Misurazione della glicemia ed emoglobina glicata con i loro parametri ci dicono come va il diabete. Terapia e obiettivi glicemici vanno poi personalizzati, secondo le caratteristiche di ogni singola persona.

La emoglobina glicata (o glicosilata), è un metodo che consente di individuare la glicemia media delle ultime dieci settimane e permette quindi di valutare nel medio termine, in un arco di 2-3 mesi, l’equilibrio glicemico del paziente.

I parametri di riferimento della glicata sono i seguenti: si considerano normali i valori inferiori al 5,7%; si parla di prediabete tra 5,7 e 6,4% (con elevato rischio di diabete per chi supera il 6%); sono indicativi di diabete i valori superiori a questo limite (per un approfondimento su questa metodologia potete usare questo link).

L’ente statunitense Fda (Food and drug administration) ha approvato un metodo di laboratorio per il dosaggio della emoglobina glicata che risponde ai criteri della procedura standard di riferimento per la diagnosi di diabete (quello della misurazione della glicemia con test di carico orale di glucosio) e che può perciò essere adottato, oltre che per il controllo glicemico, anche per la diagnosi di diabete.

Resta naturalmente sempre valido per la diagnosi il criterio consolidato, secondo cui valori di glicemia a digiuno superiori a 125 mg/dl sono indicativi di diabete, così come il metodo di esecuzione di un test di carico orale con 75 g di glucosio con successiva rilevazione della glicemia (un livello glicemico alla seconda ora pari o superiore a 200 mg/dl indica diabete). Per approfondire, leggete qui.

Valutare gli obiettivi glicemici di ciascun paziente

Avendo dunque sempre presenti questi fondamentali parametri per definire il controllo della glicemia di un individuo, è importante valutare quali siano gli obiettivi glicemici di ciascun paziente a seconda della sua personale e specifica condizione, secondo il principio, sempre più spesso affermato dai diabetologi, che ogni soggetto ha il proprio particolare diabete e richiede quindi una terapia quanto più possibile personalizzata.

Di questi temi ha parlato recentemente a Stoccolma, al congresso della European association for the study of diabetes (Easd) il professor Stefano Del Prato, già presidente della Società italiana di diabetologia e attuale presidente della Fondazione Diabete Ricerca della stessa Sid.

Argomenta così Del Prato: “Passati i tempi dei target a taglia unica, validi dai 10 ai 90 anni, oggi gli obiettivi di emoglobina glicata (il metro del compenso del diabete) vengono definiti in base alle caratteristiche del paziente. Altrimenti si corre il rischio di vedere gli effetti indesiderati della terapia, anziché goderne i benefici. I più giovani, con diabete di recente insorgenza e senza complicanze, devono ambire a una glicata inferiore al 7%; nell’anziano, con diabete di lunga durata, insufficienza renale e altre malattie associate, la linea di condotta deve essere più morbida e può essere ragionevole ambire a una glicata di 7,5-8,5%”.

Come ci si deve regolare allora per scegliere il trattamento più adatto al singolo paziente? Del Prato riassume così i criteri da utilizzare: “Oggi possiamo solo basarci su parametri clinici molto empirici, seguendo la regola dell’alfabeto o dell’ABCDE, che tiene conto dell’età (A come age), del peso corporeo (B come body weight), delle complicanze (C), della durata della malattia (D) e infine delle tre E, che stanno per eziologia, educazione (o empowerment) del paziente, economia. In un futuro non troppo lontano la farmacogenomica e i biomarcatori, misurabili da un prelievo di sangue, ci guideranno alla scelta ideale del farmaco per il singolo paziente, in un’ottica di medicina di precisione”.

Stefano Del Prato (Sid): “L’obiettivo terapeutico di una persona con diabete di tipo 2 deve essere quello di un controllo glicemico che sia adeguato alla propria condizione”.

Su queste basi si possono indicare gli obiettivi glicemici a cui tendere a seconda del paziente da curare. “L’obiettivo terapeutico di una persona con diabete di tipo 2 –continua il professor Del Prato- deve essere quello di un controllo glicemico che sia adeguato alla propria condizione. Anche l’obiettivo di emoglobina glicata da raggiungere deve cioè essere personalizzato. I soggetti senza complicanze, quelli giovani e con recente diagnosi di diabete dovrebbero essere trattati in modo estremamente intensivo per raggiungere valori di glicemia quanto più vicini alla normalità, cioè un’emoglobina glicata pari o inferiore al 7%, perché questo si traduce in una protezione a lungo termine. Invece, nei soggetti che vanno incontro a episodi di ipoglicemia, in quelli che abbiano già delle complicanze in atto, come l’insufficienza renale, in quelli con una ridotta spettanza di vita è indicato un controllo glicemico un po’ più rilassato, pari a valori di emoglobina glicata superiori a 7, fino ad arrivare a 8-8,5%”.

Considerazioni analoghe svolge il professor Paolo Brunetti, anch’egli ex presidente della Sid: “Si ritiene oggi concordemente che il valore della emoglobina glicata, che esprime il valore integrato della glicemia dei precedenti due mesi, debba essere mantenuto al di sotto del 7%. I vari studi di intervento fin qui eseguiti, ci hanno tuttavia insegnato anche che la terapia ipoglicemizzante deve essere fortemente individualizzata”.

“Nei soggetti meno anziani, con minore durata della malattia e privi di malattie cardiovascolari clinicamente evidenti -prosegue il diabetologo-può essere corretto mirare a una quasi normalizzazione della glicemia e della glicata, mentre nei diabetici di maggiore età, con più lunga durata del diabete, e con malattie cardiovascolari in atto, può essere necessario accontentarsi di un valore di emoglobina glicata anche superiore in varia misura al 7%. Un controllo glicemico troppo stretto in soggetti particolarmente fragili, e quindi anche più esposti al rischio dell’ipoglicemia, può sortire infatti, anziché un beneficio in termini di prevenzione di morbilità e di mortalità cardiovascolare, un effetto neutro o addirittura negativo”.