Per stare bene con il diabete sono necessarie tante cose: fondamentale, tra queste, una corretta e ben bilanciata alimentazione, insieme con l’attività fisica e con la terapia farmacologica.
Mangiare poco e sano, in modo equilibrato, scegliendo bene qualità e quantità, è uno dei principi essenziali alla base di un buon regime nutrizionale per una persona con diabete (ma anche per gli altri): con quali criteri metterlo in pratica nella vita di tutti i giorni?
Stare bene con il diabete, mangiando poco e sano. Il presidente della Sid Consoli: “Non solo per prevenire e/o gestire il diabete, ma per vivere più a lungo in salute è necessario limitare l’introito calorico e scegliere con cura il poco cibo con il quale nutrirsi, in modo da privilegiare una dieta bilanciata nei suoi componenti, ma comunque ricca in fibre e in vegetali e non troppo ricca in proteine e in grassi saturi”. Un principio valido per tutti, diabetici e no.
Questo tema così decisivo è stato in primo piano durante i lavori del 28° Congresso nazionale della Società italiana di diabetologia, svoltosi in forma virtuale alla fine dell’anno appena concluso.
Una prima sintesi della questione la fa il presidente della Sid Agostino Consoli: “Non solo per prevenire e/o gestire il diabete, ma per vivere più a lungo in salute è necessario limitare l’introito calorico e scegliere con cura il poco cibo con il quale nutrirsi, in modo da privilegiare una dieta bilanciata nei suoi componenti, ma comunque ricca in fibre e in vegetali e non troppo ricca in proteine e in grassi saturi. Ricordiamoci anche che mangiare ‘bene’ dal punto di vista della salute, non vuol dire rinunciare a mangiare ‘bene’ dal punto di vista della palatabilità e della ‘godibilità’ dei cibi. Si può, e si deve, preparare piatti davvero molto buoni che siano però anche molto ‘sani’”.
“Cibo ed esercizio fisico come medicina”, secondo il medico e ricercatore Luigi Fontana, uno dei maggiori esperti di longevità a livello mondiale.
Quindi, è necessario, mangiare sano e mangiare meno (naturalmente senza farsi mancare tutti gli elementi nutritivi fondamentali): perché questa buona abitudine allunga la vita. Proprio nel corso del congresso della Sid, ha ampiamente trattato l’argomento il professor Luigi Fontana, medico e ricercatore dell’Università di Sydney, Australia (dove dirige l’Healthy Longevity Program Charles Perkins Centre), uno dei massimi esperti di longevità a livello mondiale. Lo studioso (nato a Trento) ha infatti presentato una lettura magistrale intitolata “Cibo ed esercizio fisico come medicina: meccanismi metabolici e molecolari”, di cui riportiamo qui alcune significative parti riguardanti l’alimentazione.
Nemici da combattere: sovrappeso e obesità
Per stare bene con il diabete, innanzitutto, occorre contrastare sovrappeso e obesità, che notoriamente si accompagnano molto spesso al diabete di tipo 2, accrescendo le possibilità di insorgenza di complicanze del diabete, ma anche di altre serie patologie.
Dice infatti Fontana: “Uno dei più importanti fattori di rischio da combattere è il sovrappeso/obesità. Soprattutto l’obesità viscerale (addominale) si associa a fattori di rischio cardio-metabolici quali diabete di tipo 2, infiammazione, dislipidemia, ipertensione, scompenso cardiaco, ictus, demenza vascolare, ma anche a Nash (steatoepatite non alcolica) e a una serie di tumori (colon, mammella, utero, rene, esofago, pancreas, fegato)”.
Sana alimentazione e attività fisica allungano la vita
La modifica degli stili di vita è una strategia importante per contrastare i fattori di rischio e prevenire possibili complicanze: va adottata tempestivamente e sistematicamente, perché i cattivi comportamenti protratti nel tempo producono un effetto di accumulo dei danni per l’organismo. Come avverte il professore, l’invecchiamento e le patologie non cominciano a 65 anni.
