Oggi sono disponibili farmaci antidiabete efficaci nel controllo dell’equilibrio glicemico e nella prevenzione di eventi e patologie cardiovascolari, che però sono ancora poco utilizzati. Lo sottolinea la Associazione medici diabetologi (Amd), che ha recentemente realizzato uno studio su una classe di questi nuovi medicinali, le Gliflozine (o Sglt2i), osservando che solamente il 5% dei pazienti diabetici di tipo 2 che potrebbero giovarsene e per i quali sarebbero indicati è in cura con quei farmaci.
Lo studio è una monografia della storica collana di indagini e rapporti Amd sul diabete in Italia denominata “Annali”, che consente di delineare quanti diabetici di tipo 2 sono potenzialmente eleggibili per una terapia con Gliflozine (stando ai criteri di studi specifici chiamati Cvot, Cardiovascular outcome trials) e quanti sono di fatto in cura con questi medicinali nell’ambito della loro terapia. L’attenzione è stata rivolta in particolare agli aspetti relativi alla capacità di contrasto del rischio cardiovascolare attribuita a questi nuovi farmaci per la terapia del diabete di tipo 2.
La monografia infatti riguarda la trasferibilità dei risultati di una serie di studi clinici sull’uso di questi farmaci, mirati sulle problematiche cardiovascolari (Cvot), nella terapia della popolazione di diabetici di tipo 2. Sono stati presi in considerazione gli studi Empa-Reg Outcome (Empagliflozin), Canvas (Canagliflozin), Declare-Timi 58 (Dapagliflozin), Vertis-Cv (Ertugliflozin) per verificarne l’applicabilità concreta. Obiettivo di Amd era “fornire uno strumento di approfondimento e interpretazione pratica attraverso la valutazione dell’applicabilità dei criteri di inclusione di diversi Cvot sugli Sglt-2i in popolazioni di pazienti con diabete di tipo 2 in condizioni di normale pratica clinica”.
L’analisi si è basata sui dati degli Annali 2018, riguardanti i pazienti con diabete di tipo 2 nell’anno indice 2016, raccolti in 222 servizi di diabetologia.
Le Gliflozine sono una nuova classe di farmaci in grado di ridurre i livelli di glicemia, che ha dimostrato efficacia anche nel contrasto di alcuni fattori di rischio cardiovascolare.
Che cosa sono le Gliflozine? Le Gliflozine sono una classe di molecole che effettua una azione di riduzione dei livelli di glucosio nel sangue, e quindi di controllo della glicemia e dell’emoglobina glicata, “inibendo -spiega la Amd- una proteina responsabile del 90% del riassorbimento del glucosio da parte dei reni, il co-trasportatore di sodio-glucosio 2 (Sglt2)”, favorendo l’eliminazione del glucosio con le urine. Questa famiglia di medicinali ha dimostrato anche la sua efficacia contro alcuni fattori di rischio cardiovascolare e quindi la capacità di ridurre eventi patologici e livelli di mortalità.
Amd osserva infatti che “è emerso che gli Sglt2i, insieme al Glp1, sono -tra i nuovi farmaci- quelli che hanno dimostrato un risultato migliore nell’ambito dei Cvot: non solo dimostrando l’assenza di un eccesso di rischio cardiovascolare rispetto al placebo, ma anche un ruolo protettivo sull’endpoint primario composito (morte cardiovascolare, infarto del miocardio, ictus)”.
Gli “Standard italiani per la cura del diabete mellito 2018” di Sid e Amd dedicano spazio specifico a questi nuovi farmaci e alla loro azione di controllo della glicemia e della emoglobina glicata, segnalandone anche gli effetti di protezione contro i rischi cardiovascolari. Si legge infatti che “la buona efficacia e tollerabilità delle Gliflozine rende questi farmaci un’opzione interessante nel trattamento dei pazienti che falliscono alla monoterapia con metformina, o di quelli con intolleranza o controindicazioni alla metformina. Le Gliflozine sono utili anche in combinazione con l’insulina, per ridurre il fabbisogno insulinico e contrastare l’aumento di peso. Considerati i risultati dei trial di outcome cardiovascolare, gli Sglt2 inibitori sono tra i farmaci raccomandati nei pazienti con pregressi eventi cardiovascolari maggiori”.
