Si chiama “memoria metabolica” quel fenomeno per cui il nostro corpo “ricorda” le iperglicemie subìte in passato, prolungandone gli effetti dannosi sull’organismo anche dopo che la glicemia è stata normalizzata e ricondotta sotto controllo. Non si tratta quindi di una “memoria amica” e costituisce una delle buone ragioni per cui i diabetologi raccomandano controlli regolari e frequenti che permettano di diagnosticare al più presto il diabete e di iniziare tempestivamente la terapia.
Attenzione alla memoria metabolica: gli effetti negativi delle iperglicemie passate possono prolungarsi nel tempo anche dopo la normalizzazione della glicemia, favorendo lo sviluppo di complicanze.
Spiegano Giuseppina Russo e Antonio Ceriello della Associazione medici diabetologi (Amd): “Il fenomeno del ‘legacy effect’ o memoria metabolica è l’associazione tra l’inadeguato compenso glicemico subito dopo l’esordio del diabete tipo 2 e il futuro rischio di complicanze”.
Più in particolare, iperglicemie ripetute possono causare un danno metabolico persistente. Con una esposizione a livelli alti di glicemia anche per periodi non lunghissimi, infatti, nell’organismo avviene una alterazione delle proteine contenute nei mitocondri (organi delle cellule) che tendono a legarsi al glucosio in eccesso nel sangue aumentando la produzione di radicali liberi che danneggiano l’endotelio (il tessuto che riveste i vasi sanguigni) e le beta-cellule che producono insulina. E purtroppo anche quando i livelli di glicemia si normalizzano, la produzione di radicali liberi continua, accentuando il rischio di complicanze, a cominciare da quelle cardiovascolari.
La prima cosa da fare è quindi tenere sempre sotto controllo la glicemia per evitare le iperglicemie, adottando le terapie adeguate e gli stili di vita salutari.
Una buona notizia dalla ricerca: i Sglt-2 inibitori contrastano la memoria metabolica e i danni che può produrre.
Oggi però abbiamo anche una buona nuova: uno studio italiano pubblicato sulla rivista scientifica “The Lancet Regional Health – Europe” ha mostrato che, nel diabete di tipo 2, le gliflozine (i farmaci Sglt2-i) contrastano la memoria metabolica e proteggono dai rischi cardiovascolari (cfr. “The legacy effect of hyperglycemia and early use of SGLT-2 inhibitors: a cohort study with newly-diagnosed people with type 2 diabetes” sul sito della rivista).
La Associazione medici diabetologi -che ha partecipato in misura determinante allo studio, basato infatti sui dati degli Annali Amd- sottolinea infatti che “l’utilizzo tempestivo delle gliflozine entro due anni dalla diagnosi di diabete tipo 2, migliora il compenso glicemico e inibisce il fenomeno della ‘memoria metabolica’, cioè di quel meccanismo di danno prolungato legato alle iperglicemie tipiche della malattia, con effetti positivi sulla riduzione del rischio di evento cardiovascolare”.
Inoltre, gli effetti benefici degli Sglt-2i si osservano anche nei soggetti che presentano valori di emoglobina glicata tra il 7-8% o >8% e un rischio cardiovascolare più alto (rispettivamente del 20% e del 34%).
Un’indagine su più di 250mila persone con diabete
Lo studio ha preso in esame oltre 250mila persone con diabete di nuova diagnosi, senza complicanze, e ha valutato il rischio di sviluppare complicanze cardiovascolari sulla base dei valori di compenso glicemico nei primi tre anni dalla diagnosi.
È quindi emerso che nei pazienti con emoglobina glicata non a target (e cioè troppo elevata) il trattamento con Sglt2-i, entro i due anni dalla diagnosi, riesce a ridurre significativamente l’eccesso di rischio cardiovascolare legato allo scompenso iniziale e a mantenere buoni livelli di emoglobina glicata, guadagnando un vantaggio clinico rispetto a chi non è stato trattato con questa classe di farmaci o è stato trattato tardivamente.
Secondo Ceriello e Russo, referenti di Amd dello studio, “l’elemento di vera novità dello studio è rappresentato dall’aver indagato, per la prima volta, il ruolo degli Sglt2 inibitori nel modificare il fenomeno della memoria metabolica, offrendo una precoce protezione cardiovascolare: un ulteriore elemento a favore di un più diffuso e precoce trattamento con questa classe di farmaci innovativi, armi terapeutiche che possono contribuire a garantire una migliore gestione della malattia e qualità di vita”.
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