Contro l’inerzia terapeutica nel diabete di tipo 2 si alleano i diabetologi italiani e statunitensi di Amd e Ada, convinti che questo problema sia uno dei maggiori ostacoli alla buona gestione del diabete.

L’inerzia terapeutica è quel fenomeno per cui, anche se la terapia in corso non sta dando i risultati attesi sul controllo glicemico del paziente, non viene cambiata o corretta tempestivamente.

Per inerzia terapeutica si intende quella situazione in cui la terapia in corso non sta dando i risultati attesi sul compenso glicemico del paziente, ma, ciononostante, non la si cambia o non la si corregge tempestivamente. Con la conseguenza che la persona con diabete di tipo 2 non usufruisce per tempo delle cure migliori per la sua specifica condizione e si espone al rischio di sviluppare complicanze.

Il fenomeno è evidentemente molto diffuso se l’italiana Associazione medici diabetologi e la statunitense American diabetes association decidono di lavorare insieme per combatterlo (l’intesa è stata ufficialmente presentata a fine 2019 al 22° Congresso di Amd tenutosi a Padova).

Ma perché accade questo? Sono diverse le ragioni e le cause dell’inerzia terapeutica nel diabete tipo 2: si va dall’atteggiamento troppo passivo di alcuni medici alla resistenza opposta da alcuni pazienti alle insufficienze strutturali e organizzative di alcuni centri diabetologici.

Di Bartolo (Amd) indica alcuni esempi di cause di inerzia terapeutica: resistenza dei pazienti a iniziare o intensificare una terapia, difficoltà da parte dei clinici di applicare le più recenti linee guida, carenza di personale nei team diabetologici, tempi e spazi non ottimali per la gestione delle visite, tetti di spesa ai farmaci.

Sintetizza così il presidente di Amd Paolo Di Bartolo: “La resistenza dei pazienti a iniziare o intensificare una terapia, la difficoltà da parte dei clinici di applicare nel real world le più recenti linee guida, la carenza di personale nei team diabetologici, tempi e spazi non ottimali per la gestione delle visite, e ancora decisori che pongono tetti di spesa ai farmaci: sono solo alcuni esempi di cause dell’inerzia terapeutica”.

La questione è talmente seria da interessare quasi il 50% delle persone con diabete di tipo 2. Precisa Di Bartolo: “È un problema sistemico in cui resta ‘intrappolata’ circa la metà dei pazienti con diabete tipo 2. Gli Annali Amd, che da più di dieci anni misurano la qualità dell’assistenza, hanno generato un tale patrimonio di dati riguardanti anche l’inerzia terapeutica, da attrarre l’interesse dell’American Diabetes Association, che su questo fronte ha deciso di accettare la collaborazione con la diabetologia italiana”.

Robert H. Eckel (Ada): “L’incapacità di stabilire obiettivi terapeutici per i pazienti con diabete di tipo 2 e di intensificare il trattamento per raggiungere tali obiettivi è causa di complicanze sostanziali, ma prevenibili, del diabete e di un eccesso di costi”.

Aggiunge quindi l’endocrinologo e diabetologo americano Robert H. Eckel, presidente della sezione Medicine & Science di Ada: “L’incapacità di stabilire obiettivi terapeutici per i pazienti con diabete di tipo 2 e di intensificare il trattamento per raggiungere tali obiettivi è causa di complicanze sostanziali, ma prevenibili, del diabete e di un eccesso di costi. A originare quest’inerzia sono fattori molteplici che includono i pazienti, noi medici, ma anche decisori e sistemi sanitari. Il problema è tale da rendere necessario uno sforzo globale”.

In che cosa consisterà questo sforzo comune lo descrive Antonio Nicolucci, direttore di Coresearch (Center for Outcomes Research and Clinical Epidemiology), un centro di studi e ricerca nel campo dell’epidemiologia clinica delle malattie croniche e nell’applicazione di tecniche statistiche avanzate alla ricerca biomedica: “I prossimi step della partnership con Ada prevedono: l’individuazione di nuovi indicatori comuni per la misurazione dell’inerzia e l’adozione degli stessi all’interno degli Annali Amd, l’organizzazione di specifici programmi formativi presso alcuni servizi di diabetologia e la valutazione a posteriori degli effetti che hanno sortito sulla riduzione del problema, l’inserimento nelle cartelle cliniche informatizzate di alert che segnalino subito i pazienti bisognosi di un riadattamento della terapia”.

Ma che cosa vuol dire “riadattare o cambiare la terapia”? Innanzitutto, scegliere quella più appropriata per il singolo paziente in quella particolare fase della sua condizione, perché, secondo l’orientamento prevalente nella diabetologia moderna, la cura migliore è quella personalizzata. Nicolucci infatti sottolinea: “Tale cambiamento non significa sempre e solo intensificazione della terapia: a seconda del paziente, può anche voler dire de-intensificazione, come nei soggetti anziani o fragili, in cui potrebbe essere necessario porsi nuovi obiettivi glicemici meno ambiziosi”.

Di inerzia terapeutica nel trattamento del diabete abbiamo parlato anche qui e qui,