Il microbiota intestinale, cioè la microflora batterica che abita il nostro intestino come un vero organo microbico umano, è un sistema utile e importante per il nostro organismo, ma, se è soggetto ad anomalie o alterazioni, può essere collegato all’insorgenza di diabete di tipo 2. Studi recenti hanno infatti rilevato una relazione tra diabete e microbiota intestinale.

È stato dimostrato che i batteri intestinali giocano un ruolo nella genesi dell’obesità, del diabete e delle malattie cardiovascolari. Sappiamo che esiste un’associazione stretta tra obesità e diabete di tipo 2: molte ricerche hanno rilevato che sia il sovrappeso eccessivo sia la condizione diabetica di tipo 2 sono caratterizzati da una disbiosi intestinale, cioè da una alterazione del microbiota umano. Risulta inoltre una correlazione tra specifici ceppi batterici intestinali e diabete di tipo 2. In questo articolo, un po’ complesso, ma -riteniamo- molto interessante, il professor Paolo Brunetti ci spiega che cos’è e come funziona il microbiota intestinale e quando, secondo gli studi più recenti, può essere implicato nello sviluppo del diabete di tipo 2. Queste nuove conoscenze sul rapporto tra diabete e microbiota intestinale aprono importanti prospettive di intervento nel campo della prevenzione e della terapia del diabete di tipo 2. Potranno darci nuove indicazioni su come modificare la nostra alimentazione e sull’opportunità di aggiungere alla nostra dieta prebiotici e probiotici per contrastare il diabete di tipo 2 e di studiare la realizzazione di terapie del tutto nuove.

Il microbiota intestinale è composto da cento trilioni di batteri: è un vero organo microbico umano. Che cosa c’entra con il diabete? Scopriamolo.

Il nostro corpo è abitato fisiologicamente da un enorme numero di batteri che, per oltre il 70%, vivono nell’intestino raggiungendo nel colon la massima concentrazione e generando una biomassa di oltre 1,5 kg. Si definisce microbiota il complesso sistema della microflora intestinale che stabilisce una relazione simbiotica con l’ospite da cui derivano vantaggi per entrambi.

Si calcola che il microbiota sia composto da oltre 100 trilioni di batteri, suddivisi in 500-1000 specie, un numero di cellule superiore di 10 volte a quelle che compongono il nostro corpo. Il microbiota costituisce un ecosistema stabile nella sua composizione e funzione, malgrado le condizioni dinamiche imposte dalla dieta, dalla possibile occorrenza di infezioni con relativo uso di antibiotici e dalle reazioni del sistema immunitario, tanto da poter essere considerato un organo microbico umano.

Il genoma collettivo del microbiota (metagenoma) contiene un numero di geni (oltre 3.3 milioni) almeno 150 volte superiore all’intero patrimonio genico umano, geni indispensabili per la sopravvivenza delle varie specie batteriche, ma anche per la fisiologia umana perché responsabili di un ampio numero di reazioni enzimatiche con produzione di metaboliti e di segnali molecolari capaci di influenzare la nostra salute. Informazioni genetiche contenute nella miriade di microbi configurano un metaboloma assai più ricco di quello del genoma umano. Lo studio delle funzioni dei due genomi si definisce “metabonomics” e il contributo del nostro genoma è al confronto più piccolo.

I microbi intestinali sono in prevalenza anaerobi. Se ne conoscono oltre 50 “phyla”, ma due sono dominanti coprendo il 90% della popolazione batterica, i gram-positivi Firmicutes e i gram-negativi Bacteroidetes. Altri phyla sono rappresentati da Actinobatteri, Fusobatteri e Verrucomicrobia. L’intestino è sterile durante la vita uterina, acquisisce germi nel transito attraverso il canale vaginale durante il parto naturale e per il contatto con la cute materna durante l’allattamento. Al termine del primo anno, il microbiota è simile a quello dell’età adulta.

Esiste una grande variabilità interindividuale dettata da fattori genetici e ambientali. Le differenze di composizione del microbiota fra soggetti egualmente sani sono giustificate in buona misura da diverse abitudini alimentari. La dieta ha infatti un ruolo fondamentale nella selezione di specie microbiche specifiche per i vari substrati alimentari. Una dieta ricca di carne evoca i geni della degradazione proteica, mentre una dieta erbivora produce i geni necessari per digerire le fibre vegetali.

Quel che è certo è che il microbiota dei soggetti sani si differenzia da quello che si ritrova nel corso di specifiche malattie. Disbiosi specifiche sono state identificate nei soggetti affetti da colon irritabile, malattie infiammatorie dell’intestino (morbo di Crohn) e carcinoma del colon, ma anche da obesità e diabete di tipo 2 e di tipo 1.

Gli effetti intestinali e sistemici del microbiota e il suo ruolo nella risposta immunitaria del nostro organismo.

