Un importante esempio di convivenza tra musica e diabete: Neil Young, uno dei massimi cantautori di sempre, membro dello storico quartetto Crosby Stills Nash & Young, autore di alcuni capolavori del filone country-folk, ma anche del rock più acido ed elettrico.
Neil Young è diabetico insulinodipendente: tuttora molto attivo, convive con il diabete di tipo 1 fin da bambino, da quando, a sei anni, fu ricoverato d’urgenza in ospedale.
E siccome a volte la malasorte pare volersi proprio accanire su certe persone, la sua salute è stata resa ancora più barcollante da un attacco di poliomielite e da disturbi di natura epilettica. Per un soggetto così fragile, la carriera da rockstar non pareva certo la più indicata: sua madre invece lo incoraggiò a seguire quella strada, convinta del potere rigeneratore della musica e che musica e diabete non fossero affatto inconciliabili.
È stata una fortuna per il popolo del rock: le ballate acustiche o elettriche, tenere, amare, struggenti, spesso anche grintose e arrabbiate e politicamente consapevoli, di questo solitario poeta-cantante canadese, trapiantato in California, sono fra le più nobili creazioni della musica degli ultimi sessant’anni.
Ma per un medico un rocker non è proprio il paziente ideale, specie se ha l’indole scontrosa e capricciosa di Neil Young. Per esempio, soltanto recentemente ha dichiarato di essere riuscito a tenersi lontano dall’alcol, il cui consumo eccessivo è sconsigliato a chiunque, figuriamoci a una persona affetta da diabete. D’altra parte, Young ha invece capito presto i pericoli della droga, contro la quale si è scagliato in alcune memorabili canzoni, come “The needle and the damage done” (sull’album capolavoro “Harvest”), “L’ago e il male che ha fatto”, e non si riferiva, naturalmente, all’insulina (musica e diabete sì, per forza, nella vita quotidiana, ma non necessariamente come argomento dei testi delle canzoni).
Proprio l’abuso di droghe si portò via due cari amici di Young, Danny Whitten e Bruce Berry, due tragedie che incisero molto sullo stato d’animo del nostro, che in quel periodo divenne sempre più cupo e pessimista. Addirittura, a un certo punto, negli anni Settanta alcuni giornali lo dettero per morto: pareva sparito dalla circolazione, non suonava più e tutti sapevano che la sua salute era fragile. Ma era un falso allarme: fortunatamente Neil recuperava le sue energie e tornava in scena.
Oggi, a settant’anni, a dispetto del diabete, Young è ancora in sella, vivo, vegeto e assai prolifico in sala di incisione, con una bella serie di album di alta qualità al suo attivo. Benché si trovino ottime cose anche negli anni Novanta e persino negli ultimi cd di fresca uscita, una preferenza va forse data ai dischi di fine anni Sessanta e primi anni Settanta, da solista o insieme con i tre amici Crosby, Stills e Nash (memorabile la loro esibizione allo storico festival di Woodstock del 1969): musica invecchiata benissimo, proprio come Neil.