Un buon controllo del diabete aumenta l’aspettativa di vita dei pazienti, in misura significativa. Lo ha dimostrato un recente studio statunitense, pubblicato sulla nota testata scientifica Jama, ” The Journal of the American Medical Association”, secondo il quale, migliorare il controllo dei parametri fondamentali (biomarcatori) dell’emoglobina glicata, dell’indice di massa corporea (Bmi), della pressione sistolica e del colesterolo Ldl, può prolungare in media di tre anni l’aspettativa di vita delle persone con diabete di tipo 2. E, per chi ha valori molto alti, ricondurli e mantenerli in linea con i livelli ottimali può portare addirittura a un allungamento di dieci anni.

Secondo uno studio americano, il buon controllo del diabete può prolungare di tre anni, in media, l’attesa di vita di una persona con diabete di tipo 2. Emoglobina glicata, indice di massa corporea, pressione e colesterolo “cattivo” Ldl sono i parametri da tenere d’occhio.

Lo studio si intitola “Potential gains in life expectancy associated with achieving treatment goals in US adults with type 2 diabetes” (“Potenziale miglioramento dell’aspettativa di vita associato al raggiungimento degli obiettivi di cura in adulti statunitensi con diabete di tipo 2”). Autori: Hamed Kianmehr, Pimg Zhang, Jing Luo e altri.

L’indagine ha messo sotto osservazione nel tempo 421 persone con diabete di tipo 2 con età media di 65,6 anni e ha misurato di quanto può allungare la vita dei pazienti il raggiungimento degli obiettivi terapeutici per quei quattro biomarcatori essenziali.

I ricercatori hanno rilevato che sono soprattutto le differenze nei livelli di emoglobina glicata e nel Bmi (indice di massa corporea, dato dal rapporto tra peso e quadrato dell’altezza) a influenzare l’aspettativa di vita.

Pur sottolineando che i benefici in temini di attesa di vita del buon controllo del diabete e dei suoi parametri variano a seconda delle caratteristiche della singola persona (per esempio, sono maggiori nei pazienti più giovani rispetto agli anziani), si può affermare che portare i biomarcatori a livelli ottimali, in media, allunga la prospettiva di vita di un diabetico di tipo 2 di tre anni. E per i soggetti con alti livelli di glicata, pressione, colesterlo Ldl e Bmi, migliorare i biomarcatori può aumentare l’aspettativa di vita fino a dieci anni.

Gli anni che si guadagnano con valori buoni

Infatti, lo studio ha confrontato i soggetti con i valori più elevati con quelli con i valori più bassi e più vicini al livello ottimale e ha verificato che il secondo gruppo guadagna 3,9 anni di aspettativa di vita dal miglioramento del Bmi, 3,8 dalla emoglobina glicata, 1,9 dalla pressione e 0,9 dal colesterolo.

Vi sono anche livelli intermedi, che confermano che, quanto più ci si avvicina ai valori ottimali dei biomarcatori, tanto più tende a crescere l’aspettativa di vita nel diabete di tipo 2.

Per esempio, si è visto che, rispetto al gruppo di pazienti con l’emoglobina glicata più alta (al 9%), quelli con i valori più bassi (al 5,9%) hanno 3,8 anni in più di aspettativa di vita. Ma anche quelli che si collocano su valori mediani (7,7%) hanno un gudagno di 3,4 anni in confronto ai soggetti con i livelli più alti (e quindi a più alto rischio). (Il valore di glicata considerato normale è inferiore al 5,7% – sull’emoglobina glicata, che misura l’andamento della glicemia nei precedenti due-tre mesi, e i suoi valori si veda più in particolare sul nostro sito qui).

Nel caso dell’indice di massa corporea, paragonati ai pazienti con il più alto indice di massa corporea (41,1, condizione di chiara obesità), i soggetti con il Bmi più basso (24,3) guadagnano 3,9 anni di aspettativa in più; quelli dei gruppi intermedi (28,6 e 33) hanno un aumento, rispettivamente, di 2,9 e 2 anni.

Un incentivo a perseguire scrupolosamente gli obiettivi terapeutici

Lo studio dà quindi risultati molto interessanti, che evidenziano i benefici del conseguimento degli obiettivi terapeutici in termini di longevità per i diabetici di tipo 2.

Infatti, se è vero che, a parità di età (50 anni), in confronto a persone non diabetiche, avere il diabete di tipo 2 è associato a una aspettiva di vita inferiore di sei anni,  un miglior controllo della pressione, della glicemia, del colesterolo e del peso corporeo può potenzialmente ridurre il rischio di complicanze correlate al diabete (a partire da quelle cardiovascolari, molto diffuse e insidiose) e quindi di mortalità, allungando così l’aspettativa di vita.

Gli autori commentano che negli Stati Uniti, in generale, il controllo dei fattori di rischio del diabete non è ottimale e deve essere migliorato. E suggeriscono ai medici di utilizzare i risultati del loro studio per motivare i pazienti a perseguire gli obiettivi raccomandati del trattamento, rispettando con scrupolo la terapia prescritta, seguendo una alimentazione sana, praticando regolare attività fisica.

Ai decisori politici è rivolto l’invito a prestare attenzione alle risultanze di questo studio, che conferma con nuovi dati quanto osservato in altre indagini precedenti, affinché agiscano di conseguenza con interventi e programmi diretti a rafforzare la cura del diabete negli Usa.

Si tratta di osservazioni che valgono anche al di fuori degli Stati Uniti, anche se i ricercatori fanno correttamente osservare che la popolazione nordamericana, rispetto, per esempio, a quella europea, non ha caratteristiche demografiche ed etnografiche simili, è assistita da un sistema sanitario differente e vive in un contesto ambientale diverso.

L’intero studio, in lingua inglese, è disponibile sul sito di Jama a questo link.