I germi intestinali, e particolarmente quelli appartenenti al phylum Bacteroidetes, contribuiscono al metabolismo individuale degradando fibre vegetali altrimenti non digeribili (cellulosa, emicellulose, inulina) ad acidi grassi a catena corta (Short-chain fatty acids o Scfa), che, una volta assorbiti, rappresentano una componente importante dell’approvvigionamento energetico umano. Gli Scfa comprendono il butirrato, il propionato e l’acetato, che vengono assorbiti attraverso la parete del colon e utilizzati per la sintesi de novo dei lipidi e del glucosio. Si calcola che l’apporto di Scfa possa rappresentare una fonte di energia non inferiore al 10% dell’apporto giornaliero. Inoltre, butirrato e propionato sono forniti di proprietà anticarcinogenetiche e antinfiammatorie.

Da tempo è stato riconosciuto un ruolo benefico ai batteri produttori di acido lattico come il Bifidobacterium e il Lactobacillus che abbassano il pH, producono sostanze antimicrobiche con effetto di soppressione sui patogeni, stimolano il sistema immunitario, sintetizzano vitamine e hanno effetti anti-allergici.

Il microbiota svolge un ruolo essenziale nella regolazione della risposta immunitaria. Ciò non sorprende, ove si pensi che la mucosa intestinale rappresenta, nell’organismo, la più vasta superficie di contatto con una popolazione batterica. Il tessuto linfatico residente nella mucosa intestinale (Gut associated lymphoid tissue o Galt), collegato con il resto del sistema immune attraverso i linfonodi mesenterici, viene in contatto con l’amplissima varietà di antigeni presentati dalla flora batterica, acquisisce una tolleranza nei confronti di questa, pur mantenendola confinata allo spazio intestinale, e, in virtù di questo stimolo, consegue la sua piena maturità funzionale.

Ciò è tanto vero che animali allevati fin dalla nascita in ambiente sterile (germ free) mostrano un marcato deficit delle strutture immunitarie con ipoplasia della milza, dei linfonodi, delle placche di Peyer, un minor numero di follicoli linfatici isolati maturi e di plasmacellule secernenti IgA e IgG, una riduzione della concentrazione plasmatica di IgA e IgG, profili delle citochine irregolari e una compromissione della tolleranza orale.

La relazione esistente tra flora intestinale e immunità rende possibile un coinvolgimento della composizione del microbiota nella genesi del processo autoimmunitario che conduce al diabete di tipo 1. Manipolazioni della dieta possono modificare la composizione della flora intestinale e l’incidenza di diabete nei topi Nod (topi diabetici non obesi). In effetti, i topi Nod che sviluppano il diabete hanno una maggiore concentrazione di Bacteroidetes e il trattamento antibiotico riduce l’incidenza di diabete, nei topi Nod, dal 75 al 20%

Tutta una serie di processi è disregolata in animali germ free che, di fatto, rappresentano un ottimo modello per meglio comprendere il ruolo della flora batterica intestinale nel controllo delle più svariate funzioni organiche. A livello intestinale, si osserva una riduzione dello spessore e della rete capillare dei villi, una riduzione della superficie di assorbimento e della attività peristaltica. In realtà, in condizioni fisiologiche, la maturazione del microbiota accompagna la maturazione del tratto gastroenterico.

Il microbiota ha un ruolo importante nel metabolismo degli acidi biliari e del colesterolo, come dei farmaci. Fa parte della flora batterica anche l’Oxalobacter formigenes, che degrada gli ossalati della dieta così riducendo l’escrezione di ossalato e contribuendo alla prevenzione della calcolosi renale.

Il nesso tra microbiota, regolazione energetica e malattie metaboliche come il diabete di tipo 2.

Il microbiota è coinvolto nella regolazione della omeostasi energetica (equilibrio energetico). Topi privi di flora batterica (germ free) perché allevati in ambiente sterile, hanno una riduzione del 40% della massa grassa rispetto a topi allevati in modo convenzionale, pur essendo questi ultimi sottoposti a una dieta con contenuto calorico inferiore del 29%. Gli animali germ free necessitano di una introduzione calorica più alta per mantenere lo stesso peso, sia per l’impossibilità di estrarre calorie da alimenti indigeribili (fibre vegetali) sia per una riduzione della capacità di assorbimento intestinale e mostrano un metabolismo abnorme del colesterolo e degli acidi biliari.

Studi recenti suggeriscono che i batteri intestinali giuocano un ruolo fondamentale nella genesi dell’obesità, del diabete e delle malattie cardiovascolari. Dati raccolti nella sperimentazione animale come negli studi nell’uomo indicano l’esistenza di una associazione fra l’obesità e il diabete di tipo 2, entrambi caratterizzati da una profonda disbiosi intestinale. I primi studi di associazione sul metagenoma umano hanno infatti dimostrato una correlazione assai significativa di specifici ceppi batterici intestinali con il diabete di tipo 2. In particolare, si è dimostrato, nei diabetici di tipo 2, un aumento della concentrazione di Bacteroidetes e una riduzione dei batteri produttori di butirrato quali Roseburia intestinalis e Faecalibacterium prausnitzii e ancora un aumento dell’espressione di geni coinvolti nello stress ossidativo ed una riduzione di quelli coinvolti nella sintesi di vitamine come la riboflavina. Da notare che il Faecalibacterium prausnitzii è il batterio che presenta la più alta concentrazione nell’intestino dei soggetti sani, rappresentando più del 5% di tutta la popolazione batterica.

