Le cellule beta pancreatiche sono quelle che producono l’insulina. La loro buona salute e il loro buon funzionamento sono i cardini della battaglia contro il diabete di tipo 2 su cui si concentra la ricerca.

Lo ha spiegato bene il presidente della Sid Francesco Purrello nella sua relazione al 55° Congresso della Easd (European association for the study of diabetes), dedicata proprio alla protezione delle cellule beta del pancreas come chiave di volta per prevenire il diabete, a partire dai soggetti con prediabete, per rallentarne la progressione nelle persone già con diabete di tipo 2 e per continuare a lavorare nella ricerca di una cura definitiva per il diabete, che purtroppo oggi ancora non c’è.

Il professor Steven Kahn della Washington University di Seattle, Usa (insignito di un prestigioso riconoscimento dalla Easd) ha condotto studi clinici mirati che hanno sottolineato l’importanza fondamentale di mantenere una buona secrezione insulinica nel diabete, in tutte le sue fasi: nei soggetti a rischio di sviluppare la patologia (definiti prediabetici), nei soggetti con diabete di nuova diagnosi e nei soggetti con patologia già diagnosticata da anni.

Tre sono quindi i punti messi in evidenza da Purrello per sottolineare l’importanza strategica delle cellule beta pancreatiche.

In caso di prediabete

Il prediabete è una condizione di confine tra normoglicemia e diabete, una situazione a rischio, caratterizzata da valori di glicemia non patologici, ma troppo elevati, che può condurre nel tempo l’individuo a sviluppare un diabete di tipo 2. È una realtà che interessa milioni di persone in tutto il mondo, Italia inclusa (Ne abbiamo parlato più volte nel nostro sito, per esempio qui).

Secondo Purrello, quindi, “bloccare la progressione del prediabete a diabete conclamato è di grande importanza clinica e sociale, e rappresenta l’unica strategia per ridurre l’enorme aumento di diffusione del diabete in tutti i Paesi, compreso il nostro. Le ricerche scientifiche in questo ambito hanno portato alla conclusione che la migliore strategia consista nel ridurre il ‘carico’ di lavoro della cellula beta pancreatica”.

Infatti, spiega il presidente della Società italiana di diabetologia, “fin quando le cellule beta riescono a produrre insulina in modo appropriato, il diabete non si manifesterà. Ma ridurre il carico di lavoro della cellula beta pancreatica significa anche migliorare il funzionamento dell’ormone nei tessuti bersaglio della sua azione. Significa insomma ridurre la cosiddetta insulino-resistenza”.

Come si agisce per ottenere questo obiettivo? Purrello sottolinea un argomento che dovrebbe essere ben noto (e speriamo anche messo in pratica) per i nostri lettori: “In questo riveste un ruolo chiave lo stile di vita, nella sua declinazione ‘lotta alla sedentarietà e alimentazione bilanciata’. La buona notizia che ci viene dalle ricerche scientifiche è che agire presto sul prediabete, bloccarne la progressione verso il diabete, è in grado di prevenire le complicanze croniche e in particolare il danno ai reni e alla retina”.

Quando la diagnosi di diabete di tipo 2 è fresca

Il diabete di tipo 2 (diversamente dal tipo 1) è caratterizzato da produzione di insulina non assente, ma inadeguata o non efficace a causa della insulinoresistenza, insufficiente sensibilità all’azione dell’insulina, con conseguenti livelli elevati di glicemia  Può essere ben gestito con una terapia regolare, che parte da una alimentazione equilibrata, dall’attività fisica quotidiana e dal controllo del peso corporeo, a cui spesso si affianca l’impiego di farmaci antiperglicemici. Una cura tempestiva e ben impostata dal team diabetologico e scrupolosamente rispettata dal paziente permette alla persona di condurre una vita normale, nonostante il diabete.

Ma studi svolti in questi anni hanno aggiunto interessanti prospettive riguardo al diabete di tipo 2 riconosciuto a breve distanza dalla sua insorgenza e posto tempestivamente sotto terapia proprio in relazione al funzionamento delle betacellule.

Le prospettive aperte da alcuni studi recenti

Purrello ricorda infatti che, per quanto riguarda il diabete di recente diagnosi, alcune ricerche scientifiche condotte negli ultimi anni, tra le quali lo studio “Direct”, hanno mostrato che, in alcuni soggetti con diabete di tipo 2 individuato molto precocemente, si possono ottenere risultati efficaci sul funzionamento delle cellule beta pancreatiche.

Secondo questi studi, infatti, risulta in alcuni casi possibile “ritornare a livelli di glicemia entro i valori normali. I soggetti con maggiore probabilità di remissione della malattia sono quelli in cui si riesce a recuperare la funzione delle cellule beta pancreatiche, fatto, questo, che consente di ripristinare una migliore secrezione insulinica. Anche in questo caso è stato dimostrato il ruolo fondamentale della dieta e della riduzione di peso”.

Però, attenzione: “Queste ricerche confermano inoltre che non tutti i pazienti con diabete tipo 2 hanno le stesse alterazioni -rimarca il diabetologo- Solo in alcuni di essi il difetto di produzione insulinica si è dimostrato recuperabile. Questi soggetti vanno individuati subito, alla diagnosi, perché hanno le maggiori probabilità di arrivare a una regressione della malattia. Queste ricerche danno un’ulteriore spinta verso la terapia personalizzata e la medicina di precisione del diabete tipo 2, malattia eterogenea e complessa”.

Se la diagnosi di diabete tipo 2 non è recente

Quando un soggetto è diabetico da anni, molto può fare la terapia nel contrastare le conseguenze della patologia. Dice infatti Francesco Purrello: “Il diabete già diagnosticato da tempo è considerato una malattia progressiva, che lentamente negli anni peggiora e richiede una terapia sempre più complessa, con l’uso di diversi farmaci combinati tra loro, compresa la terapia insulinica. La progressione della malattia si ritiene sia dovuta a un progressivo peggioramento della secrezione insulinica, con perdita sia di funzione sia di numero di cellule beta pancreatiche. Nuove classi di farmaci, come, per esempio, le gliptine o gli analoghi del Glp-1, inducono una maggiore e più fisiologica secrezione insulinica senza stressare la cellula beta pancreatica, al contrario dei farmaci di vecchia generazione come le sulfaniluree. Studi scientifici dimostrano che nei pazienti trattati con i nuovi farmaci la secrezione insulinica riesce in alcuni casi a migliorare o per lo meno a restare stabile”. Con una importante precisazione, peraltro: “Questi effetti però si osservano durante il trattamento, ma non sono stati mantenuti alla sospensione della terapia”.