Vita più sana, rischio più basso: molti studi clinici di prevenzione del diabete di tipo 2 dimostrano che comportamenti quotidiani corretti come alimentazione equilibrata e attività fisica regolare consentono di prevenire la progressione da prediabete a diabete.

Alla base dell’insorgenza del diabete di tipo 2 vi sono fattori di ordine genetico acquisiti durante millenni di adattamento della nostra specie a condizioni di vita ostili caratterizzati dalla scarsità di cibo e dalla intensità dell’impegno fisico necessario per procurarselo, ma ciò che fa emergere sul piano clinico questa potenzialità  è lo stile di vita proprio della società contemporanea occidentale, caratterizzato da un eccesso di introduzione calorica e da un difetto di attività fisica.

È perciò implicito che lo strumento primario di prevenzione e di cura di tutte le forme di abnorme regolazione del metabolismo del glucosio debba consistere in una sostanziale e permanente modificazione dello stile di vita.

Una serie di studi, ha dimostrato, in effetti, che è possibile  prevenire la progressione dal prediabete al diabete in una misura variabile dal 40 al 60%, dopo un periodo di trattamento di 3-6 anni, e ridurre il rischio di complicanze micro e macrovascolari, intervenendo sullo stile di vita.

La metodologia seguita nei vari studi elencati è simile nella sostanza, essendo caratterizzata da interventi strutturati individuali di natura nutrizionale, motoria e comportamentale e da uno stretto monitoraggio della adesione dei singoli soggetti al programma stabilito. Ciò implica un impiego non indifferente di risorse, ma certamente inferiore all’impegno economico richiesto dalla cura di un soggetto diabetico, specialmente se affetto da una o più complicanze. È stato calcolato (Studio Code-2) che, in assenza di complicanze, i costi diretti sostenuti dal sistema sanitario nazionale per un soggetto diabetico sono nell’ordine di 800 euro l’anno, ma che questa cifra sale a 3000 euro ove sia presente anche una sola complicanza.

Da ciò si deduce la necessità di un forte impegno delle istituzioni e delle associazioni di volontariato per l’attuazione di un importante piano di prevenzione del diabete, fondato sulla educazione a uno stile di vita corretto di tutta la popolazione, ma, in modo particolare, dei bambini e degli adolescenti maggiormente esposti al rischio di un danno metabolico.

Due studi in particolare, lo studio americano Diabetes prevention program (Dpp) e lo studio finlandese Diabetes prevention study indicano le linee di azione che dovrebbero essere seguite. I protocolli di entrambi gli studi prevedevano una riduzione del peso contenuta, dell’ordine del 5-7%; una riduzione del contenuto di grassi totali della dieta al di sotto del 30% dell’apporto calorico totale, con preferenza per i grassi insaturi (omega-3) e monoinsaturi (acido oleico) e con una riduzione al di sotto del 5% dei grassi saturi di origine animale; un aumento dell’apporto di fibre eguale o superiore a 15 g/die e, infine, una attività fisica moderata di almeno 30 minuti al giorno. In entrambi gli studi, si è ottenuta una riduzione della incidenza di diabete del 58%, dopo un follow up rispettivamente di 3 anni, ma è anche da rimarcare, a dimostrazione della efficacia del metodo, come nessuno dei soggetti che aveva realizzato integralmente le modificazioni dello stile di vita abbia sviluppato il diabete. Un ulteriore elemento che comprova l’efficacia degli interventi mirati alla modificazione dello stile di vita è la persistenza dell’effetto benefico a distanza, anche di molti anni, dal termine dell’intervento attivo.

Vari studi hanno dimostrato che anche con l’impiego di alcuni farmaci (metformina, acarbose, pioglitazone) è possibile prevenire, in una certa misura, la progressione dal prediabete al diabete, ma, a differenza degli interventi sullo stile di vita, l’uso di farmaci non è esente dal rischio di effetti collaterali di vario tipo e, inoltre, l’effetto benefico è per lo più limitato al periodo di assunzione del farmaco.

Sulla base di questi dati, le società scientifiche raccomandano le modificazioni dello stile di vita piuttosto che l’impiego di farmaci, come approccio primario al prediabete, anche se ciò presuppone lo sviluppo di competenze e di servizi finalizzati al cambiamento comportamentale, la reperibilità delle relative risorse e il superamento delle barriere che si frappongono all’esecuzione dell’attività fisica.

Nella scelta terapeutica non si può comunque prescindere da una accurata valutazione dei singoli casi e, in particolare, dalla tendenza del disordine glicemico a un rapido peggioramento, dalla compliance del soggetto nei confronti delle modificazioni dello stile di vita, dalla presenza di fattori di rischio aggiuntivi rispetto alla stessa iperglicemia e, infine, dalla presenza o meno di possibili complicanze micro e macroangiopatiche che possono precedere la diagnosi di un diabete manifesto.

Per questo, l’American diabetes association, pur raccomandando le modificazioni dello stile di vita come approccio primario al prediabete, riserva l’aggiunta di metformina ai soggetti di età inferiore ai 60 anni, con Bmi eguale o superiore a 35 Kg/metri quadri e portatori di altri fattori di rischio come ipertensione arteriosa, basso colesterolo Hdl, elevati trigliceridi o una emoglobina glicata superiore al 6%, che hanno una maggiore probabilità di sviluppare un diabete conclamato.