Non sempre il diabete infantile (diabete di tipo 1) è subito riconosciuto: né dai genitori, né, talvolta, dai medici. L’intervento tardivo o non corretto può essere fatale. Decessi in Italia purtroppo capitano ancora: recentemente ne sono avvenuti uno a Milano e uno a Genova. “Negli ultimi anni -commenta Mohamad Maghnie, presidente della Società italiana di endocrinologia e diabetologia pediatrica (Siedp)- sono morti in Italia diversi bambini per complicanze del diabete infantile che possono provocare lesioni cerebrali fatali, come l’edema, la conseguenza più grave della chetoacidosi”.
Per questo la Siedp ha elaborato le Linee guida nazionali sugli interventi da praticare in caso di diabete infantile in situazione di emergenza, per fornire a tutti gli operatori sanitari (pediatri, medici del pronto soccorso), le indicazioni per assistere nel modo migliore il bambino con sintomi acuti di diabete: interventi che, se praticati correttamente, scongiurano le complicanze e salvano la vita.
La piccola Giulia, due anni, salvata all’Ospedale Sacco di Milano, con una soluzione fisiologica di acqua e sale.
Un esempio felice di questo si è avuto proprio qualche settimana fa all’Ospedale Sacco di Milano, dove la piccola Giulia, meno di due anni, è stata salvata da una soluzione fisiologica di acqua e sali, prontamente somministrata, come ha raccontato Andrea Scaramuzza, responsabile del Servizio di diabetologia, malattie del metabolismo e nutrizione della clinica pediatrica dell’Università degli studi di Milano dell’Ospedale Luigi Sacco.
Spiega il dabetologo: “L’unica manovra terapeutica da adottare subito è somministrare una dose adeguata di soluzione fisiologica (acqua e sali), rapportata al peso del bambino, e così abbiamo fatto. Abbiamo continuato la reidratazione per 2 ore prima di iniziare la somministrazione di insulina. In questo modo l’organismo ha avuto il tempo per riprendersi gradualmente, senza correre il rischio di danni ancora peggiori quali l’edema cerebrale, favorito da un precoce inizio della terapia insulinica e da una eccessiva dose di liquidi somministrati nelle prime ore. Dopo 36 ore dal suo arrivo al Pronto soccorso dell’Ospedale Sacco, avendo seguito con rigore il protocollo terapeutico e le Linee guida recentemente pubblicate da Siedp, Giulia torna a essere quella bimba sorridente che è sempre stata, nonostante la diagnosi di diabete. Il peggio, per fortuna, è passato. Il pediatra, il personale scolastico, gli educatori, la famiglia devono pensarci: se un bambino beve troppo rispetto alle sue abitudini e se fa tanta pipì, se riprende a fare pipì di notte, se dimagrisce senza motivo potrebbe avere il diabete e vanno fatti gli esami opportuni. Una volta fatta la diagnosi, se si è di fronte a una chetoacidosi (bimbo sonnolento, respiro rumoroso, alito che sa di frutta marcia) vanno seguite le raccomandazioni delle società scientifiche. Approcci terapeutici differenti possono mettere il bambino a rischio di danni permanenti, ma anche di vita”.
Il rischio di un intervento tardivo è la chetoacidosi, grave complicanza del diabete, che può causare pesanti lesioni cerebrali.
Il problema è serio, perché circa il 37-38% dei piccoli diabetici arriva in ospedale in condizioni di chetoacidosi, uno stadio avanzato del diabete, che richiede un intervento tempestivo e accurato. La chetoacidosi è una sorta di stato di intossicazione dell’organismo causato da produzione di corpi chetonici acidi in reazione alla carenza di insulina caratteristica del diabete ed è associato a una marcata iperglicemia.
Quando è grave, si riconosce da vari sintomi: stato di sonnolenza, aumento della frequenza cardiaca, pelle flaccida, occhi affossati, secchezza orale. Il primo rischio è quello di gravi lesioni cerebrali (edema).
Spiega la dottoressa Ivana Rabbone, responsabile del Gruppo di studio sul diabete della Siedp, medico pediatra diabetologa di Torino: “Sono stati rilevati dei parametri per evidenziare le situazioni a maggior rischio di sviluppare edema cerebrale: la giovane età, chetoacidosi all’esordio di diabete di tipo 1, lunga durata dei sintomi, chetoacidosi severa, uso di bicarbonato. I sintomi per riconoscere l’edema cerebrale sono: cefalea, riduzione del battito cardiaco, aumento della pressione arteriosa, desaturazione e segni neurologici specifici. La prevenzione della chetoacidosi è un fattore chiave per evitare gravi complicanze neurologiche o il decesso”.
Bisogna intervenire nelle prime due ore: le Linee guida Siedp spiegano come farlo al meglio per assicurare la salvezza e la salute del bambino con diabete.
Continua Rabbone: “Sono fondamentali le prime 2 ore: si inizia con la somministrazione di soluzione fisiologia (acqua e sali) che permette di far fronte alla disidratazione che colpisce il bambino e porta a una riduzione della glicemia. Dopo le prime due ore di reidratazione è necessario iniziare la terapia insulinica per via endovenosa ma non prima di 1.5-2 ore dall’inizio dell’idratazione stessa. La velocità e il volume dell’infusione dipendono dallo stato circolatorio: solo in caso di shock sono permessi volumi maggiori, ma sempre per brevi periodi perché la somministrazione troppo prolungata di liquidi è un possibile fattore di rischio per l’edema cerebrale. Viene sconsigliato, nel corso della terapia, l’impiego di bicarbonato, in quanto è stato riscontrato l’insorgere di gravi complicanze, come appunto lesioni cerebrali, dopo il suo utilizzo. Abbiamo elaborato le Linee guida proprio per far capire a tutte le pediatrie e a tutti i pronto soccorsi come fare bene, senza fare né troppo né troppo poco, di fronte a questa emergenza”.
Una campagna nazionale di informazione per favorire la diagnosi precoce e per prevenire la chetoacidosi partirà a gennaio 2016 con la distribuzione di materiale nelle scuole e negli studi pediatrici.
Per promuovere la diagnosi precoce del diabete infantile e prevenire lo sviluppo della chetoacidosi, la Siedp (con il contributo non condizionato di Bayer HealthCare) ha lanciato una Campagna di informazione che raggiunga la popolazione interessata con materiale distribuito nelle scuole di tutta Italia e presso gli studi di 10.000 pediatri. In programma anche la trasmissione periodica di una newsletter informativa. Lo scopo è far sì che anche genitori e insegnanti, oltre ai medici, imparino a riconoscere i primi sintomi del diabete del bambino e permettano di intervenire subito con le terapie necessarie.