Altri studi segnalano una riduzione dei Firmicutes e dei Bifidobacteria rispettivamente del 4% e del 14% nei pazienti obesi e del 13% e del 28% nei diabetici. È stata anche osservata una correlazione significativa fra la riduzione di concentrazione di queste specie batteriche e alcuni parametri metabolici come l’emoglobina glicata, la glicemia a digiuno, la circonferenza alla vita, il peso corporeo e il Bmi (indice di massa corporea).

Tra i vari fattori che contribuiscono alla genesi del diabete di tipo 2 quali l’età, la storia familiare, la sedentarietà e la dieta, dobbiamo perciò oggi includere anche un possibile ruolo di specifiche anomalie di composizione del microbiota intestinale. La flora batterica contribuisce alla maturazione anatomica e funzionale della mucosa intestinale e alla regolazione dei processi metabolici connessi con l’alimentazione. Vi sono perciò i presupposti per ritenere che una deviazione dalla norma della sua composizione possa contribuire, ove associata a una specifica suscettibilità genetica, all’origine del diabete di tipo 2, attraverso l’induzione di una infiammazione di basso grado, che notoriamente caratterizza l’obesità addominale, la resistenza insulinica e il diabete di tipo 2. Significativa è perciò al proposito la riduzione, nel microbiota dei diabetici di tipo 2, della concentrazione di Bifidobacterium e di Faecalibacterium prausnitzii entrambi accreditati di un effetto anti-infiammatorio.

Una molecola chiave coinvolta nella genesi dell’infiammazione e delle malattie metaboliche è il liposaccaride (Lps) derivato dalla flora batterica intestinale. Il liposaccaride è infatti una potente molecola pro-infiammatoria presente nella parete dei batteri gram-negativi e liberata nell’intestino con la loro morte.

Il concetto di endotossiemia metabolica, inteso come un aumento della concentrazione plasmatica di Lps, è stato definito per la prima volta in topi sottoposti a una dieta iperlipidica, ma confermato in molti studi che, anche nell’uomo, hanno dimostrato il rapporto esistente tra dieta iperlipidica, obesità, diabete di tipo 2 e Lps. È possibile che la rottura della barriera della mucosa intestinale, con conseguente assorbimento di componenti batteriche, sia alla base della endotossiemia metabolica propria dell’obesità e del diabete di tipo 2.

Nell’uomo, un regime dietetico ricco di grassi riduce il contenuto intestinale di Bifidobatteri e aumenta l’endotossiemia che induce il rilascio dal tessuto adiposo di citochine pro-infiammatorie (TNFα, IL-6) e determina insulinoresistenza. Per converso, i Bifidobatteri riducono l’endotossina intestinale e migliorano la funzione di barriera della mucosa.

Questi concetti aiutano a comprendere come non solo un eccesso di apporto calorico con la dieta, ma anche specifiche alterazioni qualitative della stessa possano avere effetti negativi sulla regolazione del metabolismo glucidico e come da ciò possano derivare nuove opportunità di intervento preventivo e terapeutico.

Un esempio ci viene da studi recenti che hanno evidenziato un rapporto fra consumo di carne rossa e incidenza di diabete di tipo 2 e di eventi cardiovascolari. Nel confronto con una dieta vegetariana, il consumo di carne rossa, ricca in L-carnitina (una trimetilamina) produce una maggior quantità di ossido di trimetilamina (Tmao). Quest’ultimo, prodotto dalla flora batterica intestinale, a partire dalla carnitina, accelera la comparsa di aterosclerosi nei roditori ed è stato associato, anche nell’uomo, a una maggiore incidenza di eventi cardiovascolari.

Le nuove conoscenze sul rapporto tra microbiota e diabete di tipo 2 aprono la strada a nuove possibilità nella prevenzione e nella cura.

Queste osservazioni sul nesso tra diabete e microbiota intestinale sono di grande interesse, perché aprono la strada a nuove ipotesi di intervento per combattere una patologia che rappresenta oggi a livello mondiale una delle maggiori minacce per la salute pubblica. Sia sul piano della prevenzione sia su quello della terapia, la conoscenza delle alterazioni riscontrate nel microbiota intestinale apre la strada a nuove possibilità di intervento fondate su opportune modificazioni della dieta e sull’uso di prebiotici e probiotici.

Sono inoltre in corso numerose ricerche sperimentali che utilizzano il trapianto fecale da soggetti sani, sia nell’animale sia nell’uomo, con lo scopo di migliorare nei riceventi l’equilibrio metabolico. In uno studio recente, l’infusione, in soggetti affetti da sindrome metabolica, del microbiota intestinale da un donatore magro sano ne ha migliorato la sensibilità all’insulina. Si confida che dalla caratterizzazione delle innumerevoli specie batteriche che compongono il microbiota intestinale possano quindi derivare, nel prossimo futuro, utili indicazioni per migliorare il nostro approccio terapeutico all’obesità e al diabete mellito.

prof. Paolo Brunetti