L’iperglicemia può fare danni anche prima di manifestarsi come diabete conclamato, cioè già in quella zona di confine rischiosa che prende il nome di prediabete, in cui i livelli di glucosio nel sangue a digiuno sono abitualmente elevati anche se non raggiungono la soglia della diagnosi di diabete (come nel caso, per esempio, di valori inferiori a 125 mg/dl, ma superiori a 100). Uno studio dell’Irccs MultiMedica ha scoperto un “marcatore molecolare” che permette di individuare il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 in soggetti prediabetici (che in Italia sono alcuni milioni) e di scoprire i primi danni da iperglicemia. Una scoperta che potrebbe favorire diagnosi precoci e terapie tempestive e quindi più efficaci.
Un nuovo studio ha individuato un marcatore molecolare in grado di predire il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2 e di individuare i primi danni da iperglicemia in soggetti prediabetici.
Lo studio dell’Irccs MultiMedica (pubblicato sulla rivista “Cardiovascular Diabetology”) si colloca nell’ambito del progetto di ricerca Diapason (Diabetes prediction and screening: observational study) e ha visto la collaborazione tra i medici di famiglia della Ats Milano Città Metropolitana, l’Università Statale di Milano, la Regione Lombardia e il Ministero della Salute, con il sostegno della Fondazione Romeo ed Enrica Invernizzi.
I ricercatori hanno identificato un marcatore, il miR-21, una piccola molecola di Rna, che, rilevando la progressione del danno da prediabete, determinato dall’iperglicemia, aiuta a predire più efficacemente il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2.
Lo studio (“Lower miR-21/ROS/HNE levels associate with lower glycemia after habit-intervention: Diapason study 1-year later”) ha osservato, nei pazienti seguiti nel tempo, che livelli più bassi di miR-21 si associano a una glicemia più bassa dopo interventi su comportamenti e stili di vita.
L’indagine ha preso in esame 531 pazienti a rischio di sviluppare un diabete tipo 2, tra i quali 207 soggetti con glicemia elevata (prediabete), a cui si è consigliato di seguire un regime alimentare basato sulla dieta mediterranea e su una modesta attività fisica. Dopo un anno, i ricercatori hanno registrato “una perdita di peso accompagnata da una riduzione del danno ossidativo, indotto dall’iperglicemia, e dei livelli di miR-21, dimostrando la relazione tra quest’ultimo e il rischio di progressione del prediabete verso il diabete”.
La Sala (MultiMedica): “Il dosaggio del miR-21, associato alla glicemia può diventare un nuovo importante indicatore di prediabete e del rischio di andare incontro a diabete conclamato”.
Lucia La Sala, ricercatrice dell’Irccs MultiMedica e prima firmataria dello studio, apporofondisce così l’esito del lavoro svolto: “Dopo un anno, nell’84% del campione che aveva seguito il nuovo regime alimentare, abbiamo rilevato non solo perdita di peso, diminuzione dell’indice di massa corporea e miglioramento dei parametri cardiometabolici, con riduzione della glicemia, come era facile prevedere, ma soprattutto una riduzione del miR-21, il che ci ha confermato la relazione tra questa molecola e i valori di glucosio nel sangue”.
“Il dosaggio del miR-21, associato alla glicemia -continua La Sala- può quindi diventare un nuovo importante indicatore di prediabete e del rischio di andare incontro a diabete conclamato. Ma c’è di più. All’aumentare della glicemia, si sviluppa anche stress ossidativo, causa di danno vascolare, alimentato dallo stesso miR-21 che inibisce la capacità antiossidante delle cellule. Dopo l’intervento sullo stile di vita, abbiamo osservato una significativa riduzione di questo danno, che, essendo nell’ambito di valori del prediabete, è ancora reversibile. Un simile risultato ci permette di affermare che il miR-21 è anche un marcatore molecolare affidabile delle reazioni dannose innescate dall’iperglicemia e della loro eventuale regressione”.
Luzi (MultiMedica): “L’informazione contenuta nel miR-21 è preziosa proprio perché ci dice su quali pazienti l’iperglicemia sta iniziando a produrre danni, ancora reversibili, e su quali è quindi prioritario intervenire”.
Aggiunge Livio Luzi, direttore del Dipartimento interpresidio di Endocrinologia, Nutrizione e Malattie Metaboliche di MultiMedica, ordinario di Endocrinologia presso l’Università Statale di Milano, tra gli autori dello studio: “Disporre di un ulteriore indicatore che, insieme a glicemia ed emoglobina glicata, ci aiuti a rintracciare il prediabete è di cruciale importanza, se pensiamo che oggi in Italia sono circa dieci milioni le persone interessate da questa condizione, su cui occorre agire prima possibile, per scongiurare che queste persone sviluppino diabete, patologia purtroppo dalle gravi complicanze cardiovascolari e su altri organi, che impattano pesantemente sul Ssn. L’informazione contenuta nel miR-21 è preziosa proprio perché ci dice su quali pazienti l’iperglicemia sta iniziando a produrre danni, ancora reversibili, e su quali è quindi prioritario intervenire”.
Conclude La Sala: “Grazie al finanziamento europeo dell’Efsd (European foundation for the study of diabetes) stiamo già attuando altre analisi per comprendere se il miR-21 e altre molecole, oltre ad associarsi a iperglicemia e ad avere un valore predittivo, giochino anche un ruolo causale nello sviluppo del diabete. Se così fosse, questa molecola potrebbe aprire le porte a nuove strategie terapeutiche, nei casi in cui la sola dieta non fosse sufficiente. A tal proposito, sarà necessario allargare l’orizzonte temporale dello studio, tornando a esaminare la nostra corte di pazienti con nuovi follow-up e proseguire le nostre ricerche sui meccanismi molecolari che governano il passaggio dalla condizione di prediabete a quella di diabete conclamato”.
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