Secondo l’Associazione medici diabetologi, molte persone con diabete di tipo 2 non tengono la glicemia sotto controllo in maniera adeguata. Perché? Il problema è serio, dato che il buon compenso glicemico è la prima condizione necessaria per gestire bene il proprio diabete. Amd segnala anche che la mancata o insufficiente aderenza alla terapia porta non soltanto danni alla salute del paziente, ma anche alle casse del sistema sanitario nazionale, perché comporta alte spese per la cura di complicanze di un diabete gestito male. L’Associazione dei diabetologi cerca dunque di capire le cause di questa pericolosa situazione e le individua in comportamenti, abitudini e atteggiamenti sbagliati sia dei pazienti sia dei medici.
Meno della metà delle persone con diabete di tipo 2 ha valori di emoglobina glicata ottimali, sotto il 7%, come prescritto dalle linee guida.
Risulta infatti che tra le persone con diabete di tipo 2, meno della metà raggiunge i livelli di emoglobina glicata consigliati dalle linee guida per il trattamento del diabete, che indicano come soglia critica il 7%: per mantenere un buon compenso metabolico (e quindi tenere lontano il rischio di complicanze gravi) si deve restare su valori inferiori al 7% e per chi è all’inizio della patologia il livello sotto il quale mantenere la glicata dovrebbe abbassarsi al 6,5%. Ricordiamo che la emoglobina glicata (o glicosilata) è un esame del sangue che permette di misurare la media delle glicemie degli ultimi tre mesi (ne abbiamo parlato più diffusamente qui).
Responsabili delle glicemie mal controllate possono essere comportamenti sbagliati come la mancata aderenza da parte del paziente alla terapia prescritta o “l’inerzia terapeutica” di quei diabetologi che non riformulano la cura quando non risulti efficace.
Se non si rispettano questi parametri significa che la terapia non è seguita correttamente: può essere responsabilità del paziente, che non si abitua a osservare le prescrizioni del medico per quanto riguarda i farmaci e il sano stile di vita da seguire, ma può anche esserci una negligenza da parte del diabetologo, quella che Amd definisce “inerzia terapeutica”, un errore che “consiste nel mancato riadattamento della cura quando questa non risulti efficace”.
Paolo Di Berardino, componente del comitato scientifico della nuova “Scuola per educatori in diabetologia” della Amd, illustra il problema dal lato dei diabetologi: “L’inerzia terapeutica incide in modo importante nel mancato raggiungimento degli obiettivi di cura. Può avere diverse cause: il medico sopravvaluta il proprio operato, non si confronta con i colleghi, non segue una metodologia per l’autovalutazione, non lavora in un team multidisciplinare, che, grazie alla presenza di infermieri, psicologi e dietisti, potrebbe supportarlo in una gestione più globale del paziente e della terapia. Talvolta il clinico è riluttante al cambiamento per motivi organizzativi, come nel caso in cui si rende necessario il passaggio dagli antidiabetici orali alla terapia con insulina. Quest’ultima richiede tempo e impegno necessari all’educazione terapeutica e alla formazione del paziente e, sulla base di diversi ‘ragionamenti scusa’, il medico tende a rimandare la modifica del trattamento magari alla visita successiva. Così possono trascorrere anche dei mesi durante i quali il paziente non raggiunge gli obiettivi terapeutici”. Il superamento di queste difficoltà è uno degli scopi principali della “Scuola per educatori in diabetologia” di Amd.
Secondo il presidente di Amd Domenico Mannino, ”l’operatore sanitario oggi è sottoposto a forti pressioni: l’innovazione terapeutica sta rivoluzionando gli scenari dell’assistenza alle persone con diabete, ma la sostenibilità del sistema sanitario impone continue restrizioni; le istituzioni da una parte stimolano l’adozione di Pdta (piani diagnostico-terapeutici assistenziali – ndr) per garantire efficacia ed efficienza degli interventi, dall’altra procedono a tagli lineari delle risorse, riduzione del personale, accorpamento delle strutture. Per il diabetologo che lavora con i pazienti in circostanze simili, lo stress cronico può essere emotivamente logorante e causare difficoltà nell’erogazione quotidiana delle cure, attivando condizioni di malessere. Nell’ottica di generare un vero cambiamento, la Scuola Amd cercherà di supportare i diabetologi nel costruire una rinnovata motivazione e una capacità di comunicazione che porterebbe beneficio prima di tutto a loro stessi, al team per cui si lavora e alla relazione con i pazienti e le famiglie”.
Dal lato del paziente, Mannino riconosce le difficoltà soggettive che un diabetico deve affrontare trovandosi in una condizione che deve essere gestita tutti i giorni, tutto l’anno, tutta una vita: come ha ricordato in un recente incontro con la stampa a Milano, organizzato da Lilly, “la convivenza con una malattia cronica come il diabete e il percorso terapeutico che essa comporta, richiedono un profondo sforzo da parte del paziente che deve modificare diversi aspetti della sua routine quotidiana. Uno di questi è ovviamente l’alimentazione, cui deve prestare particolare attenzione. C’è poi il piano di cura vero e proprio, con i farmaci da assumere, a cui bisogna attenersi quanto più scrupolosamente possibile. Tutte queste indicazioni possono far apparire il trattamento della patologia diabetica molto complesso, generando ansia, dubbi e perplessità e provocando, talvolta, episodi di mancata adesione alla terapia. Oggi, per colmare davvero il gap esistente sul fronte della compliance, è quanto mai necessario incrementare l’empowerment del paziente, investendo tempo ed energia per informarlo in modo approfondito e renderlo consapevole dei benefici delle terapie. Solo così possiamo supportarlo nell’adesione al percorso di cura, ma soprattutto possiamo consentirgli di diventare sempre più autonomo nel gestire la malattia, seguendo le indicazioni del team diabetologico”.
“La definizione e la condivisione degli obiettivi terapeutici -dice ancora Mannino- rappresentano un momento decisivo della relazione medico-paziente. Una persona con diabete, informata della necessità di raggiungere un target particolare e delle modalità con cui raggiungerlo, sarà molto più disponibile ad adoperarsi per ottenere anche valori di emoglobina glicata inferiori al 7%”.
Tra le ragioni per cui troppo spesso la glicemia del paziente di tipo 2 non è adeguatamente sotto controllo, vi è anche un insufficiente utilizzo di farmaci anti-iperglicemici innovativi, efficaci e sicuri, causato da quella che Mannino chiama una “inerzia di sistema”, cioè una normativa che non permette ai medici di medicina generale (che assistono il 50% dei diabetici di tipo 2) di prescrivere quei medicinali. Del tema abbiamo parlato più ampiamente qui.