Quest’anno l’insulina compie cento anni. Fu infatti scoperta nel 1921 da due ricercatori di Toronto, Canada, Frederick Grant Banting e Charles Herbert Best e dal britannico John James Rickard Macleod. L’ormone insulina sarebbe diventato la base di un farmaco salvavita per una malattia per la quale mancavano soluzioni terapeutiche.

L’insulina non soltanto ha salvato e continua a salvare milioni di persone affette da diabete, ma ha permesso loro, anche grazie ai progressi scientifici e tecnologici susseguitisi nel tempo, di migliorarne sostanzialmente la qualità della vita quotidiana e le prospettive di longevità.

Negli anni la scienza ha registrato progressivamente significativi passi avanti: dall’insulina animale all’insulina umana, agli analoghi dell’insulina, al biosimilare.

Terapia base nel diabete di tipo 1, l’insulina è utilizzata anche nella cura del diabete di tipo 2 quando i trattamenti farmacologici e gli interventi sugli stili di vita non bastano a ottenere un buon controllo glicometabolico.

Si celebra quest’anno il centenario dell’insulina, nata nel 1921: una delle più grandi scoperte della medicina moderna, una vera rivoluzione nel trattamento del diabete.

Secondo il diabetologo Paolo Brunetti (già presidente della Sid e tra i fondatori della Aild, Associazione italiana Lions per il diabete) si può definire certamente “una delle più grandi scoperte, se non la più grande in assoluto, della medicina moderna”. Giusto quindi celebrarne il centenario, anche come invito ad avere fiducia nella scienza medica in un momento così difficile dal punto di vista sanitario come quello che stiamo vivendo oggi dopo l’arrivo del Coronavirus.

Come osserva Brunetti, l’importante anniversario dell’insulina può essere l’occasione “per riflettere sugli avanzamenti compiuti nella terapia del diabete di tipo 1, per definizione insulino-dipendente, in questo secolo di storia, grazie alla disponibilità delle nuove insuline e allo sviluppo della moderna tecnologia”.

Al tempo stesso -aggiunge Brunetti- “non dobbiamo dimenticare il fondamentale contributo dato al miglior controllo della malattia diabetica dalla pratica dell’autocontrollo, di cui può essere considerato un pioniere Elliott Proctor Joslin, vissuto tra il 1869 e il 1962 e fondatore del Joslin diabetes center di Boston (Massachusetts, Usa), punto di riferimento mondiale per la ricerca e la pratica diabetologica”.

L’evoluzione della terapia

Riportiamo quindi quanto scritto dal professor Paolo Brunetti per “Tuttodiabete”.
“Dagli anni Ottanta a oggi la terapia insulinica si è arricchita degli analoghi dell’insulina ad azione rapida o ritardata, molecole ottenute per biosintesi, modificate rispetto alla struttura originale della insulina umana, ma più idonee di questa a ricostruire la omeostasi insulinemica, sia in condizioni basali sia dopo l’assunzione dei pasti, quando vengano iniettate sottocute. Al tempo stesso, la terapia infusionale sottocutanea continua di insulina si è arricchita di nuove generazioni di strumenti di piccole dimensioni, di grande versatilità e di facile impiego, tanto da renderle altamente competitive nei confronti della classica terapia multi-iniettiva.

Nella terapia iniettiva come in quella infusionale, agli analoghi dell’insulina ad azione rapida spetta la copertura dei pasti, resa possibile, a differenza della insulina umana, da un loro più rapido assorbimento dal tessuto sottocutaneo con generazione di un picco insulinemico precoce in grado di prevenire sia l’iperglicemia patologica derivata dall’assorbimento dei carboidrati sia la possibile insorgenza di ipoglicemie tardive.
La ricostituzione della insulinemia basale nei diabetici insulino-privi è invece possibile grazie all’impiego di un analogo ad azione ritardata o, in alternativa, grazie alla infusione continua, variamente modulata nel corso della giornata, di un analogo ad azione rapida.

Il controllo della glicemia
L’obiettivo della terapia insulinica nel diabete di tipo 1 è, come lo studio Dcct ci ha insegnato, la quasi normoglicemia. L’accuratezza delle dosi di insulina rapida e ritardata deve perciò essere valutata sulla base del monitoraggio della glicemia da eseguire la mattina a digiuno, ma anche prima del pranzo e della cena e due ore dopo l’inizio dei pasti. Un controllo ottimale della glicemia presuppone una glicemia a digiuno e preprandiale compresa fra 90 e 120 mg/dl, una glicemia postprandiale mediamente inferiore a 140-150 mg/dl e una concentrazione di emoglobina glicata (Ac1) compresa fra 6,5 e 7%.

L’importanza del coinvolgimento del paziente

Ne deriva che le dosi di insulina rapida preprandiale e di insulina basale devono essere modificate fino a raggiungere gli obiettivi glicemici desiderati senza incorrere nel pericolo di ipoglicemia. Ciò è quanto il medico, il diabetologo, deve insegnare al paziente, invitandolo a registrare in un apposito diario il monitoraggio domiciliare della glicemia che deve rappresentare la base di discussione e di confronto per ogni successivo controllo.

Ma l’educazione del paziente non può limitarsi alla indicazione del farmaco (l’insulina) e il medico non può prendersi carico dell’intero processo educativo, al quale devono partecipare altre figure attive in ambito sanitario. Lo aveva intuito, con grande lucidità e con enorme anticipo rispetto ai tempi in cui è vissuto, Elliott Joslin, che può essere considerato a buon diritto il padre della moderna diabetologia.

Il dottor Joslin fu un sostenitore convinto della necessità di una diagnosi precoce del diabete, di un controllo stretto della glicemia (con il ricorso -nell’era pre-insulina- a diete povere di carboidrati fino al digiuno e alla pratica regolare di esercizio fisico) e di un coinvolgimento diretto del paziente, opportunamente istruito, nella gestione della propria patologia”.