La rete diabetologica italiana è un fiore all’occhiello della nostra sanità e una risorsa fondamentale per garantire efficacemente prevenzione e cura del diabete nel nostro Paese: lo ha ribadito al recente congresso di Lisbona della Easd (European association for the study of diabetes) il presidente della Società italiana di diabetologia Giorgio Sesti, per ricordare che questo patrimonio di conoscenze e capacità deve essere difeso e non ridimensionato.
La Sid e la Amd, le principali società diabetologiche italiane, hanno da tempo espresso preoccupazione per i possibili tagli alla rete dei centri diabetologici italiani, spiegando che questa struttura capillare di cura e assistenza non soltanto è preziosa per la salute delle persone, ma è anche strumento di risparmio per le casse pubbliche (potete leggere anche qui). Sesti è ritornato sull’argomento perché i rischi di una politica sanitaria basata principalmente sulle forbici sono ancora in campo.
Proprio in questi giorni la Fondazione Gimbe (costituita dall’associazione Gruppo italiano per la medicina basata sulle evidenze) ha segnalato con preoccupazione che la Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza approvato dal Consiglio dei ministri prefigura per i prossimi anni una progressiva riduzione della spesa sanitaria in rapporto al Prodotto interno lordo: dal 6,6% del 2017 al 6,4% nel 2019 al 6,3% nel 2020, mentre, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, questa percentuale non dovrebbe scendere sotto il 6,5% se non si vuole rischiare di compromettere il livello di assistenza e cura. Secondo Gimbe, quindi, l’attuale gestione della sanità italiana è segnata negativamente dal fatto che, mentre è documentata una ripresa economica, sia pur contenuta, che fa crescere il Pil, il finanziamento pubblico del Ssn non aumenta in proporzione.
In un contesto come questo i diabetologi hanno motivo di ritenere che la diabetologia possa essere uno dei settori penalizzati e più di una volta hanno spiegato perché questo sarebbe un grave errore.
Secondo la Sid, grazie all’assistenza della rete diabetologica nazionale, i pazienti italiani hanno un valore medio di emoglobina glicosilata più basso dei diabetici degli altri Paesi occidentali e inferiori tassi di complicanze croniche.
Il presidente della Sid ricorda infatti che, grazie alla sua rete diabetologica, “l’Italia è il Paese occidentale con il più basso livello medio di emoglobina glicata e i più bassi tassi di complicanze croniche e di eccesso di mortalità nelle persone con diabete” e che “coloro che sono assistiti nei centri diabetologici hanno una minore mortalità totale e cardiovascolare rispetto a chi non li frequenta”.
Sesti richiama inoltre l’importante “Piano nazionale della malattia diabetica’ (di cui abbiamo parlato qui), elaborato in base a un accordo del 2012 tra Governo, Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano su proposta del ministro della Salute: “Il Piano -osserva Sesti- ha consolidato il modello italiano di cura e identificato diverse aree d’intervento per rendere omogenei gli interventi di prevenzione, diagnosi, monitoraggio e cura delle persone con diabete che vivono in Italia. Un modello che consta, oltre che dei medici di famiglia, di una rete capillare di centri specialistici diffusi su tutto il territorio nazionale, basati su competenze multiprofessionali (diabetologo, infermiere, dietista, talora psicologo e/o podologo, e, secondo necessità, cardiologo, nefrologo, neurologo, oculista) e che forniscono con regolarità consulenze per circa il 50% delle persone con diabete, prevalentemente, ma non esclusivamente, quelle con patologia più complessa e/o complicata”.
Il Piano “prevede una presa in carico di tutte le persone con diabete da parte dei centri diabetologici, con l’applicazione di una incisiva gestione integrata con i medici di famiglia. Una presa in carico che è previsto avvenga già nella fase iniziale della malattia. È stato infatti recepito il concetto che il team diabetologico non dovrebbe intervenire per la prima volta quando si è sviluppato un grave scompenso metabolico o quando si sono sviluppate complicanze”.
Sesti: “I team diabetologici italiani costano circa l’1% del totale della spesa sostenuta per curare le persone con diabete e possono contribuire a ridurre in misura assai significativa l’altro 99%”.
Se le preoccupazioni di chi governa la sanità italiana sono di natura economica, Sesti spiega in proposito che “i team diabetologici italiani costano circa l’1% del totale della spesa sostenuta per curare le persone con diabete e possono contribuire a ridurre in misura assai significativa l’altro 99% della spesa attraverso la prevenzione delle complicanze croniche, accorciando la durata delle degenze con una presa in carico al momento dell’accoglimento nei reparti chirurgici, ottimizzando l’uso dei farmaci e dei dispositivi per il monitoraggio e la cura, osservando una scrupolosa appropriatezza nelle prescrizioni di esami di laboratorio e strumentali, collaborando nelle scelte sulle strategie di cura operate a livello nazionale, regionale e locale”.