La ricerca sul diabete ha compiuto una svolta rivoluzionaria cento anni fa con la scoperta dell’insulina (ne abbiamo recentemente parlato qui), poi ha proceduto per passi graduali, migliorando progressivamente l’efficacia delle terapie, la accuratezza dell’autocontrollo, la capacità diagnostica, e continuando a sperimentare. Per il momento, purtroppo. la cura definitiva ancora non c’è, ma l’evoluzione scientifica ha reso più serena per i pazienti la convivenza quotidiana con questa patologia. E si auspica che possa farlo ancora di più domani.

Il diabetologo Paolo Brunetti fa il punto sull’evoluzione della ricerca sul diabete, sui progressi che permettono oggi un più efficace trattamento e sulle prospettive future.

Dell’evoluzione della ricerca sul diabete ci parla qui il professor Paolo Brunetti, già presidente della Società italiana di diabetologia e socio fondatore della Aild (Associazione italiana Lions per il diabete), che fa il punto su quanto è accaduto nel tempo sul fronte della terapia del diabete di tipo 1 e del diabete di tipo 2 e su quali prospettive si intravedono per il futuro.

I progressi nella terapia del diabete di tipo 1

“Nella terapia del diabete di tipo 1 -nota Brunetti- notevoli progressi sono stati ottenuti con l’introduzione di nuove insuline a lunga durata di azione, capaci di riprodurre una insulinemia di base non molto dissimile da quella fisiologica, a cui aggiungere insuline prandiali a rapido assorbimento. Lo sviluppo della tecnologia ha portato, inoltre, in casi selezionati, all’impiego di sistemi di infusione insulinica modulati sulla base della risposta glicemica”.

Trapianti di insule e staminali: siamo ancora nel campo della ricerca

Per quanto riguarda le speranze riposte nei trapianti e nell’impiego delle cellule staminali, che alimentano talvolta fake news su imminenti applicazioni terapeutiche generalizzate, Brunetti è esplicito nel frenare aspettative fuori luogo: ”Il recupero di una secrezione endogena di insulina attraverso il trapianto di insule o di cellule staminali appartiene ancora al campo della ricerca”.

L’importanza della diagnosi precoce nel diabete di tipo 2

“Assai maggiore, rispetto al diabete di tipo 1 -commenta il professore- è l’impatto che sulla società sta avendo la dilagante diffusione a livello mondiale del diabete di tipo 2. In questo caso è fondamentale sottolineare ancora una volta l’importanza di una diagnosi e di un trattamento quanto più precoci del disordine metabolico. Al momento della diagnosi, quando si registra un aumento della glicemia a digiuno e postprandiale, la funzione beta-cellulare è già compromessa nella misura di almeno il 50%. Poiché l’iperglicemia ha un effetto dannoso sulla funzione beta-cellulare, l’inerzia terapeutica porta a un ulteriore progressivo deterioramento del compenso glicemico”.

Abbiamo una terapia farmacologica efficace

Anche Paolo Brunetti sottolinea l’importanza della disponibilità di nuovi farmaci antidiabete in grado di migliorare significativamente la gestione della patologia.

“Tutti gli studi clinici -spiega- dimostrano come l’effetto positivo del controllo precoce della glicemia si estenda fino a venti anni dopo l’inizio della terapia, con un minore rischio di complicanze a lungo termine. Ciò è oggi possibile per la disponibilità di nuovi farmaci che, per la prima volta, si sono rivelati capaci di modificare positivamente il decorso della patologia. Questi sono gli agonisti del recettore del Glucagon-like receptor 1 (Glp-1Ra) e gli inibitori del cotrasportatore renale sodio-glucosio di tipo 2 (Sglt2). Ciascuna di queste due categorie di farmaci può essere aggiunta tempestivamente alla terapia di base con metformina, se questa, insieme alla dieta e all’esercizio fisico, non è in grado di riportare la emoglobina glicata entro i limiti desiderati. Nelle condizioni di maggiore carenza insulinica è prevista l’associazione con una insulina a lunga durata di azione”.

In sintesi -chiosa il diabetologo- “in attesa di soluzioni più avveniristiche, la risposta oggi più attuale alla richiesta di cura del paziente con diabete di tipo 2 è il ricorso quanto più precoce possibile a una terapia farmacologica di provata efficacia, oggi per la prima volta disponibile”.

Approfondimento sui nuovi farmaci

Per chi desidera approfondire il tema del funzionamento dei farmaci innovativi contro il diabete, che rappresentano una delle maggiori recenti novità nell’ambito della ricerca sul diabete, Paolo Brunetti fornisce indicazioni più particolareggiate.

I Glp-1Ra esplicano la loro azione ipoglicemizzante attraverso una serie di meccanismi che comprendono, accanto allo stimolo alla secrezione e alla sensibilità insulinica, l’inibizione della secrezione di glucagone, il rallentamento dello svuotamento gastrico e la riduzione dell’appetito per un effetto centrale con conseguente diminuzione del peso corporeo. In vari studi (Leader, Sustain-6, Harmony, Rewind) i Glp-1Ra hanno dimostrato una significativa superiorità rispetto al placebo, riducendo il rischio di morte cardiovascolare del 12%, dell’infarto del 9%, dell’ictus del 16%, della morte per tutte le cause del 12% e della ospedalizzazione per scompenso cardiaco del 9%, tutte altamente significative. Ada e Easd concordano nell’indicare l’uso preferenziale dei Glp-1Ra nei soggetti obesi o in sovrappeso e in quelli suscettibili all’ipoglicemia o con malattia cardiovascolare o nefropatia incipiente”.

Invece, “gli inibitori del cotrasportatore sodio-glucosio 2 (Sglt2) o gliflozine esplicano la loro attività attraverso l’inibizione del riassorbimento del glucosio dal filtrato nei tubuli renali. Dalla eliminazione urinaria del glucosio deriva una riduzione della glicemia e dell’emoglobina glicata, senza che venga stimolata la secrezione insulinica”.

Brunetti ricorda infine che vari studi (come Empareg-Outcome) hanno dimostrato i benefici cardiovascolari dei farmaci di questa classe, in grado di ridurre del 38% la mortalità per cause cardiovascolari e del 35% il rischio di ospedalizzazione per scompenso di cuore.

Sui farmaci innovativi antidiabete, si veda anche qui.