Mannino (Amd): questo studio dimostra un utilizzo troppo basso degli Sglt-2i fra i pazienti che rientrano nei criteri di eleggibilità, e che quindi potrebbero beneficiare di questi farmaci in termini di riduzione degli eventi cardiovascolari maggiori e di mortalità.
Sulla base degli studi citati sopra, la monografia di Amd ha rilevato, come accennato all’inizio, che sulla popolazione di pazienti diabetici di tipo 2 monitorata dagli Annali Amd (rappresentativa della realtà diabetologica italiana), circa il 5% di coloro per cui questi farmaci sarebbero indicati nella loro terapia antidiabete sono effettivamente in cura con Gliflozine. A seconda degli studi considerati e del tipo di Gliflozine esaminato, la percentuale di pazienti trattati va dal 4,4% al 6,6% e il 5% rappresenta il dato medio. Gli esperti di Amd concludono che sono troppo pochi coloro per i quali sarebbe appropriato l’utilizzo degli inibitori del co-trasportatore di sodio glucosio 2 che sono effettivamente trattati con questi farmaci: uno scarto che dovrebbe essere ridotto, essendo accertati i benefici che queste molecole avrebbero per tanti pazienti di tipo 2 che oggi sono sottoposti ad altre terapie.
Commenta il presidente di Amd Domenico Mannino: “Il miglioramento degli esiti cardiovascolari del diabete di tipo 2 è ormai un obiettivo imprescindibile. Le prospettive terapeutiche del diabete di tipo 2 hanno subito profonde modifiche, passando dal semplice controllo della glicemia a un approccio più olistico, di beneficio a lungo termine sulle complicanze. Tra i nuovi farmaci testati nell’ambito dei Cvot, gli Sglt2i sono, insieme agli agonisti recettoriali del glucagon-like peptide 1 (Glp1), quelli che hanno mostrato i risultati migliori. La nostra analisi ha rilevato come un gran numero di soggetti candidabili alla terapia con Gliflozine, non riceva questo trattamento, almeno nell’anno indice 2016, su cui è effettuata l’analisi degli ultimi Annali Amd”.
I dati rilevati sono certamente significativi, anche se vanno tenuti presenti alcuni limiti derivanti dal fatto che gli studi clinici Cvot su Gliflozine e rischio cardiovascolare sono stati fatti su pazienti specificamente selezionati, mentre la popolazione monitorata dagli Annali Amd è una platea più vasta e generica. Precisa infatti Mannino: “Il confronto fra le caratteristiche dei soggetti italiani potenzialmente eleggibili e quelle dei pazienti arruolati nei diversi Cvot ha mostrato sostanziali differenze (per età, durata del diabete, Bmi, controllo metabolico). Si tratta, pertanto, di popolazioni non sovrapponibili, dato ampiamente atteso, considerando la natura molto diversa di uno studio clinico controllato rispetto a un archivio di dati clinici real world quali sono gli Annali. Ciò potrebbe in parte giustificare l’uso ancora limitato degli Sglt-2i nella pratica clinica; così come la relativa ‘recente’ disponibilità di queste molecole, introdotte in prontuario solo a partire dal 2015”.
“L’analisi svolta -continua il presidente di Amd- evidenzia una trasferibilità solo parziale dei dati dei Cvot alla ‘real life’ e pertanto, mentre nei diabetici che hanno avuto un evento cardiovascolare la scelta di un Sglt2i dovrebbe essere la norma, resta aperta la domanda su quali debbano essere i farmaci di prima scelta nel caso in cui occorra intensificare la terapia nei soggetti a rischio cardiovascolare medio-basso, che rappresentano la quota più numerosa di pazienti con diabete di tipo 2. D’altra parte, questo studio dimostra comunque un utilizzo troppo basso degli Sglt-2i fra i pazienti che rientrano nei criteri di eleggibilità dei Cvot, e che quindi potrebbero beneficiare di questi farmaci in termini di riduzione degli eventi cardiovascolari maggiori e di mortalità. È auspicabile che l’emergere di nuove evidenze e una maggiore diffusione delle nuove raccomandazioni, sia italiane sia internazionali, possano portare a un uso più diffuso di questa classe di farmaci, con benefici clinici per i pazienti e anche economici per il sistema sanitario pubblico”.
Di queste tematiche abbiamo parlato anche qui.