donne assume antidepressivi nel corso della gravidanza: possibile un nesso con l’aumento di obesità e diabete di tipo 2 nei bambini.

Gli studiosi ritengono verosimile che l’esperienza condotta nei ratti possa essere trasferita anche alla specie umana. Perciò è opportuno mettere in guardia le donne gestanti dalla assunzione di inibitori del reuptake della serotonina. Ciò vale soprattutto per la popolazione americana, perché dati statistici attendibili rivelano che una percentuale tra il 10 e il 15% delle donne assume un antidepressivo durante la gravidanza. Non è escluso che questo meccanismo possa contribuire, se associato a uno stile di vita non corretto, alla crescente diffusione della obesità e del diabete di tipo 2 nell’età infantile, fenomeno relativamente recente, in quanto la maggioranza dei di casi di diabete nei bambini è sempre stata di diabete di tipo 1.

La sperimentazione che ha indagato il nesso tra l’uso di questi antidepressivi e diabete e obesità è stata condotta su femmine di ratti alle quali veniva somministrata, a partire da due settimane prima dell’accoppiamento e poi durante tutta la gravidanza, una dose di Fluoxetina paragonabile a quella usata in terapia umana. Gli esami eseguiti, 25 settimane dopo la nascita, sui ratti nati da madri trattate con Fluoxetina hanno dimostrato, rispetto ai controlli, la presenza di una steatoepatite non alcolica (Nash) di grado lieve-moderato, un maggior contenuto epatico di trigliceridi e di colesterolo e una maggiore espressione di alcuni parametri infiammatori come TNFα (Tumor Necrosis Factor-α), Interleuchina-6 ed Mcp-1 (Monocyte Chemoattractant Protein-1). Il trattamento con l’inibitore del reuptake della serotonina della madre ha quindi determinato nella prole la comparsa di fegato grasso e di segni di infiammazione epatica abitualmente presenti in corso di sindrome metabolica, obesità e diabete di tipo 2. Un fegato grasso si associa, infatti, a resistenza insulinica e questa è causa di diabete di tipo 2.