L’olio d’oliva contribuisce a migliorare il controllo del diabete di tipo 1 e a prevenire le complicanze cardiovascolari. Lo attesta una ricerca svolta da un gruppo di lavoro della Società italiana di diabetologia pubblicata sulla rivista specializzata americana Diabetes Care, organo ufficiale della American diabetes association. Lo studio (condotto da Giovanni Annuzzi e Lutgarda Bozzetto, del gruppo del professor Gabriele Riccardi, già presidente della Sid, e della professoressa Angela Rivellese dell’Università di Napoli Federico II) dimostra che condire o cucinare i cibi con olio d’oliva extravergine aiuta a contrastare le impennate della glicemia dopo i pasti nelle persone con diabete di tipo 1, sbalzi che danneggiano la parete delle arterie e alla lunga possono produrre irrigidimento dei vasi sanguigni e conseguente inadeguato afflusso di sangue ai tessuti. Questa azione protettiva dell’olio d’oliva, alimento fondamentale della dieta mediterranea, contribuisce così ad allontanare il rischio di complicanze cardiovascolari.

Le impennate della glicemia dopo il pasto sono dannose per le pareti arteriose; l’impiego in cucina e nei condimenti di olio d’oliva extravergine aiuta a contenere questi sbalzi pericolosi.

È noto che dopo i pasti la glicemia sale, ma può avere bruschi scarti verso l’alto se si mangiano alimenti a elevato indice glicemico. L’indice glicemico esprime la percentuale di aumento della glicemia dopo l’assunzione di alimenti, contenenti 50 g di carboidrati, rispetto a quello indotto da 50 grammi di glucosio puro, convenzionalmente fissato a valore 100; quindi, più un alimento ha un indice glicemico che si avvicina a 100 più fa salire la glicemia. Per fare qualche esempio: patate al forno (85), pizza al formaggio (80), wafer (77), pane (70) hanno indice alto, superiore a 70; polenta (69), melone (65), gelato (60), spaghetti (58) hanno indice medio, compreso tra 55 e 69; arance (48), fagioli in scatola (40), yogurt scremato (35), noci (22) hanno indice basso, al di sotto di 55. In generale, si consiglia una alimentazione a basso indice glicemico sia per migliorare la gestione e il compenso del diabete di tipo 1 e di tipo 2 sia per prevenire il diabete di tipo 2.

La Sid ricorda come le linee guida per il trattamento del diabete di tipo 1 raccomandano di calcolare le unità di insulina da somministrare ai pasti principali, basandosi sul contenuto di carboidrati degli alimenti che saranno consumati (la “conta dei carboidrati”). Il punto è però che non sempre i pazienti riescono, pur tenendo conto di questo fondamentale criterio, a tenere bene sotto controllo la glicemia. È necessario quindi considerare anche l’indice glicemico degli alimenti consumati e valutare in che misura l’assorbimento dei carboidrati è influenzato da altre componenti fondamentali del pasto, come proteine e grassi (tra cui appunto vi è l’olio di oliva). La Sid spiega che “in generale i grassi tendono a ritardare i tempi di svuotamento gastrico e questo dovrebbe almeno in teoria tradursi in un’attenuazione del picco di glicemia postprandiale. È stato dimostrato anche che l’indice glicemico di alcuni alimenti può essere ridotto addizionandoli con dei grassi. Ma i grassi non sono tutti uguali e le loro interferenze con la glicemia post-prandiale possono variare molto, a seconda della loro qualità (oltre che della quantità)”.

Lo studio ha perciò analizzato l’influenza di diversi tipi di grassi sulle escursioni glicemiche dopo un pasto, seguendo 13 pazienti con diabete di tipo 1 (otto donne e cinque uomini), tutti in trattamento con pompa da insulina e sottoposti a monitoraggio continuo della glicemia con un sensore portatile. I soggetti hanno assunto pasti con la stessa quantità di carboidrati ma costituiti: da pasta e lenticchie, pane integrale e mela (basso indice glicemico) oppure riso, pane bianco e banana (alto indice glicemico). Entrambi i tipi di pasto sono stati somministrati ai pazienti con tre varianti riguardo al contenuto di grassi: 1) basso contenuto di grassi; pasto ricco di grassi saturi (burro); pasto ricco di grassi monoinsaturi (olio extravergine d’oliva). I pasti ad alto indice glicemico hanno determinato un aumento della glicemia maggiore e più rapido rispetto a quelli a basso indice glicemico e questo non sorprende. La novità dello studio è invece che, nell’ambito dei pasti ad alto indice glicemico, l’aggiunta di olio extravergine d’oliva attenuava il picco di glicemia postprandiale osservato sia con il pasto con burro sia con quello a basso contenuto di grassi. Questo risultato suggerisce quindi che nel calcolare le unità di insulina da assumere in occasione di un pasto non basta conteggiare il contenuto dei carboidrati e la loro qualità, ma bisogna tener conto anche della quantità e della qualità dei grassi utilizzati come condimento o per cucinare, specialmente quando il pasto è ad alto indice glicemico.

Lo studio Sid ha esaminato gli effetti benefici dell’olio d’oliva su persone con diabete di tipo 1, ma i risultati sono verosimilmente validi anche per chi ha un diabete di tipo 2.

I pregi dell’olio d’oliva, nel quadro di una corretta alimentaziome, sono così descritti da Angela Rivellese: “L’olio extravergine d’oliva rappresenta uno degli alimenti cardine della dieta mediterranea, modello di alimentazione sana in grado di ridurre il rischio di malattie cardiovascolari e di molte altre patologie croniche. Gli effetti benefici dell’olio extravergine di oliva sui fattori di rischio cardiovascolare e, in particolare, sui livelli di colesterolo, sulla pressione arteriosa, sull’accumulo di grassi nel fegato, sulla utilizzazione del glucosio a livello muscolare, dipendono principalmente dal tipo di grassi in esso contenuti, in gran parte insaturi, a differenza di quelli contenuti nel burro, nella panna, nei formaggi e nelle carni grasse, che sono prevalentemente saturi. Tuttavia, l’olio extravergine di oliva contiene anche altri composti bioattivi, quali i polifenoli, che sono sostanze con elevato potere antiossidante che aiutano a prevenire l’arteriosclerosi e contribuiscono ai molteplici effetti salutari dell’olio extravergine di oliva, incluso il buon controllo della glicemia dopo i pasti”.

Secondo Gabriele Riccardi, i risultati dello studio inducono a pensare che l’olio d’oliva sia consigliabile anche a chi non sia diabetico insulinodipendente. Dice infatti il diabetologo: “È verosimile che analoghi benefici possano ottenersi anche in coloro che sono in trattamento con altri farmaci o addirittura con sola dieta, dal momento che la presenza di picchi elevati di glicemia dopo i pasti rappresenta una caratteristica generale della malattia diabetica, non facilmente controllabile con la terapia. Pertanto, uno o due cucchiai di olio extravergine di oliva ai pasti -senza esagerare in quanto anch’esso, come tutti i grassi, è altamente energetico- possono aiutare a moderare la glicemia senza dover limitare eccessivamente gli alimenti che contengono carboidrati, anche quelli come pane, riso, polenta e patate che hanno un indice glicemico più elevato”.