“La parola d’ordine -continua Fontana- è agire sulle vie di segnale dell’invecchiamento, per passare dall’approccio disease-centered, insostenibile economicamente, a quello prevention-centered, basato sulla prescrizione personalizzata di interventi mirati che blocchino o rallentino l’accumulo del danno metabolico-molecolare. Le vie di segnale dell’invecchiamento possono essere inibite efficacemente attraverso la dieta e l’attività fisica”.
Fontana definisce l’attività fisica “un ‘farmaco’ potentissimo per migliorare la sensibilità all’insulina”: quindi fa bene e contrasta l’invecchiamento. Deve d’altronde procedere insieme con la sana alimentazione.
“La dieta è fondamentale -sottolinea il ricercatore- L’attività fisica non è un sostituto di una buona alimentazione. L’attività fisica aumenta l’aspettativa di vita media, ma non quella totale (gli animali sono più sani, ma non vivono più a lungo), mentre la restrizione calorica non solo rende gli animali più sani (molte delle patologie croniche sono o prevenute o rallentate), ma li fa anche vivere più a lungo”.
La restrizione calorica riduce il rischio di cancro, malattie cardiovascolari e diabete di tipo 2
Fontana cita diversi autorevoli studi che hanno dimostrato come moderare l’introduzione di calorie (la restrizione calorica), senza malnutrizione, sia utile a rallentare l’invecchiamento, a prevenire varie patologie e in particolare anche a stare bene con il diabete.
Infatti, dice lo studioso, “esperimenti su modelli animali (topi e scimmie) hanno dimostrato che la restrizione calorica riduce del 50% il rischio di cancro e di malattie cardiovascolari, oltre a prevenire il diabete di tipo 2; riduce inoltre atrofia cerebrale, gliosi, sarcopenia e fragilità. Un altro studio ha dimostrato che il 30% delle scimmie in restrizione calorica vive più di 40 anni (che per una Rhesus monkey corrispondono a 120 anni nell’uomo). Lo studio di Adams pubblicato sul Nejm (New England Journal of Medicine, 2007) ha dimostrato che i pazienti sottoposti a chirurgia bariatrica mostrano una riduzione del 92% di diabete, del 56% di infarto, del 60% di cancro. Lo studio inglese Direct (Roy Taylor) ha dimostrato che nei diabetici, la perdita di peso manda in remissione il diabete e in quelli che perdono più di 15 Kg, l’86% è ancora in remissione dal diabete dopo un anno e il 70% dopo due anni. Il trial Creso, su pazienti con diabete di tipo 2 randomizzati per 6 mesi al 25% di restrizione calorica, dimostra che questo intervento, oltre a determinare una riduzione di peso, circonferenza vita, glicemia e glicata e della pressione, determina anche una riduzione dell’angiotensina 2 plasmatica, che è uno dei fattori che più promuovono l’invecchiamento. Lo studio Calerie sugli effetti a lungo termine della restrizione calorica evidenzia anche una riduzione significativa degli isoprostani F2 urinari (il gold standard per misurare lo stress ossidativo)”.
Come mantenere giovane il cuore
Secondo Fontana, si può quindi affermare che “le persone che fanno restrizione calorica e attività fisica hanno un profilo cardiometabolico di un ragazzino di 15 anni. E questo è importante, perché le patologie cardiovascolari sono la prima causa di morte nei Paesi occidentali, compresa l’Italia”.
Più in particolare, “le persone sottoposte a restrizione calorica hanno un cuore più ‘giovane’, meno fibrotico e con un minor deterioramento della variabilità della frequenza cardiaca. Se mangiamo troppo e non facciamo attività fisica, accumuliamo grasso, che causa insulinoresistenza, infiammazione, stress ossidativo, infiammazione. L’insulinoresistenza nelle prime fasi comporta una iperinsulinemia compensatoria che, a sua volta, induce una serie di alterazioni ormonali che promuovono la proliferazione cellulare, inibiscono l’apoptosi, aumentano l’instabilità genomica e il rischio di accumulo di mutazioni, insomma, il rischio di cancro e di senescenza cellulare”.
La prevenzione deve essere precoce
La prevenzione deve essere dunque precoce, raccomanda il professore: ”Già 15 anni prima della comparsa del diabete, le persone presentano insulino-resistenza; in seguito si assiste a aumento progressivo dell’insulino-resistenza e dei livelli di insulina circolante, che aumenta il danno molecolare”. Per questo “è fondamentale non aspettare che una persona arrivi da noi con 115 mg/dl, perché significa che ha avuto iperinsulinemia per 10-15 anni, condizione che promuove invecchiamento, cancro, eccetera”.
