Le donne con diabete sono assistite con la medesima cura riservata agli uomini, ma i risultati clinici sono meno positivi. Perché? Se lo chiede l’Associazione medici diabetologi e in particolare il suo Gruppo Donna, che sta studiando da anni la questione e recentemente ha presentato a Bruxelles, al Parlamento europeo, in una audizione sulla medicina di genere, un’indagine sul tema. Nella diversa risposta alle cure nelle donne con diabete, sia di tipo 1 sia di tipo 2, rispetto agli uomini, giocano vari fattori, dalle specifiche caratteristiche ormonali alla differenziata risposta ai farmaci: temi che la medicina sta tuttora approfondendo. Un fatto è certo: anche nel diabete la differenza di genere c’è e va attentamente considerata.

La ricerca dell’Associazione medici diabetologi è stata svolta su un campione di più di 470mila pazienti (450mila con diabete di tipo 2 e 28mila con diabete di tipo 1), seguiti da circa un terzo dei centri diabetologici italiani.

In Italia non c’è disparità nella qualità del trattamento o nell’accesso alle cure tra donne e uomini, come invece accade in altri Paesi d’Europa e negli Stati Uniti. Ciononostante, i risultati clinici per le donne sono generalmente peggiori che per gli uomini.

Secondo Amd, i risultati dell’indagine sono da ritenere da un lato confortanti, se si considera che in altri Paesi d’Europa e negli Stati Uniti, si riscontrano disparità di genere nell’accesso alle cure e nella qualità dell’assistenza, diseguaglianze che da noi non ci sono. D’altro canto, rappresenta un problema da risolvere il fatto che, nonostante un pari livello di cure, le donne con diabete di tipo 2 fanno più fatica degli uomini a raggiungere i target lipidici per il controllo del colesterolo Ldl (quello cosiddetto “cattivo”) e le donne con diabete di tipo 1 hanno un peggiore compenso metabolico e in generale una più difficoltosa gestione della patologia. E’ più elevato anche il rischio di complicanze, specialmente di quelle cardiovascolari.

Le donne con diabete di tipo 2 fanno più fatica a tenere sotto controllo il colesterolo, quelle con diabete di tipo 1, pur essendo anche più trattate degli uomini, hanno maggiori difficoltà a mantenere i livelli corretti di emoglobina glicata.

Valeria Manicardi coordina il Gruppo Donna Amd, dirige l’Unità internistica multidisciplinare dell’Ospedale di Montecchio Emilia ed è coordinatrice per il diabete presso la Ausl di Reggio Emilia. Fa così il punto della situazione: “Abbiamo cercato di capire come, a parità di assistenza e trattamento del diabete, permanga un divario di genere in termini di outcome clinici. Nelle donne con diabete di tipo 2, per esempio, il risultato nel controllo del colesterolo Ldl sotto 100 è sempre inferiore rispetto agli uomini del 3-5% e tende a peggiorare con l’età (fino all’8%). Nel caso del diabete di tipo 1, invece, le donne fanno più fatica a tenere sotto controllo l’emoglobina glicata, nonostante siano anche più trattate degli uomini: abbiamo infatti un 20% di donne trattate con microinfusore contro un 14% di uomini. L’unica buona notizia è che le donne diabetiche non sono più ipertese degli uomini, ma ci si dovrà occupare di più anche del target pressorio nei diabetici tipo 1 di genere maschile. Tutti gli altri outcome, però, determinano nelle donne un maggiore rischio di complicanze cardiovascolari: così, anche in Italia l’infarto nei pazienti con glicemia alta è più comune e grave ‘al femminile’, e la mortalità più elevata e il profilo di rischio cardiovascolare risultano peggiori rispetto agli uomini”.

Manicardi (Amd): “La sperimentazione clinica, soprattutto sui farmaci, è stata a lungo prettamente maschile, mentre è necessario indagare efficacia e sicurezza dei nuovi farmaci e dispositivi anche nelle donne”.

Come spiegare queste diversità? Gli elementi da considerare sono molteplici e il tema continuerà a essere oggetto di studi e ricerche. Continua Manicardi: “Ci sono certamente differenze biologiche (variazioni ormonali legate al ciclo mestruale e alle diverse fasi della vita della donna) e una diversa risposta ai farmaci, che oggi richiedono una maggiore attenzione e analisi: la sperimentazione clinica, soprattutto sui farmaci, è stata a lungo prettamente maschile, mentre è necessario indagare efficacia e sicurezza dei nuovi farmaci e dispositivi anche nelle donne, che dovrebbero rappresentare almeno il 40-50% dei soggetti da coinvolgere negli studi. Un’altra ragione potrebbe risiedere nella minore percezione da parte delle donne del rischio cardiovascolare e, soprattutto, una minore propensione a prendersi cura di sé”.

L’Associazione medici diabetologi ha già dedicato alla medicina di genere declinata sul diabete due importanti studi con le monografie degli Annali Amd dedicate dal Gruppo Donna al diabete di tipo 2 (nel 2011) e al diabete di tipo 1 (nel 2014). La Società italiana di diabetologia ha presentato quest’anno al congresso di Riccione un position paper sulla medicina di genere. Altri articoli su questi argomenti sono presenti sul nostro sito qui e qui.