Nessuna delle evidenze scientifiche finora raccolte conferma l’esistenza di un nesso di causalità tra i nuovi farmaci antidiabete e obesità (agonisti del recettore Glp-1) – come semaglutide, liraglutide e dulaglutide – e l’insorgenza di pensieri suicidi. A fare il punto sull’argomento sono gli esperti della Società di Neuro Psico Farmacologia (Sinpf), in occasione del XXVI congresso nazionale dedicato agli ‘Orizzonti della Neuropsicofarmacologia nell’era dell’intelligenza artificiale: dal genoma alla clinica’. I farmaci antidiabete dimagranti sono da mesi sotto i riflettori ed oggetto di numerose ricerche: “Ma se da un lato questi studi non sembrano rilevare un legame con i pensieri suicidi, dall’altro lato ci sono anche lavori che suggeriscono la possibilità di estendere le applicazioni di questi medicinali contro alcune patologie neuropsichiatriche, come i disturbi dell’alimentazione, la depressione, le dipendenze e l’Alzheimer”, spiegano gli esperti.

GLI EFFETTI DEI FARMACI ANTIDIABETE DIMAGRANTI SUL SISTEMA NERVOSO CENTRALE

“Si tratta di composti simili ad ormoni naturalmente presenti nel nostro organismo, detti agonisti o analoghi del glucagon like peptide 1 (Glp-1), per i quali sono disponibili evidenze crescenti in termini di efficacia, oltre che per il trattamento del diabete e dell’obesità, anche per altre patologie neuropsichiatriche – illustra Bernardo Maria Dell’Osso, professore di psichiatria all’università di Milano e direttore del Dipartimento salute mentale e dipendenze dell’Asst Fatebenefratelli-Sacco di Milano -. La ricerca ha evidenziato infatti una serie di effetti di particolare interesse a livello del sistema nervoso centrale, con implicazioni nell’area della salute mentale potenzialmente non inferiori a quelli visti in endocrinologia. Sempre più numerosi report nel trattamento dei disturbi depressivi, neurocognitivi e del comportamento alimentare, solo per menzionarne alcuni, portano la comunità scientifica ad interessarsi in misura crescente ai trial che stanno testando l’uso dei Glp-1 agonisti nella terapia di alcuni disturbi psichiatrici”.

IL BINGE EATING DISORDER

“I timori iniziali circa gli effetti collaterali stanno iniziando a essere progressivamente sostituiti da nuove speranze”, riflette Claudio Mencacci, direttore emerito di psichiatria all’ospedale Fatebenefratelli di Milano e co-presidente Sinpf. Fra gli studi al riguardo gli esperti ne citano uno del National Institute on Drug Abuse (Nida) americano, pubblicato recentemente su ‘Nature Medicine’, che ha dimostrato come le persone che assumono semaglutide – e non hanno una storia pregressa di ideazione suicidaria – sembrano avere fino a quattro volte di probabilità in meno di avere pensieri suicidari. Mentre nei pazienti con una storia di ideazione suicidaria che assumono semaglutide, risulta un rischio dimezzato.
Si sta poi “studiando la possibilità di utilizzare i Glp-1 anche nel trattamento del ‘Binge Eating Disorder‘, il disturbo da alimentazione incontrollata – fa presente Matteo Balestrieri, già Ordinario di psichiatria all’università di Udine e co-presidente della Sinpf -. Le prime ricerche suggeriscono che i Glp-1 possono fornire un nuovo approccio farmacologico, agendo sulle vie di segnalazione della sazietà e della ricompensa alimentare coinvolte nell’ingestione di grandi quantità di cibo. Piccoli studi pilota e case report indicano riduzioni promettenti della frequenza delle abbuffate”, per esempio. I primi risultati “sono incoraggianti ma la fattibilità dei Glp-1 come nuova direzione terapeutica per il Binge Eating Disorder non può essere confermata senza ulteriori ricerche cliniche di alta qualità”.

LA RIDUZIONE DI ANSIA E DEPRESSIONE

Un altro studio, pubblicato da ‘Epic Research’, prospetta che semaglutide potrebbe ridurre le probabilità di soffrire di ansia o depressione: nel lavoro in questione, i pazienti non diabetici che lo assumevano avevano il 37% in meno di probabilità di ricevere una diagnosi di depressione, mentre i pazienti diabetici che assumevano il farmaco avevano un rischio ridotto del 45%. La differenza più significativa nell’incidenza dell’ansia è stata notata tra i pazienti diabetici che assumevano tirzepatide, altro farmaco Glp-1, che è stato collegato a una riduzione del 60% del rischio di ansia. “I dati di questo studio suggeriscono che i farmaci Glp-1 potrebbero avere un effetto positivo sulla salute mentale – analizza Mencacci -. Tuttavia, non identificano una chiara relazione causale tra l’uso di questi farmaci e una riduzione dell’incidenza di ansia e depressione. Sono necessarie ulteriori informazioni per valutare i fattori che contribuiscono a queste correlazioni”.

LEGAMI CON I DISTURBI DA ABUSO DI ALCOL

Il campo delle dipendenze è un altro di quelli esplorati: uno studio della Case Western Reserve University School of Medicine (Cleveland, Ohio), pubblicato su ‘Nature Communications’, rileva che i pazienti obesi che assumono semaglutide hanno un rischio ridotto di sviluppare disturbi da abuso di alcol. I ricercatori hanno replicato lo studio anche su pazienti con diabete di tipo 2 e hanno trovato risultati simili. Mentre un lavoro della stessa università, pubblicato su ‘Jama Network Open’, ha dimostrato che semaglutide sembra ridurre il rischio di overdose da oppioidi. Ancora preliminari sono i dati circa il legame dei farmaci Glp-1 con l’Alzheimer: in uno studio pubblicato a ottobre scorso sulla rivista Alzheimer’s & Dementia, sempre i ricercatori della Case Western Reserve University, hanno analizzato le cartelle cliniche di oltre un milione di persone affette da diabete di tipo 2, considerato un fattore di rischio per l’Alzheimer, e hanno scoperto che coloro a cui era stato prescritto solo semaglutide avevano un rischio inferiore del 67% di sviluppare la malattia durante un follow-up di tre anni rispetto a chi assumeva solo insulina. Andranno ora approfonditi i meccanismi alla base di queste osservazioni.

 

 

 

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