Attenzione alle diete iperproteiche: meglio di no
A questo punto, ci si pone la domanda su come mangiare nel modo giusto (cioè sano, poco, ma senza cadere nella malnutrizione) per frenare l’invecchiamento e stare bene con il diabete, tenendo lontane tutte le complicazioni patologiche.
Innanzitutto, afferma Fontana, “no alle diete iperproteiche e agli ‘aminoacidi da palestra’. Quando ho cominciato a studiare la restrizione calorica 20 anni fa, il dogma era che solo le calorie erano importanti e che la composizione della dieta era irrilevante. Ma negli ultimi anni abbiamo scoperto che non è vero. Quello che mangiamo va a modificare il microbioma intestinale, che a sua volta modifica il sistema immunitario”.
Esistono studi che dimostrano l’inopportunità di utilizzo di diete iperproteiche e di aminoacidi da palestra. Fontana ne cita in proposito uno (Smith, 2016 Cell Reports), che ha valutato “due gruppi di donne obese messe a dieta per perdere il 10% del peso corporeo: un gruppo con dieta iperproteica, l’altro con dieta normoproteica (0,8 gr/Kg peso corporeo). Tutti e due i gruppi hanno perso lo stesso peso, stesso grasso viscerale ed epatico, ma il gruppo a dieta normoproteica ha presentato un miglioramento dell’insulino-sensibilità, a differenza del gruppo a dieta iperproteica. Sono cioè ancora insulino-resistenti. L’idea che mangiare tante proteine promuove salute è dunque sbagliata! Al contrario, una dieta iperproteica promuove insulinoresistenza, indipendentemente dalla perdita di peso e di grasso viscerale e promuove invecchiamento e cancro.
“Più fibre vegetali e meno proteine nella dieta”
“Anche i batteri intestinali vogliono la loro parte”, avverte il professor Fontana- Tra tutti i nutrienti, proteine e fibre sono quelli che hanno l’impatto maggiore nel modificare tipologia e attività dei batteri che vivono nel nostro intestino. Una dieta ricca di carnitina, L-carnitina e colina, attraverso il metabolismo intestinale, induce la produzione di Tmao, un metabolita che ha effetti proaterogeni, non solo nell’animale, ma anche nell’uomo. Una dieta ricca di fibre vegetali, processata dal microbioma intestinale, induce la produzione di short chain fatty acids, che, legandosi a recettori specifici sull’intestino e sulle cellule immunitarie Malt intestinali, attivano una cascata anti-infiammatoria e la produzione di cellule T-regolatorie, importantissime per la prevenzione delle malattie auto-immunitarie e allergiche. Sembra dunque che una dieta povera di fibre sia in parte responsabile dell’aumento delle malattie autoimmunitarie e allergiche che stiamo osservando. Insomma, il consiglio è: più fibre vegetali e meno proteine nella dieta”.
Anche la dieta deve essere personalizzata, su misura per il singolo paziente
In conclusione, lo studioso ricorda uno dei cardini della diabetologia e più in generale della medicina moderna: una volta individuati i principi base, personalizzare la cura a misura del singolo paziente.
“Dieta e attività fisica hanno effetti sinergici nel modulare diverse vie di segnale -spiega- Resta da capire come i nostri geni interagiscano con i fattori nutrizionali e l’attività fisica nel modulare in maniera specifica le diverse vie di segnale, così che in futuro si possa prescrivere un intervento personalizzato (non esiste una dieta che va bene per tutti). Un bravo personal trainer non può prescrivere lo stesso regime e programma di attività fisica a tutti gli atleti. Ogni atleta, in base alle sue caratteristiche genetiche e fisiche di allenamento, deve svolgere un diverso tipo di allenamento. E anche nel caso dei pazienti, stiamo scoprendo che il tipo di prescrizione, di modificazioni dietetiche e di attività fisica devono essere disegnate, scolpite, intorno a quello che è il substrato metabolico-molecolare di quella persona in quel momento”.