La cosiddetta “digital disruption”, già da tempo in atto in Italia e soprattutto nel settore sanitario, ha registrato durante la pandemia Coronavirus un’improvvisa accelerazione, e così continua a lievitare il trend degli italiani (38%) che ricorrono al web per cercare notizie su malattie, sintomi e cure. Proprio alla rivoluzione digitale abbiamo recentemente dedicato un articolo, per cercare di capire come si stia muovendo la telemedicina in diabetologia (leggi qui), e cercato poi di approfondire l’argomento intervistando il diabetologo Alfonso Gigante, responsabile del Servizio di malattie metaboliche dell’ospedale Cesare Zonchello di Nuoro (leggi qui).
C’è un dato, in particolare, che ci solletica, e cioè quel 41% -registrato da Doxapharma e dall’Osservatorio per l’innovazione digitale in sanità del Politecnico di Milano- che utilizza le applicazioni per smartphone per monitorare salute, attività fisica e stile di vita, e che fa delle famose app le più gettonate dagli italiani. Questo vale anche per le persone con diabete? Per saperne di più abbiamo intervistato il diabetologo Marcello Orio, direttore del Centro medico specialistico Orio di Salerno.

Sono sempre più numerose le persone con diabete che utilizzano le app per un miglior controllo e gestione della patologia. Sulla base della sua esperienza, quanti e quali suoi pazienti ne fanno uso?

Dobbiamo innanzitutto distinguere i due tipi di diabete. La persona con diabete di tipo 1 fa sempre più ricorso alle app e nella mia casistica, ma direi anche in generale, arriviamo ormai a superare il 50%, e per diversi motivi. Vuoi per il controllo glicemico, o il monitoraggio dell’attività fisica, o il calcolo dei carboidrati, fatto sta che la percentuale di utilizzatori continua ad aumentare. Viceversa, nelle persone con diabete di tipo 2 il trend di sviluppo è ancora modesto, ma la mia sensazione è che il momento storico che stiamo vivendo stia imponendo un’accelerazione all’innovazione tecnologica. L’emergenza Coronavirus, infatti, tra le brutte cose qualcosa di buono sta portando in termini di sviluppo della tecnologia digitale in sanità, cioè di ricorso alla telemedicina. Ora, per esempio, molti pazienti che dovevano venire per una vista di controllo li riceviamo da remoto, perché obbligati a stare in casa, e così quando possono si avvalgono delle app, una pratica che ritengo manterranno anche quando ritorneranno in ambulatorio.

Sono molte le App che danno consigli alla persona con diabete, anche su diete e attività fisica. Non c’è il rischio di affogare in un mare di proposte?

Questa è una domanda molto importante, perché vede -mi consenta una battuta- ora sembra che con il cellulare si possa fare tutto, manca solo di fare il caffè. In questi ultimi anni, soprattutto mesi, l’offerta di app è cresciuta a dismisura e questo deve impegnare -sia noi diabetologi, sia le persone con diabete- a fare opportuni distinguo. Come l’avvento dei social ha portato un proliferare di fake news, così sta avvenendo anche per le app, dove tra le utili si inseriscono tante applicazioni inutili. Innanzitutto consiglio di individuare la fonte, capire chi le produce, perché un conto è l’app proposta da un’azienda seria, impegnata nel campo del diabete da tanti anni, un conto quella ideata dal primo professionista di turno, che magari s’inventa un calcolo dei carboidrati o una serie di esercizi fisici. Quindi, prima regola, è verificare la fonte.

E poi, quali servizi ritiene siano da privilegiare?

Partiamo da un principio: il monitoraggio glicemico è l’elemento fondamentale nella cura del diabete. Quindi, è il primo e più importante dato da avere. Questa rimane l’app fondamentale, mentre considero le altre importanti implementazioni, come quella per il calcolo dei carboidrati e dell’attività fisica, cioè utili informazioni di corredo, senza mai prescindere però dal diario glicemico.

