Se avete il diabete le alici (o acciughe) sono un ottimo alimento da inserire nella vostra alimentazione perché hanno un effetto protettivo nei riguardi delle arterie e aiutano quindi a prevenire le complicanze cardiovascolari, che sono tra le più temibili e frequenti nei soggetti con diabete non ben compensato. Quindi, per una persona con diabete le alici sono certamente da preferire alla carne, ma il consiglio ha validità generale per tutta la popolazione.

Uno studio condotto da un team di ricercatori ed esperti (Antonio Ruvolo e  altri), presentato al recente congresso della Sid a Rimini, ha rafforzato gli elementi a favore delle alici e del pesce azzurro in generale come componenti essenziali di una alimentazione sana, in particolare per chi è affetto da sindrome metabolica, condizione nella quale rientra anche il diabete. La International diabetes federation (Idf) indica infatti come criteri per diagnosticare la sindrome metabolica una glicemia superiore a 100 mg/dl o “diabete noto”, oltre a girovita uguale o superiore a 94 centimetri nell’uomo e a 88 nella donna, una pressione arteriosa sistolica uguale o maggiore di 130 e una distolica pari o superiore a 85 o necessità di trattamento antipertensivo, una ipertrigliceridemia (pari o sopra i 150 mg/dl), un basso colesterolo Hdl (sotto i 40 mg/dl negli uomini maschi e sotto i 50 nelle donne) o terapia ipolipidemizzante in corso.

Si conferma la raccomandazione di ridurre il consumo di acidi grassi saturi (e quindi di carne e formaggi grassi) e aumentare quello di grassi polinsaturi Omega-3, come quelli del pesce: a tutto vantaggio di cuore e arterie.

Le linee guida per la prevenzione cardiovascolare raccomandano da tempo alla popolazione in generale di diminuire il consumo di acidi grassi saturi (che troviamo nelle carni e nei formaggi grassi) e di aumentare quello di grassi polinsaturi omega-3 (molto abbondanti infatti nel pesce). Dei benefici effetti nell’alimentazione delle persone con diabete, sia di tipo 1 sia di tipo 2, abbiamo già parlato anche qui. Il nuovo studio ha confermato il valore della raccomandazione attraverso l’osservazione degli effetti di un pasto a base di Omega-3 (in particolare con alici) sulla biodisponibilità di ossido nitrico (potente vasodilatatore) e sulla funzione endoteliale (cioè delle cellule che rivestono la superficie interna delle arterie) in un gruppo di 17 pazienti con sindrome metabolica, ad alto rischio cardiovascolare. La valutazione ha permesso di fare un confronto diretto tra pesce e carne bovina. Infatti, ai pazienti sono stati somministrati due diversi pasti con uguale contenuto di calorie in due differenti giornate. Il pasto era costituito da: pasta al pomodoro, un secondo, insalata di pomodoro, pane, una mela e olio extravergine d’oliva, 1050 Kcal). La differenza stava nel secondo piatto: in un pasto era costituito da 60 grammi di bresaola, mentre nell’altro da 140 grammi di alici fresche. I pazienti sono stati sottoposti a prelievi per la valutazione di glicemia, insulinemia e trigliceridi prima e 30, 60, 120 e 240 minuti dopo il pasto, mentre la reattività vascolare veniva valutata, prima e 240 minuti dopo il pasto.

L’analisi ha dimostrato che la reattività vascolare mostrava un peggioramento dopo il pasto con bresaola, mentre dopo il pasto con alici, la reattività endoteliale non mostrava alcuna variazione. Non sono state osservate invece differenze significative dei livelli plasmatici di glicemia, insulinemia e trigliceridemia dopo i due pasti. Secondo gli autori, quindi, l’assunzione di un pasto a base di alici, alimento ricco di Omega-3, non si associa al peggioramento della funzione endoteliale, che invece si verifica dopo un pasto con bresaola. Questo studio suggerisce quindi che l’alimentazione a base di pesce possa contribuire a un ridotto sviluppo di aterosclerosi, attraverso una maggiore produzione di ossido nitrico e una migliore funzione endoteliale nel periodo immediatamente successivo a un pasto.

Ne consegue che in generale e a maggior ragione in caso di diabete le alici (e pesce affine, definito comunemente “azzurro” come sgombri, sardine, salmone, dentice) sono da considerare un cibo sano, da consumare regolarmente. Purtroppo ciò non sempre accade. In realtà, il pesce è un alimento portante della dieta mediterranea, ma di fatto non è consumato nelle quantità raccomandate neppure in un Paese pienamente mediterraneo come l’Italia. Eppure, come ha ricordato, in occasione della edizione 2016 della manifestazione NutriMi, la professoressa Licia Iacoviello del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione, dell’Istituto Neurologico Mediterraneo Neuromed (Irccs), uno studio epidemiologico di coorte su 25.000 italiani “ha dimostrato i benefici sulla salute, cardiovascolare in particolare, derivanti dal consumo di almeno 2 porzioni di pesce a settimana. E le qualità del pesce fresco sono riscontrabili anche nel pesce in conserva, soprattutto grazie al contenuto di Omega-3. Praticamente, grazie alla sinergia tra i diversi nutrienti, la conserva è meglio di un integratore”.