Quali sono i vantaggi che la persona con diabete e il diabetologo desiderano maggiormente ottenere dalle app?

Il vantaggio più rilevante, come detto, è ottenere un dettagliato riscontro del monitoraggio glicemico, ed è quello che chiedo ai miei pazienti di evidenziare, perché rappresenta la base su cui poi elaborare la strategia terapeutica. Ed è quello che tutte le linee guida indicano, come pure le società scientifiche Sid e Amd. Durante poi la pandemia Covid-19 abbiamo scoperto che si può seguire il paziente da remoto, e lo si può fare bene, ma il problema rimane il tempo, sia da dedicare al paziente, sia allo studio dei dati che ci scarica. Posso esprimere un desiderio? Mentre la maggior parte delle app legate alla misurazione capillare della glicemia richiedono l’invio del report da parte del paziente, sarebbe utile per il diabetologo poter accedere con link da remoto direttamente a questi dati, sempre ovviamente su autorizzazione della persona con diabete. L’app, infatti, è uno strumento e bisogna distinguere a quale tecnologia va abbinato, se al reflettometro e alla glicemia capillare, se al glucosio sottocutaneo, o al flash glicemico e quindi dipende dalla tipologia di device alla quale è abbinato. In un mondo futuribile e ideale andrebbe consentito al diabetologo sia di visitare da remoto, sia poi di approfondire questi dati in modo diretto, senza dover attendere, come avviene ora, il loro scarico in ambulatorio.

Grazie alle app la persona con diabete può verificare l’iter del suo stato di salute. Questo facilita l’attività ambulatoriale, ma c’è il rischio di un’autocura non controllata?

“La potenza è nulla senza controllo”, diceva una famosa pubblicità. L’app è uno strumento che può darci numerose informazioni, e ci consente di seguire la persona con diabete da remoto, ma poi bisogna verificare come la si utilizza. Fondamentale allora è l’educazione del paziente all’uso della app, non soltanto quindi a come inserire i vari dati, ma anche a come utilizzarli. Terapia insulinica, dieta e attività fisica sono questi i tre pilastri su cui si fonda la strategia terapeutica e quindi l’app può stimolare la persona con diabete a rafforzare questi tre pilastri. Ma se manca la corretta educazione e soprattutto il dialogo tra diabetologo e paziente questo strumento tecnologicamente avanzato diventa non solo inutile, ma addirittura pericoloso. Autocontrollo e automonitoraggio non vuol dire autocura.

Scusi, ma questa cultura all’uso corretto delle app non spetta a voi diabetologi darla?

Senza dubbio, lo facciamo noi diabetologi, lo stanno facendo le Società scientifiche, ma anche voi giornalisti con le vostre interviste lo fate, come pure lo fanno molte aziende specializzate nei device per la misurazione della glicemia. Tutti devono fare la propria parte, per quanto di competenza, in modo da consentire alla persona con diabete di utilizzare al meglio quanto la tecnologia gli offre. Perché, se la terapia apparentemente non cambia rispetto ad anni fa, molto mutate sono le modalità per erogarla, grazie proprio all’evoluzione tecnologica. È come la televisione: il tubo catodico ci ha consentito di vivere in diretta la famosa partita Italia-Germania 4 a 3, ora lo schermo piatto ci offre le stesse emozioni, ma con una definizione nettamente migliore. Bisogna saper coniugare scienza e umanità, in modo che la cura si sposi con la comprensione e l’informazione con l’educazione.

Sempre sulla base della sua esperienza, quali sono i giudizi positivi o negativi che i suoi assistiti le manifestano?

I giudizi sono negativi se la persona con diabete non sa utilizzare bene l’app. Laddove, invece, viene usata bene e favorisce un buon rapporto con il diabetologo, allora i giudizi diventano assolutamente positivi. Quindi, il giudizio non dipende dallo strumento, ma dalla capacità di creare, insieme con l’avanzamento tecnologico, educazione e cultura, giusto tempo dedicato e corretta informazione.